Nella scuola che salva i bambini dalle alluvioni in Kenya

“Muzungu! Muzingu!”. Ce lo dicono puntandoci contro il dito, mentre percorriamo le strade sconnesse della township di Mlolongo, a bordo dei fuoristrada di Amref. Muzungu è uno dei modi di chiamare l’”uomo bianco”. Non è un dispregiativo, anzi, letteralmente in lingua Swahili significa wanderer, l’uomo che vaga, perché così vedevano i primi uomini bianchi che esploravano l’Africa vagando senza una meta precisa. Ce lo dicono, accompagnandolo con una espressione di sorpresa per la nostra presenza, gli abitanti di questo slum, in cui le strade sono ancora devastate, perché scavate dai fiumi d’acqua che, a partire da aprile 2024, hanno portato morte e distruzione in una delle peggiori alluvioni in Kenya degli ultimi decenni. "L'acqua non si fermava più" Siamo diretti alla scuola primaria Ngwata, dove ci aspetta la preside, insieme ad altri insegnanti. Faith Maeke, così si chiama la Headteacher, ci racconta l’incredibile impatto che l’alluvione ha avuto sui 3202 studenti e ci porta in giro per l’ampio cortile su cui si affacciano caseggiati in cemento grezzo e qualche casa di lamiera, il materiale più utilizzato per costruire abitazioni nello slum. “L’acqua era arrivata fino a qua”, ci dice indicando la striscia più scura che ancora segna i muri a circa un metro da terra. “È stato un episodio improvviso, all'inizio non sembrava piovere troppo. Quindi i genitori continuarono a rimanere a casa. Poi, durante la notte, l’acqua non si fermava più, i fiumi sono esondati, e tutto è stato allagato. Le case venivano spazzate via e nessuno era preparato”. Ci indica la trincea scavata per salvare il più possibile le aule dalla furia delle acque, ma poi il racconto si fa più cupo quando inizia a parlare degli effetti sulla vita degli studenti. “Hanno tutti perso la casa e sono stati sfollati, la famiglia, i genitori sono stati sfollati. Non avevano un posto dove stare e ad oggi alcuni sono ancora assistiti da badanti, perché i loro genitori hanno perso tutto e se ne sono andati. Hanno lasciato questa zona e sono andati a cercare lavoro, e poi non sono mai tornati”. Il monito di Amref Il giorno prima, a Nairobi, il Global CEO di Amref, Githinji Gitahi, ci aveva detto: “Il vero volto della crisi climatica si deve contare in termini di salute umana. Vite salvate o vite perdute, vite in difficoltà o vite che stanno bene. È così che si deve contare. Possiamo contare le emissioni di carbonio. Possiamo contarli nel numero di inondazioni, possiamo contarli in termini di temperatura. Ma il vero conteggio è quello della salute umana. Abbiamo visto che la disuguaglianza portata dalla crisi climatica può essere definita da semplici numeri, come ad esempio che oggi una persona africana emette in media circa una tonnellata di carbonio. Una persona in Italia ne emetterà circa 5 tonnellate nello stesso anno. Una persona negli Stati Uniti emetterà 14 tonnellate nello stesso anno. L'impatto di queste emissioni è il riscaldamento globale, l'impatto del riscaldamento globale è rappresentato da eventi meteorologici avversi che portano alla siccità, alle inondazioni, all'espansione della malaria, a nuove epidemie. Ma quando queste cose accadono, quando si verificano eventi meteorologici estremi e ci sono inondazioni e caldo estremo e la gente non può avere cibo, non ci sono sconti”. Una tazza a testa, e basta È un concetto molto semplice, eppure, qui, nel cortile di questa scuola, appare in tutta la sua potenza quando lo spazio polveroso si riempie nel giro di pochi secondi di centinaia di bambine, bambini e ragazzi che agitano festanti tupperware e buste colorate. Corrono verso una casetta in mattoni che si apre all’inizio del cortile. All’interno una donna gira con mestoli lunghissimi enormi pignatte in cui sobbollono fagioli. Sono misti, rossi, neri e chiari. Cuociono insieme e, una volta pronti, se ne riempiono due grossi secchi. Davanti alla porta della cucina, in modo totalmente naturale, dal caos di qualche secondo prima si formano due file ordinate di studenti affamati, una per secchio. Un ragazzo e una ragazza, di età più grande rispetto agli altri, misurano quanti fagioli finiranno nel contenitore. Esattamente una mug, una tazza piena per ciascuno. E basta. Ecco come si nutrono: una tazza di fagioli nelle 24 ore. Ecco la