La crisi in Venezuela fa tremare i precari equilibri del Brasile di Lula

Da settimane ormai il Brasile del presidente Luiz Inácio Lula da Silva osserva con preoccupazione la precaria situazione politica determinatasi in Venezuela dopo le elezioni del 28 luglio in cui il presidente Nicolas Maduro si è dichiarato vincitore al termine di un processo fortemente contestato dalla comunità internazionale. La crisi infatti rappresenta un importante test diplomatico per il Brasile che fin dal primo momento ha sviluppato una pressione moderata, come ci si attende da un paese che aspira alla leadership dell’area sudamericana: nessuno sconto a Maduro da un lato, attenzione a mantenere aperta la porta a una mediazione politica tra il governo chavista e l’opposizione unitaria dall’altro. L’obiettivo, da conseguire con ogni mezzo, pensiero prevalente nei palazzi del potere di Brasilia, è di evitare il collasso del Paese verso il caos. Il presidente e il governo brasiliano non hanno interesse a una crisi securitaria ai loro confini qualora lo scontro tra governo e opposizione in Venezuela degenerasse. E il Brasile mira a evitare il precipitare del Venezuela nel caos di un possibile conflitto civile o un ripetersi della crisi umanitaria degli anni scorsi che ha portato alla fuga di 3 milioni di persone durante gli anni dell’iper-inflazione, dell’impoverimento generalizzato e della svolta autoritaria sempre più marcata di Maduro. Questa esigenza, in una fase critica quanto volatile della vicenda in atto, si è concretizzata in una posizione chiara da parte del Brasile: associare alle critiche verso Maduro un appello continuo alla legalità internazionale per aprire la strada a una potenziale mediazione. O perlomeno al tentativo di risolvere politicamente la vicenda. I timori del collasso venezuelano Quella a cui il Brasile punta è una stabilità a tutto campo che crei i presupposti per una tenuta di lungo periodo. Per questo il paese ha offerto a Maduro e all’opposizione venezuelana spazio per una mediazione basata su tre capisaldi: la costituzione di un governo di unità nazionale aperto a chavisti e membri dell’opposizione, un’amnistia per i prigionieri politici incarcerati, la convocazione di nuove elezioni. Una proposta basata sugli Accordi di Barbados dello scorso anno che hanno regolato il processo elettorale e le cui prescrizioni, accettate dal governo venezuelano e dall’opposizione, imponevano il rifiuto della violenza politica e la convivenza pacifica. Lula, con pazienza, si è unito al presidente colombiano Gustavo Petro e al leader messicano Andres Manuel Lopez Obrador nel costruire una proposta di mediazione di cui i tre governi restavano gli unici possibili autori. Con una parte maggioritaria delle Americhe, dagli Usa all’Argentina, che ha disconosciuto Maduro e una componente di alleati ideologici del chavismo, come Nicaragua e Cuba, che invece difendono a spada tratta il leader socialista, solo i tre Stati possono fare da pontieri. E in particolare, la Colombia del leader socialista Gustavo Petro condivide col Brasile le stesse preoccupazioni per un collasso del Venezuela. Una pazienza non ricambiata? La pazienza dei governi in questione non è dovuta tanto alla loro impronta progressista, come sottolineano i critici della strategia del gruppo guidato da Lula che paventano possibili simpatie per il socialista autoritario Maduro, quanto al timore per il collasso di Caracas e, riporta American Quarterly, alla necessità di maneggiare il caos e di evitare gli errori del recente passato: solo cinque anni fa “la strategia dei paesi occidentali e latinoamericani di riconoscere l'ex leader dell'opposizione Juan Guiadó è fallita clamorosamente e ha costretto i governi a ristabilire goffamente i legami con il regime venezuelano, poiché la presa del potere di Maduro si è dimostrata più resiliente del previsto”. La speranza di Brasilia è che un dialogo possa maturare. Il problema, per Lula, è che da Caracas non sembra esserci disponibilità ad accettare altro esito che quello auto-proclamato dalle istituzioni governative. Così va inteso l’ordine d’arresto spiccato dal Venezuela nei confronti di Gonzalez Urrutia, il candidato di opposizione ora riparato in Spagna. Un passo che racconta della sordità di Maduro a ogni tentativo di compromesso. Anche a costo di sacrificare gli sforzi di chi, come Lula e gli alleati, sta cercando di operare come pontiere per evitare il caos generalizzato a Caracas.