Il giallo della telefonata Putin-Trump sull’Ucraina

Il Trump 2.0 parte col suo primo “giallo” sulla presunta telefonata che il presidente-eletto degli Usa avrebbe avuto con il collega russo Vladimir Putin nella giornata di sabato. E, di conseguenza, sul contenuto dell’interlocuzione che ha riempito la grande stampa mondiale tra domenica e lunedì. Il Washington Post ha riferito per primo, citando fonti anonime, che nel tradizionale giro di telefonate che i presidenti eletti fanno dopo la vittoria delle elezioni negli Usa Trump avrebbe trovato tempo per parlare anche con il capo di Stato russo nella più attesa delle interlocuzioni con i leader del pianeta tra quelle che si pensava avrebbero avuto luogo. La ricostruzione del Washington Post riferiva che Trump avrebbe fissato a Putin tre punti chiari: si sarebbe detto pronto a "risolvere la guerra in Ucraina a breve", avrebbe ammonito la controparte dall’evitare un’escalation nel Paese invaso da qui al suo insediamento previsto per il 20 gennaio e avrebbe “ricordato alla Russia la considerevole presenza militare americana in Europa”. Il team di transizione del presidente eletto non ha parlato a riguardo del presunto colloquio, che è stato invece seccamente smentito dal Cremlino. Nella giornata di lunedì, infatti, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov ha definito “pura finzione” la ricostruzione della testata della capitale Usa: “Non c'è stata alcuna conversazione”, ha sottolineato il capo della comunicazione di Putin. La smentita delle istituzioni russe di una notizia apparsa tramite retroscena giornalistici contribuisce ad aumentare l’incertezza sulle effettive volontà di Trump sulle relazioni con Russia e Ucraina e si inserisce in un periodo di discussioni complesse. Il contenuto della presunta telefonata, per come è stata presentata dal Washington Post, sembrava tenere in equilibrio tutte le varie anime politiche a cui Trump si deve riferire: l’idea del disimpegno dall’Ucraina associata al rilancio del concetto di “pace attraverso la forza” e deterrenza e alla volontà di non lasciare mano libera al Cremlino. La netta smentita russa non cancella il valore politico di questo messaggio e porta a spostare la questione su chi possa aver dato al Washington Post l’assist per parlare del presunto colloquio. Una voce diffusa dal team del presidente eletto? È ragionevole pensare che siano stati gli ambienti riferibili all’entourage di Trump a far uscire la voce? La possibilità non va esclusa: nei giorni scorsi il presidente eletto ha parlato con i maggiori alleati degli Usa, compreso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e ricevuto anche le congratulazioni di Putin; tra i partner europei è aumentata la tensione circa il possibile termine dell’assistenza americana a Kiev, fatto che ha portato Paesi come la Francia a ribadire il rilancio dell’appoggio al Paese invaso tramite la fornitura di una nuova partita di missili; hanno fatto discutere infine le parole di Bryan Lanza, consigliere di Trump, che alla Bbc ha detto che per l’Ucraina “la Crimea è persa” e Zelensky dovrebbe avere “una visione realistica della pace”. Inoltre, nella giornata del 10 novembre Trump ha ufficialmente escluso un ruolo nella sua seconda amministrazione per due “falchi” antirussi del Partito Repubblicano, Nikki Haley e Mike Pompeo, aprendo ulteriori discussioni circa una futura volontà di trovare un accordo con Mosca. Nel gioco dei retroscena, delle voci e dei timori per il Trump 2.0, far filtrare la voce del colloquio, sfruttando la tendenza delle testate Usa a riferirsi a generiche “fonti anonime” legate al potere e agli apparati che la guerra in Ucraina ha consolidato, può aver avuto un senso politico per mettere alla prova opinione pubblica e politica e testarne le reazioni. Eventualità, questa, che è considerata plausibile anche a Kiev, dato che un funzionario della presidenza ucraina ha detto a Politico che Zelensky “non era a conoscenza” di una chiamata Putin-Trump e si era detto dubbioso che “potesse aver effettivamente avuto luogo” prima della smentita di Peskov. La corsa al Trump 2.0 è costellata di retroscenismi Alla luce della sua personalità e delle sue idee divisive e della natura tempestosa e imprevedibile della sua precedente amministrazione, del resto, Trump è figura incline a far parlare di sé in maniera consistente, e nella corsa mediatica alla notizia e al retroscena l’idea della telefonata con Putin è stata ritenuta assolutamente in linea con la sua agenda politica. E i contenuti tali da poter mandare messaggi rassicuranti a ogni ala del Partito Repubblicano, sia quella più ostile al proseguimento dell’assistenza a Kiev sia quella maggiormente attiva nel propugnare una forte presenza americana nel mondo. Alla fine, però, sono i fatti a parlare. E il primo fatto è la smentita del Cremlino alla chiamata; il secondo sarà quello di mercoledì, giorno dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Joe Biden per parlare della transizione di poteri tra l’amministrazione uscente e quella entrante. In quell’occasione si avranno effettive indicazioni sulla linea che il tycoon, prossimo a tornare comandante in capo, intenderà tenere nei fatti e non nelle dichiarazioni, verso l’Ucraina e la Russia. Al netto della sintonia personale tra Trump e Putin, del resto, i fatti parlano di un rapporto bilaterale che in un decennio è andato profondamente deteriorandosi e di spazi diplomatici assai ristretti. E su questa realtà Trump si dovrà basare dal 20 gennaio in avanti, quando retroscena e voci non conteranno più ma si apriranno oneri e onori della gestione del potere.