Joe Biden, la parabola di un underdog

“Sono orgoglioso di chiamare Joe Biden il mio Presidente, ma soprattutto di poterlo chiamare mio amico”. Le parole di Barack Obama, pronunciate sul palco della convention di Chicago, sono l’ennesimo tributo all’uomo che si è fatto da parte, ma sembrano anche la pistola fumante in mano a colui che, insieme ad altri, ha fatto in modo che il ritiro fosse alla fine inevitabile. Alla Convention i democratici hanno affidato a Biden il keynote speech della prima serata: un posto d’onore che, in fondo, tradisce anche la loro volontà di togliersi il dente il più in fretta possibile. La prima serata è stata dedicata alle vecchie glorie, ma è finita con un sospiro di sollievo e il fruscio di una pagina voltata. “Grazie, Joe”, ripetevano gli oratori, “quella è la porta” . Vorrei aver passato del tempo con Biden nella sua vacanza californiana, subito dopo la Convention, per carpire almeno alcuni dei suoi pensieri. L’uomo che all’inizio della sua carriera tutti consideravano troppo giovane per fare il senatore, ha chiuso la sua carriera perché tutti lo considerano troppo vecchio per fare il presidente. Si è sempre sentito un indesiderato, Joe Biden. Il ragazzo di Scranton, in Pennsylvania, si è affacciato sulla scena politica con l’atteggiamento dell’underdog, l’indesiderato che deve faticare più degli altri per avere il posto che merita. Quando i malumori hanno cominciato a diffondersi all’interno del partito, dopo il disastroso dibattito televisivo con Trump, Biden deve aver pensato che la vendetta dell’establishment alla fine era arrivata. I raffinati intellettuali di Capitol Hill, infastiditi dalle sue maniere da uomo del popolo e dalle sue chiacchiere franche , l’avevano sopportato per oltre cinquant’anni. Adesso avevano trovato il modo di farlo fuori. Biden è un uomo abituato a scontrarsi con il destino. Convinto di essere nato per fare il presidente, sconfitto più volte alle primarie, costretto a farsi da parte nel 2016, è arrivato alla Casa Bianca nel 2020 senza avere neppure la soddisfazione di vedersi riconoscere la vittoria dall’avversario. Candidato due volte, non ha mai avuto la possibilità di essere incoronato nel chiasso festoso di una Convention: quella del 2020 è stata pesantemente ridimensionata dal covid, quella del 2024 è andata in scena dopo la sua rinuncia alla candidatura. È per questo che il discorso d’addio assomigliava pericolosamente a quello con cui avrebbe accettato la nomination, se qualcuno gliel’avesse data. Buona parte dell’intervento di Chicago se n’è andata rivendicando i risultati di un’amministrazione che Biden paragona più o meno esplicitamente a quella di Franklin Delano Roosevelt. Un passaggio quasi altrettanto consistente è stato dedicato ad attaccare Trump con la furia di un avversario senza più nulla da perdere. Solo una porzione relativamente contenuta dello speech ha avuto come oggetto le capacità di Kamala Harris di arrivare alla Casa Bianca. Intendiamoci, Biden non ha avuto esitazioni nell’appoggiare la sua vice e le sta dando tutto il sostegno necessario, ma anche la scelta di Kamala Harris, nella visione del presidente, va inserita nell’elenco dei suoi successi. “L’ho scelta io”, sembra dire Biden, “l’ho istruita io, ho fatto in modo che fosse in grado di battere Trump, e ora può farlo davvero” . Concluso il discorso di Chicago, nei corridoi semideserti dello United Center sono rimasti i cartelli con la scritta “Thank you, Joe”. In basso, in un carattere molto più piccolo, si poteva leggere: £pagato dal comitato per Kamala Harris presidente. Il diavolo si nasconde nei dettagli, e non solo lui.