Dall'Ucraina a Gaza, è West versus The Rest?

All’ombra della transizione multipolare dell’ordine internazionale prende forma, per molti osservatori, l’idea di una dicotomia crescente tra un “Global West”, un Occidente trincerato a difesa dell’ordine mondiale basato su regole condivise, e un “Global Rest” che si muove secondo scelte proprie e principi diversi. Lo faceva notare Foreign Policy già nel 2022 analizzando come il mondo “non fosse veramente unito” contro la Russia che aveva appena invaso l’Ucraina, ma sono molti altri i casi in cui le priorità dei Paesi dell’Occidente allargato, che unisce essenzialmente Usa, Canada, Europa, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud – si sono in parte discostate da quelle del resto delle grandi e medie potenze. La definizione di “Rest” messo in contrapposizione all’Occidente va di pari passo con quella di “Sud Globale” usato per definire quei Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia che stanno leggendo le conflittualità geopolitiche contemporanee con chiavi che si discostano da quelle occidentali. Per molte potenze, ad esempio, l’invasione russa è da deplorare ma non necessariamente da condannare, e dunque Stati come Messico, Brasile, India non si sono mossi per esplicitare il sostegno al Paese invaso. “All'interno di uno spazio geopolitico conteso, spesso tra Paesi del Nord e del Sud, molti Paesi del Sud, come Brasile, India e Sudafrica, si sono concentrati sul realismo pragmatico per raggiungere i propri interessi nazionali. Questo approccio consente a questi paesi di orientarsi nella politica globale bilanciando le proprie esigenze immediate e gli obiettivi a lungo termine senza essere strettamente vincolati ad allineamenti ideologici o alla politica di blocco”, ha scritto per Ispi Gustavo de Carvalho, ricercatore dell’Istituto sudafricano di affari internazionali. Un confronto asimmetrico L’Occidente ha un sistema strutturato di alleanze, dalla Nato alla più recente Aukus , plasma con i suoi valori e le sue politiche l’ordinamento delle istituzioni internazionali, difende un approccio delle relazioni internazionali fondato su un’architettura costituita. Altri Paesi, invece, si plasmano in format più liquidi e meno legati a strutture consolidate: si pensi al gruppo Brics o all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Complice il dinamismo di Russia e Cina, il “Global Rest” o Sud Globale ha preso una sostanziale divergenza dall’Occidente su molti dossier strategici. Si pensi, per esempio, a come l’Occidente abbia subito manovre ai suoi fianchi come la caduta dei regimi filo-francesi nella cintura di Paesi africani a sud del Sahara tra il 2022 e il 2023, con una sostanziale “manina” russa, o veda molti Paesi latinoamericani, nel tradizionale cortile di casa degli Usa, aprirsi a scambi e rapporti floridi con la Cina. Se l’ambiguità di molti Paesi sull’Ucraina è stata un assaggio, è sul caso del conflitto a Gaza che una parte di mondo è riuscita a mettere in discussione molte delle priorità geostrategiche su cui i Paesi occidentali hanno costruito l’ordine internazionale negli ultimi decenni. Global West e Global Rest Buona parte dei Paesi del Sud Globale, si pensi in particolare a Brasile, Sudafrica e Indonesia per fare alcuni nomi, hanno dopo i tragici attentati del 7 ottobre condannato la reazione brutale di Israele all’assalto di Hamas e il massacro in atto a Gaza, adducendo spesso il tema del “doppio standard” tra il trattamento che ricevono i Paesi amici dell’Occidente e quelli più distanti da esso. “La riluttanza del Nord a reagire a Israele per le sue azioni a Gaza, giustapposta alla loro ferma denuncia dell'aggressione della Russia in Ucraina , ha alimentato un sentimento di ipocrisia nel Sud del mondo”, ha analizzato Carvalho. Viene decostruito, dunque, quello che l’economista Imad A. Moosa della RMT University di Melbourne ha definito “eccezionalismo occidentale” e non ha più presa in molti Paesi. “Il Global Rest non deve essere sommariamente bollato come una coalizione di paesi animata da una pervicace ostilità nei confronti delle democrazie occidentali, da anacronistiche velleità terzomondiste o da pura rivalsa contro il colonialismo del XIX e XX secolo”, ha scritto l’ex ambasciatore italiano Marco Carnelos sulla rivista della Fondazione Italianieuropei. “Non è questa l’intenzione né, tantomeno, molti di questi Paesi potrebbero agevolmente permettersi una tale posizione. Piuttosto, il Global Rest tenta di sottrarsi alla crescente competizione tra le grandi potenze” dichiarando di voler esistere e contare. Sul fronte di Gaza, un grande fattore di novità è stato rappresentato dalla penetrazione delle istanze del Global Rest in Occidente. Innanzitutto, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha lasciato molto spazio alle opzioni di critica e condanna a Israele, permettendo che l’Assemblea Generale si trasformasse, in molti casi, in un “tribunale” sulle mosse del Paese. In secondo luogo, nel caso della denuncia del Sudafrica a Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia per il rischio genocidio al governo di Pretoria si sono aggiunte varie cancellerie occidentali. Il caso del processo a Israele E così l'Irlanda, la Slovenia e, soprattutto, la Spagna si trovano nel gruppo di Stati che sostengono la causa del Sudafrica per indagare sul presunto rischio di genocidio nella guerra di Gaza. Trovandosi al fianco di Brasile, Cile, Cina, Colombia, Cuba, Indonesia, Egitto, Iran, Messico, Pakistan, Siria, Turchia, Venezuela, di molti Paesi minori dell'Africa e dell'America Latina, dell'Unione Africana, della Lega Araba, dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica e del Movimento dei Non Allineati, in una spaccatura che vede invece un gruppo di Paesi occidentali guidato da Germania e Usa e che include anche gli Stati più saldamente pro-Tel Aviv come l'Ungheria di Viktor Orban lavorare con Israele per respingere la causa. Un fatto su un dossier specifico che mostra quanto, in sostanza, si stia assistendo a una riformulazione di rapporti internazionali e ci siano Paesi, come la Spagna, che si rendano conto dell’impossibilità di continuare a considerare quella dei Paesi extra-occidentali come una mera presa di posizione di principio contro il campo a guida euro-americana. Ma, nel contesto di un mondo competitivo, come una domanda di maggior partecipazione agli affari internazionali e di una vera applicazione di standard condivisi e multilaterali. Non rispondere a questa domanda, nei limiti del possibile, potrà fornire solo armi a chi, come la Russia, lavora per colpire ai fianchi questo ordine internazionale e metterlo in discussione.

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