Irvine Welsh 30 anni dopo Trainspotting: “Uk e Usa non sopravvivranno”

Quando Irvine Welsh, classe 1958, idolo intergenerazionale, sale in console all’Arci Bellezza di Milano è tarda notte. Il DJ-set che spazia dall’house all’elettronica passando per la disco anni '60-70-80 arriva dopo un’ora abbondante di presentazione dell’ultimo libro, “Resolution”, edito da Guanda. È il terzo capitolo della saga dell’ex detective Ray Lennox: la resa dei conti definitiva con il passato. Lennox si ritrova dopo 40 anni davanti ai suoi carnefici, i tre uomini che abusarono sessualmente di lui e del suo amico del cuore Les. Un libro che tiene incollato il lettore fino all’ultima pagina, letteralmente, e che esplora i traumi, le ferite che non si rimarginano, la memoria e la vendetta. Ma il dibattito vira inevitabilmente su “Trainspotting”, il suo romanzo d’esordio del 1993, divenuto film tre anni più tardi con la regia di Danny Boyle. “Trainspotting” è stato un esempio di instant classic, un’espressione che si usa per definire i libri che non hanno bisogno di decenni di sedimentazione per diventare pietre miliari. Non è invecchiato, perché non racconta solo del dramma, ancora tristemente attuale, dell’eroina che Welsh ha vissuto in prima persona e della controcultura dei giovani disorientati di fine secolo. “Trainspotting” è un trattato sulla ricerca di senso nella società dei consumi e sull’essere scozzesi o, meglio, sul sentirsi “colonizzati”, per citare Mark Renton, uno dei protagonisti del romanzo. A ballare sulle tracce scelte e mixate da Welsh una manciata di quarantenni, tanti trentenni e anche qualche tardo ventenne che all’epoca di uscita del libro, che ha fatto di Welsh un autore di culto, non era nato o era ancora in fasce. Si muovono con disinvoltura sulle note di Diana Ross, Bronski Beat e Mamas and Papas. Sono lì a celebrare uno straordinario rito collettivo inghiottiti in un buco nero spazio-temporale. Poche ore prima della serata musicale, abbiamo incontrato Welsh nel suo hotel di Porto di Mare, quartiere di Milano sud. Irvine Welsh, scrittore, drammaturgo e... DJ. Bisogna aggiornare la pagina Wikipedia. Alcuni DJ, i veri DJ, i DJ di alto livello riescono a captare l'atmosfera e sanno perfettamente che musica mettere e quale non mettere. Non sono a quel livello, io mi limito a tirare fuori un brano e sperare che vada tutto bene. Se alle persone piace, mi sento alla grande. Se lasciano la pista, soffro. Non sai mai come andrà la serata. Parlando dello Welsh scrittore, “Resolution” è un libro che ruota attorno a un abuso, alla memoria e alla vendetta. Cosa ha capito dei tre argomenti alla fine di questo viaggio? In “Resolution” ho cercato di lavorare sulle conseguenze della vendetta o al contrario sulle conseguenze di quando si lasciano le cose in sospeso. E sono arrivato alla conclusione che nessuna di queste due soluzioni è soddisfacente o almeno nessuna delle due è sufficiente. Bisogna davvero impegnarsi a capire cosa sia successo e lavorare su se stessi per cercare di cambiare la narrazione sulla propria vita. Trovare un compromesso con un passato tragico è possibile? Molti di noi fortunatamente non hanno avuto gli stessi traumi di Ray Lennox, ma cerchiamo tutti di trovare un senso alle nostre vite rispetto al nostro passato e di liberarci delle cattive influenze del passato e guardare alle cose positive e attaccarci a quelle. Lei che rapporto ha con il suo di passato? Io? Non lo so. Non ricordo la gran parte del mio passato. Ho la fortuna di vivere molto nel presente. La vita di tutti è attraversata da cose brutte, non per forza tragedie come quella di Lennox, ma i drammi ci accomunano. Tutti sperimentano prima o poi delusioni d'amore, lutti, difficoltà economiche e via dicendo. Per affrontarli bisogna avere la capacità di capire che sono elementi di rottura che aiutano a spezzare la passività con cui tendiamo a vivere le nostre vite. Ci limitiamo a seguire il flusso e a lasciare che le cose accadano senza farci troppe domande, e questo non è un bene. Penso che elementi di disturbo come questi ci costringano a interrogarci sulle nostre esistenze e penso che siano salutari e salvifici. Cosa significa per lei essere un bravo story-teller e come si racconta bene una storia? Non so se io sia un bravo racconta-storie, sono gli altri a doverlo dire, ma i libri che mi appassionano come lettore sono pieni di azione e di evoluzione. Mi piace rendere i personaggi interessanti, far capire cosa succede nelle loro teste, spesso non sono animati da buone intenzioni, ma ci provano. Anche se sono un po' dei disastri, cercano di dare il meglio. E poi mi piace contestualizzare i personaggi dei miei libri e portare nelle storie le grandi questioni che hanno un impatto sulle loro vite. Questo è un romanzo politico, e del resto non è il primo. È ambientato tra la Scozia e l’Inghilterra e descrive lo scenario apocalittico del post-Brexit e l’indolenza di Edimburgo che “fatica ad abbracciare il proprio destino di capitale europea”. In che direzione stanno andando gli scozzesi e gli inglesi? In quella sbagliata. Noi abbiamo sbagliato tutto, la Scozia avrebbe dovuto