La famiglia materna del piccolo, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, si è rivolta al Tribunale di Tel Aviv dicendo che ieri sera la zia paterna non ha riportato il bambino, contravvenendo agli accordi sull'alternanza della routine del minore. Lei replica: "Non mi fido dei Peleg". Ieri lo stesso tribunale ha stabilito che Eitan dovrà tornare in Italia
La famiglia Peleg - quella materna del piccolo Eitan, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone - si è rivolta al Tribunale di Tel Aviv denunciando che Aya Biran, zia paterna, non le ha restituito ieri sera il bambino contravvenendo agli accordi sull'alternanza della routine del minore. Lo ha annunciato il portavoce della famiglia Gadi Solomon. I Peleg si sono rivolti alla Corte "nella speranza che questa volta si comprenda la misura in cui la decisione di ieri sia subito diventata un'arma micidiale nelle mani di Aya Biran”, ha proseguito facendo riferimento alla decisione della giudice del Tribunale della famiglia di Tel Aviv, che ha stabilito che il bimbo deve tornare in Italia, dove si trova la sua residenza abituale.
La permanenza alterna tra le famiglie
Nell’udienza preliminare dello scorso settembre, era stata raggiunta - con la spinta della giudice Iris Ilotovich Segal - "una intesa temporanea" tra le famiglie che prevedeva una permanenza alterna del bambino di 3 giorni tra Aya Biran e il nonno Shmuel Peleg. Dopo la sentenza di ieri - ha spiegato Gadi Solomon - "Aya Biran Nirko avrebbe dovuto consegnare Eitan alla casa di suo nonno Shmuel, così come era stato concordato fra parti e convalidato dal Tribunale. La sua decisione di impedire alla famiglia Peleg di vedere il nipote Eitan - ha continuato - è la dimostrazione totale di tutto quanto su cui la famiglia Peleg metteva in guardia e temeva". Sempre secondo la denuncia di Solomon, Aya Biran Nirko "considera la sentenza del Tribunale come una convalida ufficiale che può impedire alla famiglia di sua madre, la famiglia Peleg, di essere parte della sua vita". "Mentre da un lato sventola convenzioni e leggi, Aya - ha sottolineato - calpesta brutalmente l'accordo da lei firmato, ed impedisce alla famiglia Peleg di trascorrere 'momenti di grazia' col loro amato nipote. Chi aveva bisogno di una prova di cosa potrebbe accadere in futuro a partire da oggi, l'ha ricevuta ora - ha concluso - con tutta la sua dolorosa potenza”.
La replica di Aya: "Non mi fido dei Peleg"
Dopo la denuncia dei Peleg, Aya Biran, ha fatto sapere al Tribunale israeliano di non aver riportato il bimbo ieri sera ai nonni materni, come prevedevano gli accordi, perché nella sentenza con cui ieri la giudice ha deciso che il bimbo dovrà tornare in Italia questo aspetto non è stato normato. In particolare, a quanto si è saputo da fonti legali, la zia tutrice avrebbe spiegato al Tribunale che il bimbo è al sicuro con lei e che non si fida, invece, dei Peleg e per questo lo sta tenendo con sé.
La sentenza di ieri
"Il Tribunale non ha accolto la tesi del nonno secondo cui Israele è il luogo normale di vita del minore né la tesi che abbia due luoghi di abitazione", e "non è stata accolta la tesi del nonno secondo cui la zia non aveva il diritto di tutela", scrive la giudice Iris Ilutovich Segal nella sentenza in cui impone il rientro in Italia del piccolo accogliendo il ricorso di Aya Biran, zia paterna del piccolo e affidataria legale. "Con l'arrivo in Israele il nonno - ha proseguito la giudice - ha allontanato il minore dal luogo normale di vita. Un allontanamento contrario al significato della Convenzione e che, così facendo, ha infranto i diritti di custodia della zia sul minore stesso".
Il bambino era stato portato in Israele dal nonno materno Shmuel Peleg lo scorso settembre: dopo essere stato prelevato a casa della zia Aya Biran, a Pavia, il piccolo a quanto ricostruito è stato portato in auto oltre il confine svizzero e poi imbarcato su un jet privato verso Israele. Subito dopo la donna si è rivolta al Tribunale della famiglia di Tel Aviv per il "rientro immediato" in Italia in base alla Convenzione dell'Aja.
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