Perché l’Italia non vince più Nobel?

L’Italia è in fondo alla classifica dei premi Nobel. Al nostro Paese sono arrivati solo tre riconoscimenti, dal 2000 in poi, rispetto al gruppo degli appartenenti al G7. In testa ci sono gli Stati Uniti, in seconda posizione il Regno Unito, e poi nell’ordine: il Giappone, la Francia, la Germania, il Canada. Come mai? Cosa manca all’Italia? Ne parliamo con Massimo Inguscio professore emerito di Fisica della materia presso l'Università Campus Bio-Medico di Roma e membro dell’Accademia dei Lincei. Professore, ma perché abbiamo così pochi premi Nobel? Italiani come Giorgio Parisi, Nobel per la Fisica nel 2021, Riccardo Giacconi, sempre per la Fisica nel 2002, e Mario Capecchi, Nobel per la medicina nel 2007 sono pochi rispetto ai “cervelli” di altri Paesi. Il premio Nobel, come è noto, si riceve non per aver fatto tante cose ma per averne fatta una di cui gli altri non sanno nulla. Il Nobel premia le scoperte e le scoperte sono quelle che poi producono il progresso tecnologico, scientifico e culturale. Quello che è cruciale è il reclutamento di persone che dovrebbe avvenire tenendo conto delle persone meritocratiche, bravissime, che hanno dimostrato di avere titoli per meritare posti prestigiosi. In Italia non è così. In Italia non c’è meritocrazia? Le dico questo: il patrimonio umano è fondamentale e l’Italia non ha idea di questo. Ne consegue che la politica della ricerca non viene valorizzata. Quindi ci sono menti eccellenti in Italia, fior di laureati con ottimi voti che però qui non trovano un lavoro alla loro altezza? Le rispondo con un episodio che è successo a me personalmente. Una mia bravissima studentessa si è laureata in fisica a Milano ma facendo la tesi di laurea con noi nel laboratorio Lens di Firenze. Sempre al Lens ha poi fatto il dottorato, e due anni di post dottorato. Poi andò in America con una borsa di studio. Qui, a soli 35 anni è stata assunta come assistant professor ad Harvard. Da noi al massimo le avrebbero offerto un assegno di studio. Purtroppo quello che vedo è che in Italia i migliori, i più bravi, i meritevoli, non vengono premiati come dovrebbero. Non vengono assunti dopo anni di studio con un posto prestigioso come spetterebbe loro. È una questione economica? Mancano i soldi? No. Non è questo. I soldi ci sono, non mancano, potrebbero essere aumentati, questo sì, ma dovrebbero essere spesi in maniera strategica e premiando gli studenti migliori. Lei prima mi citava i tre Nobel italiani che hanno vinto il premio. Di questi tre, in realtà, l’unico vero italiano è Parisi, che ha vissuto sempre a Roma e ha studiato e fatto ricerca qui in Italia. Degli altri due posso dire che se ne sono andati presto in America ed è lì che hanno studiato, sperimentato, trovato lavoro. I Paesi del G7 che sono prima di noi, credono nella ricerca scientifica e se scoprono che c’è un 20enne bravissimo non se lo lasciano scappare. L’Italia questo non lo capisce. Ci sono Paesi in cui le Università si fondano sulla ricerca, dove si fa ricerca. Noi abbiamo tanti, centinaia di Atenei dove però ci si siede e si ascoltano le lezioni. Un dottorando che guadagna 1.200 e 1.300 al mese cosa può fare? Forse al sud riuscirebbe a vivere, ma al nord proprio no. Come vede il futuro in Italia? Non c’è speranza che le cose possano cambiare? Siamo destinati quindi a perdere gli studenti migliori? Io non sono pessimista. Un ricercatore è sempre ottimista. È l’ottimismo della ragione.