scegliere l'indipendenza dal Regno Unito al momento del referendum e il Regno Unito non avrebbe dovuto scegliere la Brexit. Se c'è qualcosa da sbagliare, in quest'isola la sbagliamo. Non riesco a immaginare la Gran Bretagna sopravvivere nella forma attuale. È un problema solo del Regno Unito? Vale lo stesso ragionamento per gli Stati Uniti d'America, e non riesco a immaginare nessun’altra delle vecchie nazioni imperialiste sopravvivere perché sono state concepite in un'altra era e stanno cadendo a pezzi e declinando inesorabilmente. Ogni volta che prendono una nuova decisione sprofondano un po’ di più. Pensa che sia ancora possibile immaginare una Scozia indipendente? Non penso che la questione sia più l'indipendenza della Scozia. La vera domanda è se il Regno Unito possa sopravvivere in questo Continente. Io penso che non possa. E la Repubblica d'Irlanda? Lei ha vissuto tanto tempo a Dublino e ha un rapporto particolare con la città. Gli irlandesi stanno facendo del loro meglio con dei risultati piuttosto buoni, meglio dei nostri sicuramente. Ribadisco il Regno Unito è destinato a soccombere. Ora lei si divide tra Londra, Miami e la sua Edimburgo. Cosa rappresentano queste tre città? Miami rappresenta il sole, il caldo, la fuga. Nel periodo dell’anno in cui ci vivo mi rimetto in forma, mangio bene, faccio boxe e yoga e torno in salute. E scrivo, scrivo un sacco e mi porto avanti per i mesi successivi. Edimburgo significa amici e famiglia. Lì mi diverto e mi sballo. Coltivo amicizie e consolido i miei rapporti, mi rimetto in contatto con tutto ciò che accade intorno a me e nella mia vita. Londra è essenzialmente “libertà” per me. Perché quando cresci in una città, non importa quanto sia bella e quanto tu la ami, a un certo punto senti il desiderio di andartene. E Londra è diventata sempre più importante nel corso degli anni: è sempre stato quel posto per me in cui essere libero e scappare. Mi sento fortunato ad avere tre città. A proposito di Londra, se le dico Starmer, il Prime Minister? Starmer è il parlamentare in carica nel Collegio di Holborn and St Pancras, dove vivo a Londra. L’ho incontrato spesso al pub, quello che frequento di solito, il Lion & Unicorn. Pensa che la vittoria di Starmer che ha un background da uomo del popolo sia una vittoria della working class? Non c’è vittoria per la working class. Se guardiamo cosa è successo ai lavoratori in Gran Bretagna, negli ultimi 40 anni, sono stati gradualmente impoveriti sotto ogni governo. E non c’è alcuna prospettiva di salvezza per la working class per come sono concepite la Gran Bretagna o l’America. Come descriverebbe il suo rapporto con “Trainspotting”? "Trainspotting" è come un figlio trentenne, adulto e scapestrato che si rifiuta di andare via di casa. Lo metti alla porta, ma poi ritorna con un sacco di soldi guadagnati magari con le scommesse ippiche o attività simili. E allora pensi: "Beh, in fondo può stare ancora per un altro po' a casa". Continuo a rimanere sorpreso: quando faccio dei reading del libro, ci sono sempre persone molto giovani, sono quasi tutti teenager e studenti intorno ai vent'anni. E questo è uno strano fenomeno, io invecchio e loro sono sempre più giovani. Leggere questo libro è diventato un rito di passaggio, un must-read, quello che per la mia generazione era "On the road" di Jack Kerouac. Sono felice che ora sia "Trainspotting". Nell’aria si respira voglia di anni Novanta. Perché questo decennio che non è stato tutto rosa e fiori attrae e affascina così tanto? Penso che gli anni Novanta siano stati potenti perché hanno rappresentato l'ultimo decennio di cultura prima che internet prendesse il sopravvento e fondamentalmente distruggesse la cultura. Adesso il desiderio di tornare all'era analogica espresso da tante persone è qualcosa di molto interessante. Questo impulso sta arrivando proprio dalla Gen Z e dalla generazione Covid che si è appena affacciata alla vita adulta. Pensiamo al fenomeno della "brat summer" nel Regno Unito . Ci sono tanti segnali di un ravvedimento che sta portando molte persone a desiderare di tornare nel mondo reale. Si tratta di un movimento ispirato agli anni Novanta, ma non è solo questione di nostalgia, perché è un movimento a trazione giovanile, ragazzi che tornano a uscire, a incontrarsi e a divertirsi come si faceva una volta e non hanno conosciuto il vecchio mondo. È un tema che chiaramente le sta a cuore. Penso che la gente sia stufa di Internet e degli idioti che filmano i concerti con i cellulari come dei miserabili e poi mettono la loro stupida faccia davanti alla telecamera del cellulare e via dicendo. Tutto questo finirà. Penso che inizieremo a utilizzare Internet e i social in modo molto più giudizioso senza più esserne schiavi. Dovremo buttare via i nostri smartphone, prenderci un Nokia e uscire, scriverci al massimo SMS e tornare a parlarci. Nessuno è interessato alle nostre foto di Instagram. È come quando ero bambino: mia madre aveva un proiettore di diapositive, invitava i vicini e faceva vedere loro le foto delle nostre vacanze. Gli invitati si annoiavano a morte. Succede lo stesso con gli account Instagram.