Usa, verso la convention democratica: Harris alla prova del programma

La Convention Nazionale del Partito Democratico americano si avvicina: dal 19 al 22 agosto, a Chicago non ci sarà soltanto l’ufficializzazione di Kamala Harris come candidata alla Casa Bianca dopo il ritiro di Joe Biden. La vicepresidente uscente ha ottenuto ufficialmente nella giornata del 2 agosto i candidati necessari a sostegno per presentarsi a Chicago come presumptive nominee, candidata in pectore del partito. Questo rimuove, in vista della convention, il maggior elemento di complessità per la campagna democratica che era emerso dopo il ritiro di Joe Biden: l’eventuale profilarsi di una competizione interna che Harris è riuscita a sterilizzare in partenza. La corsa verso novembre e la sfida a Donald Trump è tracciata, ma la Convention dovrà sciogliere determinati nodi in una campagna le cui prospettive sono decisamente mutate rispetto a poche settimane fa. Il blitz di Harris sul vice Harris nominando il governatore del Minnesota Tim Walz come candidato vice ha smarcato la prima, attesa sfida per la Convention. Si pensava che si sarebbe arrivato a Chicago perché il Democratic National Committee agisse scegliendo chi sarebbe stato il contraltare di J.D. Vance, 40enne senatore dell’Ohio, da parte di Trump. Nominando Walz Harris ha mandato un messaggio. Che prende le mosse della nomina di Vance, la quale riflette una scelta precisa: fare del ticket una questione-bandiera per far emergere determinate scelte valoriali, come il conservatorismo sociale e lo scetticismo verso la globalizzazione, e parlare a un elettorato-chiave come quello degli Stati periferici della “Rust Belt”. Il ritiro di Roy Cooper, governatore della North Carolina a trazione conservatrice in cui i democratici governano, ha accorciato la shortlist. E posto i Dem di fronte al rischio di una spaccatura del partito tra i governatori con le maggiori credenziali anti-Trump alla guida di Stati chiave: Josh Shapiro della Philadelphia, Stato in cui il 4 settembre si svolgerà il primo dibattito Harris-Trump, è stato ritenuto un nome caldo; altissime credenziali anti-trumpiane sono state accreditate anche alla governatrice di un altro Stato chiave, Gretchen Whitmer, considerata portatrice di sane credenziali progressista. Su questo, però, Harris ha fatto primeggiare lo stimolo a unire il partito. Via libera dunque a Walz, progressista ritenuto nome di compromesso anche per la provenienza da uno Stato, il Minnesota, dove la tradizione di egemonia dem è consolidata e dove non si dovrà forzare troppo la mano su temi ideologica o questioni bandiera come i diritti civili per far emergere l'unità dem. Si rimanderanno ai prossimi anni le possibili dualità tra Whitmer e Shapiro che appaiono papabili Candidati alla Casa Bianca in futuro e, complice la volontà degli stessi contendenti di non creare divisioni, con la scelta di Walz è passata la priorità di Harris: serrare le linee e tenere dritta la barra. Il nodo programma Di pari passo andrà il dibattito sulla piattaforma programmatica dei democratici verso la campagna presidenziale. In cui il partito dell’asinello dovrà pesare la volontà di Harris di promuovere, come ha fatto Biden, una sintesi tra l’ala moderata e più gradualista del partito, l’establishment della formazione per eccellenza, la sinistra che fa riferimento a figure come Bernie Sanders e le componenti liberal “dirittiste”. Sanders, Ocasio-Cortez e gli altri membri del campo progressista hanno promosso la strategia di difendere Biden fino all’ultimo e di voler barattare il sostegno a Harris con un’agenda ampiamente progressista. Il punto di partenza, per loro, è il piano presentato da Biden a Detroit, in Michigan, poco prima del suo ritiro, nella giornata del 15 luglio. In quell’occasione Biden, come ha ricordato il Guardian, ha messo a terra progetti che promuovono “il rafforzamento della previdenza sociale e del Medicare, il rafforzamento del diritto di voto e l'introduzione di una legislazione volta a ripristinare il diritto delle donne all'aborto, precedentemente sancito dalla sentenza Roe contro Wade, una sentenza storica annullata dalla Corte Suprema due anni fa. Biden, inoltre, ha in quell’occasione avanzato la proposta di “porre fine al debito medico, che grava su molti americani più poveri, in un’apparente estensione delle riforme che la sua amministrazione ha già promesso e che impedirebbero a tale debito di apparire nei rapporti di valutazione creditizia, rendendo potenzialmente più facile per milioni di persone possedere una casa o un’auto”. Un’agenda ampia che presuppone una coesione esecutiva nel partito: saprà la liberal-dirittista Harris seguire il pragmatismo del centrista Biden nell’incorporazione delle proposte della decisiva minoranza interna nel programma di partito? La scelta di Walz, simpatico alla causa della sinistra dem, sembra indicare questa direzione. Dalla capacità di sintesi si giocherà la capacità del Partito Democratico di consolidare la coalizione vincente del 2020. La sfida dell'unità Dalla fine della convention, il 22 agosto, al dibattito Harris-Trump del 4 settembre passeranno due settimane decisive per far decantare la nuova linea politica del partito che attualmente controlla la Casa Bianca. I dem vogliono che il dibattito riscatti quello infruttuoso di giugno e sia la testimonianza della capacità programmatica di una formazione che affronta la corsa alla Casa Bianca con una rinnovata vitalità. Ma deve difendere l’unità interna per continuare a mantenere aperte e contendibili le presidenziali.

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