Hamas e il dopo Haniyeh: i falchi alla finestra

La morte di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas ucciso a Teheran dove si trovava in visita per la cerimonia di insediamento del neo-eletto presidente Masoud Pezeshkian, è uno degli eventi politicamente più significativi dall’inizio della guerra a Gaza e un potenziale punto di svolta per la complessa organizzazione che da quasi un ventennio governa la Striscia. Con Haniyeh muore, sostanzialmente, l’ala politica di Hamas, protagonista negli ultimi mesi dei serrati negoziati per il cessate il fuoco, mediati col sostegno degli Stati Uniti da Qatar e Egitto. Di recente l’ufficio politico dell’organizzazione, basato a Doha, aveva dato il via libera all’accordo-quadro con le fazioni palestinesi mediato da Pechino e finalizzato alla creazione di un governo di unità nazionale che governasse la Striscia all’indomani della fine della guerra. Un risultato raggiunto anche grazie al sostegno del leader politico, considerato una voce ‘pragmatica’ del movimento, che fino ad oggi aveva sempre dato priorità al consolidamento di Hamas rispetto alla lotta frontale con Israele. Mentre i contorni dell’uccisione cominciano a delinearsi, le sue ricadute sono oggetto di speculazioni e analisi: La morte di Haniyeh - scrive il vicepresidente del Quincy Institute Trita Parsi - “uccide i negoziati di pace”. E questo è un dato di fatto, a prescindere dalla natura della ‘mano’ che ha provocato l’esplosione fatale. Il risultato è che dentro l’organizzazione che governa la Striscia di Gaza dal 2006 peserà sempre di più il ruolo dell’ala militare guidata da Yahya Sinwar - il cui numero due Mohammed Deif è stato dichiarato a sua volta ucciso dalle IDF lo scorso 13 luglio - in cima alla lista dei nemici pubblici di Israele, e considerati gli organizzatori dell’attacco del 7 ottobre. Hamas: idra dalla doppia testa? La diarchia Haniyeh-Sinwar si traduce in un contrasto di priorità interne che la rivista Foreign Affairs spiega in questi termini: “I membri più pragmatici, molti dei quali vivono fuori Gaza, cercano influenza tra i palestinesi in Cisgiordania e sperano di emergere come forza dominante all’interno del movimento nazionale palestinese”. Al contrario, i falchi, tra cui Yahya Sinwar, “si sono dedicati alla distruzione di Israele e sono disposti a sacrificare il proprio popolo per ottenerla”. Leadership militare e politica inoltre, non sono sempre in sintonia: secondo diverse fonti di stampa, i leader di Hamas a Gaza avrebbero lanciato gli attacchi del 7 ottobre con una manciata di comandanti militari, tenendo all'oscuro l’ala politica fino a poche ore prima dell'inizio dell'operazione. I resoconti della Reuters hanno rivelato che alcuni esponenti all’esterno del gruppo sembravano “scioccati” dalla tempistica e dalla portata degli attacchi. L'ala militare oggi è più forte? In quest’ottica, la morte di Haniyeh – che segue di sette mesi quella di Saleh al-Arouri, suo vice ucciso il 2 gennaio in Libano - rischia di rafforzare il braccio armato, decapitando l’ala che più aveva investito nello sforzo di sintesi e programmazione di un gruppo per sua natura poliforme per dargli struttura e progettualità politica. Ora a trarne vantaggio potrebbe essere la struttura militare che fa perno sulle Brigate Ezzedin al-Qassam, che non ha mostrato finora alcuna volontà di recedere dal confronto duro con Israele. Il nodo relativo alla successione sarà un passaggio chiave: Haniyeh è diventato capo di Hamas nel 2017 dopo esser stato responsabile dell’organizzazione nella Striscia, e successivamente al ritiro del predecessore e ideologo Khaled Mashal. Qualora questo cursus honorum venisse rispettato, la successione aprirebbe la pista a Sinwar al vertice di Hamas, ma è davvero plausibile questo scenario ora che il secondo anello della catena, Deif, si è spezzato? E che impatto avrebbe sul futuro della guerra? Una lunga scia di omicidi mirati Dall'ottobre scorso, Israele – che finora non ha né commentato né rivendicato l’uccisione di Haniyeh - ha riferito di aver ucciso oltre 100 leader di Hamas, tra cui alcuni comandanti senior dell’ala militare del gruppo. Ma questi assassinii, se hanno in parte eroso la potenza bellica di Hamas a Gaza, non hanno intaccato le sue capacità di rigenerarsi: nel breve periodo dalle zone ‘bonificate’ si sono levate nuove minacce e nel corso dei decenni, il gruppo ha dimostrato la capacità di sostituire leader chiave. Oltre a produrre pochi guadagni in termini strategici questo approccio comporta alti costi reputazionali eppure, poche settimane dopo l'attacco, il primo ministro Benjamin Netanyahu lo aveva annunciato: “Israele - aveva detto ai giornalisti - ucciderà tutti i leader di Hamas, ovunque si trovino”. Ronen Bar, il capo dell'agenzia di intelligence interna israeliana, lo Shin Bet, ha detto ai membri del parlamento israeliano che Israele avrebbe ucciso i leader di Hamas “a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Turchia, in Qatar, ovunque”. Tra molti dubbi, una certezza: gli effetti di quanto accaduto non si limiteranno al campo di battaglia nella Striscia di Gaza poiché l’uccisione di Haniyeh alza la posta in gioco a un nuovo livello. Ma è una scommessa ad alto rischio che rischia di innescare la guerra totale in Medio Oriente che la regione teme dallo scorso 7 ottobre e dalla successiva offensiva di Israele a Gaza.

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