7 ottobre, un anno dopo: che ne è stato degli ostaggi?

A un anno dallo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, il destino degli ostaggi rapiti negli attacchi del 7 ottobre 2023, e ancora prigionieri a Gaza, resta incerto. E ora più che mai è reso precario dal fatto che ogni prospettiva di un cessate il fuoco appare remota. L’allargamento della guerra al Libano e lo stallo nelle trattative attorno al nodo del possesso israeliano del Corridoio Filadelfi al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto hanno di fatto esaurito lo sforzo negoziale guidato da Usa, Qatar e dallo stesso Egitto per mediare. Uno sforzo che aveva tra gli obiettivi primari proprio il ritorno a casa degli ostaggi che il 7 ottobre Hamas e le milizie palestinesi affiliate hanno catturato nell’attacco contro il sud di Israele. Le speranze di un ritorno a casa dei prigionieri superstiti, dopo il naufragio del cessate il fuoco e dell’accordo per lo scambio di prigionieri di novembre, sono state affidate a trattative oggi sempre più incerte. La partita della liberazione degli ostaggi è inoltre estremamente importante per gli equilibri politici in Israele. Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu è stato più volte contestato dai familiari delle persone rapite perché accusato di non stare facendo abbastanza per riportare a casa i prigionieri. Una protesta silenziosa si è manifestata anche oggi, nel primo anniversario degli attacchi: i familiari degli ostaggi si sono radunati ad Aza Street, a Gerusalemme, vicino alla residenza del primo ministro: “alcuni piangevano in silenzio, altri erano immobili, mentre una sirena risuonava da un furgone lì vicino per segnare l'ora in cui, un anno fa, era iniziato l'attacco terroristico di Hamas”, riferisce il Times of Israel. 115 liberati, 70 morti: un bilancio sugli ostaggi Secondo i dati forniti dal governo israeliano, il 7 ottobre sono stati rapiti da Hamas e portati, vivi, nella Striscia 251 tra cittadini dello Stato ebraico, stranieri e persone con la doppia nazionalità. Di questi, ne sono stati liberati 117. La maggior parte, 105, sono tornati in Israele durante lo scambio di prigionieri di novembre 2023, raggiunto nel corso dell’unica tregua finora siglata tra Israele e i vertici di Hamas. L’accordo ha consentito il rilascio di 81 ostaggi in cambio della liberazione di 240 dei 5200 prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri dello Stato ebraico. Separatamente, 23 cittadini thailandesi e un filippino, sono stati liberati a seguito di un negoziato tra il governo di Bangkok e Hamas, mediato dal Qatar. In precedenza, a fine ottobre Hamas aveva rilasciato unilateralmente quattro ostaggi: due cittadini americani e due anziane donne israeliane. Completano il novero dei prigionieri tornati nello Stato Ebraico otto ostaggi salvati dall’Israel Defense Force in varie operazioni nella Striscia. Gli ostaggi morti in un anno di guerra, secondo l’Idf, sarebbero 70, ma finora solo 37 corpi senza vita sono stati riportati in patria. L’esercito israeliano ha ammesso di aver ucciso per errore almeno 3 ostaggi nel corso delle incursioni su Gaza. Hamas accusa Israele di aver causato la morte di 9 ostaggi durante i primi bombardamenti su Gaza, mentre è certo che sono imputabili a uccisioni deliberate da parte di Hamas le morti di 12 ostaggi a fine agosto. Sei sono stati trovati morti in un tunnel di Khan Younis tra il 19 e il 20 agosto con ferite da arma da fuoco. Il 31 agosto altri sei, tra cui l'israeliano-americano Hersh Goldberg-Polin, sono stati rinvenuti uccisi a Rafah. La sorte incerta di 64 ostaggi Hamas, poco dopo quell'episodio, tramite il portavoce delle Brigate armate al-Qassam, Abu Obaida, ha comunicato che "sono state impartite nuove istruzioni ai Mujahideen incaricati di sorvegliare i prigionieri. Queste istruzioni delineano come gestire la situazione se l'esercito di occupazione si avvicina al luogo in cui sono detenuti i prigionieri". Una strategia volta a scoraggiare i tentativi dell'Idf di liberarli manu militari. Nel complesso, la situazione attuale pone gravi dubbi sul futuro dei 64 prigionieri mancano all’appello . Ostaggi la cui sorte resta drammaticamente appesa a un filo. Tra una guerra che si va ampliando e trattative sempre più remote, i prigionieri di Hamas rischiano di essere vittime del caos che sta travolgendo la regione e di cui al momento non si vede la fine.