La Serbia e il litio: i paradossi della transizione green

Lo scorso 19 luglio, a Belgrado, il governo serbo e la Commissione europea hanno siglato un Memorandum d’intesa sulle materie prime sostenibili. A far capire quanto sia importante l’intesa per il nostro continente la presenza del vicepresidente della Commissione Maros Sefcovic e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il Memorandum interesserà soprattutto il litio, il cosiddetto “oro bianco” di cui il paese balcanico sarebbe ricco e che è indispensabile per produrre batterie per i veicoli elettrici, icona green della mobilità del futuro priva di combustibili fossili. E in Serbia nel 2004 è stata scoperta la jadarite, materia prima unica al mondo composta da litio e boro che prende il nome dal fiume della vallata in cui si trova, lo Jadar, nella Serbia occidentale. Ad essersene interessata per prima è la multinazionale Rio Tinto, tra le principali compagnie a livello mondiale nella ricerca, estrazione e lavorazione delle materie prime. Ma il “Progetto Jadar”, come l’ha chiamato la multinazionale, si è fatto un sacco di nemici in Serbia: associazioni ecologiste, partiti d’opposizione e semplici cittadini sono da anni schierati contro il progetto, che due anni fa venne congelato dal governo per via delle proteste che bloccarono il Paese. Secondo chi protesta, l’estrazione del litio provocherà un danno irreversibile all’ambiente per via dell’ingente quantitativo di acqua necessario per la sua estrazione, nonché per l’impiego dell’acido solforico nel processo di lavorazione, con il grande interrogativo sul futuro dei residui difficili da trattare. Oggi il progetto riprende vigore, col sostegno attivo della Germania che, indirettamente, fa un assist al governo autoritario del presidente serbo Aleksandar Vucic, nella speranza che questo acceleri il percorso europeo di Belgrado. Litio: una questione geopolitica? Se l’estrazione del litio darà nuovo slancio al processo di adesione della Serbia nell’Unione Europea è tutto da vedere. Secondo le stime, però, sarebbe l’UE a guadagnarci. Il governo serbo dice che potrebbe soddisfare il 20% della domanda europea di litio. Questo dato potrebbe interrompere la lunga catena di approvvigionamenti che ad oggi arrivano in Europa prevalentemente dall’Asia e dal Sudamerica. La pandemia, l’invasione dell’Ucraina e altri eventi che hanno influito direttamente sulle filiere globali, infatti, rendono il litio dei Balcani più appetibile. Ma c’è anche la volontà di competere con la Cina per la produzione di auto elettriche nella cornice della transizione sostenibile. Nonché l’affrancamento dagli energetici della Russia, di cui la Serbia è non solo un paese estremamente dipendente ma ne è anche il migliore amico in Europa. Da quando Mosca ha invaso l’Ucraina, la Serbia è rimasto l’unico paese a non adottare le sanzioni UE. L’ambivalenza di un paese che ha come primo alleato politico la Russia di Vladimir Putin ma fa affari quasi esclusivamente con gli stati membri dell’UE potrebbe però essere interrotta con le estrazioni di litio: aiutando l’Unione ad abbandonare i combustibili fossili, Belgrado potrebbe finalmente concludere il processo d’adesione. Ma a che prezzo? Secondo alcune stime, per estrarre una tonnellata di litio servono 500mila litri d’acqua. Questa verrebbe sottratta dai fiumi di cui si servono gli agricoltori e le comunità locali, nei pressi della città Loznica. È questo uno dei principali temi che ha fatto insorgere gli attivisti e i cittadini contrari al progetto: l’estrazione della jadarite porterà a un consumo d’acqua eccessivo. Inoltre, come evidenzia il professore della facoltà di scienze forestali di Belgrado Ratko Ristic, l’unicità della jadarite sta nel contenere sia litio che boro, ma per separare i due sono necessari – come sostiene anche la stessa Rio Tinto – fino a 1.100 tonnellate di concentrato di acido solforico e diverse decine di tonnellate di esplosivo al giorno. Il progetto Jadar produrrebbe quindi residui che non sarebbero facilmente trattabili. Nonostante le rassicurazioni della Rio Tinto e del governo, il rischio è che questi non vengano smaltiti adeguatamente e che vadano ad impattare l’ambiente circostante, compromettendo la quotidianità delle cittadine della Serbia occidentale. I timori degli attivisti si fondano poi sui precedenti progetti della Rio Tinto. Nel settembre 2020, la multinazionale fu accusata di aver inquinato i fiumi con sostanze tossiche in Papua Nuova Guinea, dove la multinazionale è presente da decenni e i cui progetti di estrazione del rame ebbero un ruolo diretto nel provocare la guerra civile in Bouganville. Accuse arrivate poco dopo che il direttore e due general manager dessero le dimissioni per via di un altro scandalo: la distruzione da parte di Rio Tinto di siti archeologici degli Aborigeni vecchi migliaia di anni a Pilbara, in Australia. Secondo gli attivisti, dunque, le rassicurazioni di Rio Tinto non sono credibili. A inizio 2022, le proteste e i sit-in sulle autostrade del paese furono tali che il governo serbo dovette fermare il progetto. Lo scorso 11 luglio, infine, la corte costituzionale serba ha annullato il provvedimento del governo sostenendo che questo avesse superato i limiti della propria competenza. Sentenza che quindi ha rimesso in moto il Progetto Jadar. Un paradosso mondiale? Mentre il governo serbo sostiene che lo sfruttamento della risorsa sia indispensabile per far crescere l’economia, e che questo influirà positivamente in primis per le comunità locali, una delle considerazioni principali di chi vi si oppone è che l’estrazione di litio contribuirebbe al raggiungimento della neutralità climatica attraverso un irreversibile danno ambientale. La ricerca di alternative ai combustibili fossili investe molte speranze sul litio e sulla produzione di veicoli elettrici nella convinzione che la transizione ecologica debba avvenire partendo dalla conversione dei motori nell’industria automobilistica. Tuttavia, nel caso della Serbia, questa ricerca non sembra essere in armonia con alcune linee guida per la transizione tracciate dalla stessa Commissione europea, che prevede che questa sia sostenibile, giusta e rispettosa delle comunità rurali. Garanzie che verrebbero meno soprattutto in virtù della crescente deriva autoritaria della Serbia, che su stato di diritto, libertà di stampa e pluralismo politico è sempre più distante dagli standard di Bruxelles. Il rischio, quindi, è che in assenza di un regime democratico, lo sfruttamento delle materie prime possa aumentare le ingiustizie sociali e non contribuire realmente all’economia del paese, come spesso accade in paesi autoritari le cui risorse vengono scambiate con le potenze mondiali e servono per lo più a garantire la sopravvivenza di regimi repressivi e non rispettosi dei diritti umani.

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