loro unica fonte di sostentamento. Caroline Murerwa, Program Officer di Amref Health Africa in Kenya, ci spiega: “Anche alcuni genitori, quelli che sono rimasti, dipendono dal nostro cibo, soprattutto quelli che hanno figli molto piccoli. Dipendono dai bambini che vengono a prendere il cibo per loro. Alcuni studenti tengono da parte un po’ della loro razione, da portare alle loro madri o ai loro fratelli più piccoli». La conferma di questa situazione arriva dalla voce di alcuni dei ragazzi, che, d’accordo con insegnanti e cooperanti, accettano di raccontarci la loro esperienza. Renisha, Humphrey e Jenim Renisha ci racconta che provenivano da una famiglia con un solo genitore, la madre. Dopo che la casa si è allagata, non sono riusciti a trovare un altro posto dove andare, quindi hanno tolto l’acqua come potevano, ma sono rimasti dentro. La madre ha perso la sua fonte di sostentamento. Vivono con un pasto al giorno, principalmente il cibo che ricevono da questa scuola. Non hanno niente da cucinare, né legna da ardere per cucinare, casomai si procurassero qualcosa. Renisha ha anche un fratello minore, di tre anni. Quindi la maggior parte del tempo la madre è lasciata con il più piccolo, e lei non lavora. Humphrey dice che quando ha iniziato a piovere, la madre se n'è andata, lasciandolo con suo fratello più piccolo. Hanno trovato riparo da un vicino di casa. Ma il cibo lo prende solo qui a scuola. Lui è il più grande. Ha dodici anni. È lui che si prende cura degli altri bambini Jenim si avvicina con sua sorella e suo fratello. Entrambi più piccoli di lei. La madre si è ammalata subito dopo le inondazioni, così, ci dice, “sono dovuta diventare il breadwinner , la capofamiglia. Arriva a scuola molto più tardi perché deve andare a cercare lavoretti saltuari in modo da poter guadagnare un po' di soldi per il cibo per il resto dei fratelli. "Anche oggi, quando esco da scuola, devo andare da qualche parte a lavare i vestiti di qualcuno, per essere pagata in modo da procurarmi il cibo per l'intera famiglia. Perché anche ora mia madre è malata e viviamo con nostra zia". "Il futuro è ancora luminoso" Alcuni di loro non riescono a finire di parlare, iniziano a piangere ricordando il trauma dell’alluvione. Il trauma dell’abbandono. Li fermiamo subito, li rassicuriamo, li abbracciamo e tornano rasserenati dai compagni che li aspettano. Ma a quel punto la domanda che rivolgo a Carolyne esce senza filtro, gravida dell’angoscia instillata da quegli occhi tristi: “Come vedono il loro futuro? Come possono uscire da questa situazione? Loro, ma anche voi, avete speranza per il loro futuro?” “Direi che il futuro per loro è ancora luminoso - si sforza di rispondermi Carolyne – perché le comunità hanno ritrovato unità per sostenerli. Certo, subito dopo le alluvioni, la maggior parte delle persone ha perso i mezzi di sussistenza. Quindi direi che c'è il rischio che alcuni di loro non siano in grado di completare la scuola, specie se il programma alimentare non verrà sostenuto”. “Noi siamo concentrati sul dare a questi ragazzi un’opportunità di essere istruiti – continua - Avrete notato che gli studenti hanno uniformi diverse, perché non possono permettersi l'uniforme scolastica. Gli insegnanti hanno deciso di concentrarsi solo su questo: se un bambino vuole studiare, basta che venga e lo farà”. “Anche la comunità e le organizzazioni, come il Ministro della Sanità della Contea, hanno dato il loro sostegno in termini di igiene mestruale. Noi sosteniamo le ragazze anche con gli assorbenti igienici, in modo che le si sentano bene a scuola, per far sì che non ci sia un motivo per non andare a scuola”. “Se guardiamo alla scuola, al di là dell'apprendimento, le protegge anche dai crimini... Qui siamo proprio in mezzo agli slum, quindi protegge anche i giovani dalla droga e da un enorme mercato di prostituzione. La maggior parte dei genitori degli studenti ha a che fare con mercato del sesso. E qui l'insegnante ha assunto il ruolo di genitore per la maggior parte di loro. Quindi, se riusciamo a impegnarci come comunità, per vedere come prende forma il programma di alimentazione, come vengono forniti i libri, come vengono forniti gli articoli sanitari, allora possiamo tenere gli studenti più a lungo, perché queste sono davvero le basi di cui abbiamo bisogno per continuare la scuola”.