Demolendo Gattaca. Storia di John McFall, primo parastronauta europeo

Quando ci incontriamo per l’intervista, mi vengono in mente le parole del veterano dello spazio italiano Paolo Nespoli sugli astronauti alle prese con l’assenza di gravità: “Il cambiamento più grande è a livello mentale. L'astronauta una volta nello spazio diventa un disabile ma come tutti i disabili, poi, si adatta alla sua nuova condizione”. Disabilità e labili confini John McFall ringrazia il collega esperto per l’analogia e chiarisce subito cosa voglia dire per lui la parola disabilità: “il nostro linguaggio è fatto di parole e disabilità è soltanto un termine che utilizziamo per comunicare un concetto e garantirci una comprensione reciproca con i nostri interlocutori. Ma quello che poi accade è che ogni persona ha una sua propria percezione di cosa significhi il termine disabilità. Ora, è molto probabile che per me abbia meno confini rispetto a qualcuno che non è nella mia condizione e non abbia vissuto il mio genere di esperienza. È importante far capire che il termine cambia di significato a seconda dell’esposizione alla disabilità che ognuno di noi ha avuto nella vita. Oggi io sono impegnato in qualcosa più grande di me, qualcosa che ha a che fare con la scienza, che sfida la narrativa, per creare un’opportunità alle persone con disabilità in un concetto più ampio di società e di accesso allo spazio”. Il primo parastronauta europeo John McFall è stato selezionato nell’ultima classe di astronauti dell’Agenzia spaziale europea, annunciata a Parigi nel novembre del 2022. Su 22.500 domande provenienti da tutta Europa ce l’hanno fatta in 17. Cinque sono stati nominati astronauti professionisti, hanno terminato il training al Centro di addestramento europeo di Colonia lo scorso aprile e due di loro sono già stati assegnati a missioni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale a partire dal 2026. Dodici sono riserve, tra cui lui, su cui l’ESA ha costruito “Fly!” primo studio di fattibilità del volo spaziale per astronauti con disabilità fisica. “Candidati adesso per diventare astronauta ESA” recitava il bando datato 31 marzo 2021, destinato a candidate e candidati qualificati senza distinzioni di genere. Per mantenere la promessa, l’Agenzia spaziale europea ha lanciato anche un concorso per lo studio di fattibilità 'Parastronauta”. Una prima mondiale, che, specificava l’Agenzia, “intende abbattere le barriere per le persone che convivono con disabilità fisiche e permettere loro di compiere una missione spaziale professionale”. L’allora Direttore dell’Esplorazione Umana e e robotica dell’Agenzia David Parker commentava così il progetto: "Rappresentare tutte le parti della nostra società è un impegno che prendiamo molto seriamente. La diversità in ESA non deve riferirsi solo a origine, età, bagaglio culturale o genere dei nostri astronauti, ma anche a possibili disabilità fisiche. Per trasformare questo sogno in realtà, insieme al reclutamento delle astronaute e degli astronauti, sto lanciando il Parastronaut Feasibility Project , un'innovazione che è tempo di introdurre". Dall'incidente alle Olimpiadi John McFall, inglese del sud dell’Inghilterra, classe 1981, è stato il candidato che ha vinto quella selezione. Segue una breve sintesi del suo curriculum. Caduto in motorino a 19anni, durante uno dei viaggi che aveva intrapreso dopo l’adolescenza, ha perso una gamba ma non ha mai smesso di correre. Diventato atleta paralimpico, ha vinto un bronzo nei 100 metri ai giochi Olimpici di Pechino del 2008. Appassionato di scienza e di “meccanica del corpo”, per dirla alla sua maniera, a 28 anni si è iscritto a medicina a Cardiff ed è diventato un chirurgo ortopedico. Sposato con tre figli piccoli, vive ancora nel sud dell’Inghilterra. “Ad essere onesto diventare astronauta non era nelle mie intenzioni – ci confessa - quando ho scoperto il bando dell’ESA mi ha incuriosito per due motivi. Il primo da un punto di vista personale, perché abbracciava così tante cose che mi piacciono nella vita: l’avventura, la sfida accademica e fisica, tutto concentrato in un unico lavoro. Il secondo motivo è che ho pensato che la mia formazione di atleta, di militare e le mie conoscenze scientifiche