Sudan, quindici mesi di guerra e lo spettro della carestia

Per la prima volta da 15 mesi un negoziato di pace riporta la speranza di un cessate il fuoco in Sudan. A un anno e mezzo dall’inizio del conflitto, il Sudan è preda di una tragedia umanitaria causata, come ha dichiarato di recente l’inviato Onu Martin Griffiths “da una guerra di ego, tra due uomini pronti a sacrificare il proprio paese". Le violenze tra i militari dell’esercito sudanese , guidate dal generale Abdel Fattah Al-Burhan, e le Forze di Supporto Rapido del generale Hamdane Dagalo hanno spinto il paese in una crisi senza precedenti, scatenando quella che potrebbe diventare la peggior carestia degli ultimi decenni. Dall’inizio delle ostilità, nell’aprile 2023, almeno 14mila persone hanno perso la vita, oltre 10mila sono fuggite dalle proprie case e nella regione occidentale del Darfur sono in corso violenze sistematiche dietro cui gli osservatori Onu, allarmati, riconoscono elementi di pulizia etnica e genocidio. È in questo contesto che gli Stati Uniti hanno invitato le parti in guerra a tenere colloqui per il cessate il fuoco: il negoziato, che si apre il 14 agosto a Ginevra, in Svizzera, sarà co-ospitato dall'Arabia Saudita e includerà l'Unione Africana, l'Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e le Nazioni Unite in qualità di osservatori. Il conflitto si espande Nei primi mesi di conflitto gli scontri si erano concentrati soprattutto nell’area metropolitana di Khartoum – costituita dalle tre città gemelle di Khartoum, Khartoum Nord e Omdurman, che si incontrano nel punto in cui Nilo Bianco e Nilo Azzurro confluiscono diventando il Nilo principale – e in alcune zone del Darfur, a iniziare da El-Geneina, la capitale del Darfur occidentale, che tra fine aprile e metà giugno 2023 era stata teatro di stragi con una nettissima connotazione etnica. Gli scontri nella capitale avevano subito portato al trasferimento del governo, costituito da ciò che rimaneva delle istituzioni transitorie create in seguito alla rivoluzione del 2018-2019, a Port Sudan, città sulla costa sudanese del Mar Rosso. Negli ultimi mesi del 2023, però, le Rsf sono riuscite a espandere notevolmente le aree sotto il loro controllo, conquistando le altre capitali regionali del Darfur: Nyala, Zalingei e El Geneina. Oggi sono arrivate a controllare una maggiore porzione di territorio negli stati del Kordofan settentrionale e del Kordofan occidentale, facendo pressione sulle principali città di El-Obeid, En-Nahud, El-Fula, Babanusa. Gli sforzi militari di controffensiva dell’esercito regolare hanno portato risultati soltanto a Omdurman a inizio febbraio, con la riconquista dall’alto valore simbolico anche se dalla limitata portata territoriale dei quartieri centrali della città, attorno alla sede della radio e della tv nazionali. Chi sostiene la guerra? A complicare le possibilità di un cessate il fuoco c’è la convinzione, comune a entrambe le parti in lotta, che una vittoria militare sul terreno sia possibile, grazie anche al sostegno di attori esterni. Se alcuni osservatori ritengono credibile che l’esercito sudanese sia sostenuto da Egitto e Iran, per quel che riguarda la milizia di Hemedti, si tratterebbe soprattutto dell’appoggio degli Emirati Arabi Uniti. Abu Dhabi è il principale importatore di oro dal Sudan e ha piani multimiliardari per sviluppare porti lungo la costa sudanese del Mar Rosso. Secondo le accuse di funzionari e diplomatici riportate in diversi report dell’Onu, gli Emirati forniscono armi e droni e curano i combattenti feriti, trasportando i casi più gravi in aereo in alcuni dei loro ospedali militari nel vicino Ciad. Il governo dell’emirato nega ogni addebito e insiste sul fatto che le sue operazioni al confine con il Sudan siano puramente umanitarie. Tuttavia, senza il sostegno diretto di Abu Dhabi e di altri attori esterni le Rsf non sarebbero state in grado di avanzare così rapidamente, arrivando a controllare quasi tutte le province del Darfur. Civili tra due fuochi A fare le spese di combattimenti incessanti è soprattutto la popolazione civile. Stando agli ultimi dati, su una popolazione complessiva di circa 45 milioni di persone, la metà ha bisogno di aiuti umanitari e 11 milioni sono state costrette a fuggire dalle loro case. Il Sudan è sede della più grande crisi educativa al mondo , con la maggior parte delle scuole chiuse e circa 19 milioni di bambini impossibilitati a frequentare le lezioni. Le organizzazioni umanitarie avvertono che l'esercito sudanese, che rappresenta la fazione formalmente riconosciuta come governo del Sudan dalle Nazioni Unite, sta ostacolando il flusso di assistenza alimentare essenziale nelle aree occidentali del paese controllate dalla RSF. In questa situazione, una flebile speranza di una soluzione politica arriva dall’annuncio che parti in conflitto hanno concordato di partecipare a nuovi negoziati , facilitati da uno sforzo congiunto guidato da Stati Uniti e Arabia Saudita e programmati per essere tenuti in Svizzera il mese prossimo. A minacciare i tentativi di approdare a una soluzione politica è il continuo flusso di armi: finora gli scontri sono stati intervallati da una miriade di cessate il fuoco e tregue, durati a malapena giorni, in alcuni casi appena poche ore, dopo essere stati conclusi.