potessero essere d’aiuto all’Agenzia. Quando, dopo settimane di attesa, il Direttore generale Josef Aschbacher ha telefonato dalla Francia per annunciarmi personalmente che ero stato selezionato, ho intravisto subito il grande privilegio di rappresentare l’Agenzia Spaziale Europea e l’Agenzia Spaziale del Regno Unito in questo ruolo nuovo. È stato un momento davvero molto emozionante”. Tenere i piedi a terra con la testa nello spazio A giugno dello scorso anno John ha iniziato il suo percorso. Ha trascorso mesi impegnato in meeting con la Nasa e altri partner internazionali della Stazione spaziale che collaborano allo studio, mirato a una missione di lunga durata , si è allenato facendo sport e attività fisica, ma soprattutto sottoponendosi a una parte del training svolto dal gruppo di astronauti professionisti a Colonia e in California, per superare le procedure di emergenza in caso di evacuazione dalla Crew Dragon di SpaceX sulla rampa di lancio. “Il momento forse più difficile– racconta - è stato il corso di sopravvivenza in mare dove, nonostante fossimo nel Baltico, la temperatura sfiorava i 30 gradi e noi indossavamo tute di neoprene e guanti bollenti su una zattera che faceva su e giù tra le onde, impegnati in un intervento medico di emergenza senza riuscire a vedere l’orizzonte. È stata la situazione più scomoda, ma non aveva a che fare con la mia disabilità nello specifico”. Quando gli chiediamo se si sente un pioniere ci risponde risoluto che qui è L’Agenzia Spaziale Europea il vero pioniere, lui al massimo si considera il portabandiera di questo progetto. In più ci tiene a sottolineare che aver superato i test ed essere considerato idoneo a volare non significa automaticamente che sarà lui ad andare nello spazio. “Ma se ne avrò l’opportunità voglio dimostrare che la disabilità non è un tema, che sono in grado di integrarmi pienamente con il resto dell’equipaggio e di svolgere gli stessi compiti con le stesse responsabilità”. Essere riconosciuto come parte della squadra, far capire agli altri che tutto questo ha un senso, condurre esperimenti sulle protesi da utilizzare, magari scoprendo tecnologie innovative con ricadute utili sulla Terra, questi sono i chiodi fissi di John. “Quando ero un atleta il mio lavoro era eccellere, come sergente dell’esercito la mia capacità di rispondere alle esigenze era indipendentemente dalla mia disabilità. Quello che in questo caso mi ha colto di sorpresa è dover costantemente dare prova delle mie abilità perché questo è lo scopo dello studio di fattibilità, che sarà completato entro la fine dell’anno. Il report finale sarà disponibile dalla prossima primavera e spero davvero che la gente riconosca il grande lavoro che stiamo facendo e in futuro sia portata a fare studi anche su disabilità diverse dalla mia”. Uno spazio da democratizzare “È qualcosa che sta già avvenendo, riscontriamo grande interesse da parte di altre agenzie spaziali – puntualizza Daniel Neuenschwander, Direttore ESA per l’esplorazione umana e robotica – riguarda la democratizzazione dello spazio, perché lo spazio è lì per tutti e nell’esplorazione vogliamo sempre spostare in avanti la frontiera, ma a farlo non possono essere solo i piloti collaudatori, e questo è un modo di rendere più accessibili le attività spaziali. Come dice John, e non vale solo per le persone con disabilità, vivi il tuo sogno invece di sognare per tutta la vita”. Anche se dice di non poter proiettare il suo cervello così in là da immaginare un nome per la sua missione, il sogno di John McFall è quello di poter un giorno volare nello spazio, proprio come il protagonista del film “Gattaca” Vincent Freeman , etichettato come imperfetto in una società di donne e uomini generati artificialmente senza imperfezioni e destinati a compiere missioni spaziali. Un non valido che, grazie all’aiuto di un atleta paraplegico e di un medico aziendale, riesce a ingannare tutti e trovare la sua via per Titano. “Per uno che non doveva far parte di questo mondo – le parole di Vincent alla fine del film - devo confessare che all’improvviso mi costa lasciarlo. Però dicono che ogni atomo del nostro corpo una volta apparteneva a una stella.. forse non sto partendo, forse sto tornando a casa”.