Stelle Michelin, perché c’è chi dice no al riconoscimento

Rifiutare una stella Michelin potrebbe sembrare una scelta azzardata, ma non per gli chef del Giglio che hanno rinunciato al riconoscimento ottenuto nel 2019. Il ristorante si trova nel centro storico lucchese, al piano terra di Palazzo Arnolfini; l’ambiente è elegante: affreschi, stucchi e un enorme camino di marmo danno il benvenuto agli ospiti, «ma non bisogna farsi intimidire, perché una volta entrati l’atmosfera è assolutamente informale, esattamente come siamo noi» dichiarano i tre chef. I criteri per la stella La loro idea di ristorazione è molto chiara e attualmente non in linea con gli standard imposti dalla guida. Per la Michelin è necessario, oltre a una elevata attenzione alla qualità delle materie prime e alla ricercatezza nella creazione dei piatti, garantire al cliente un’esperienza di comfort completa. Bisogna rispettare una determinata distanza tra i tavoli, le briciole non possono assolutamente restare sulla tovaglia e il bicchiere d’acqua deve essere sempre pieno, un servizio che secondo i tre chef e la loro filosofia risulta quasi opprimente. «Avere una stella significa adattarsi alle richieste di un pubblico che inevitabilmente si aspetta determinati requisiti – spiega Stefano Terigi – e in questo modo il rischio di perdere la propria identità è molto alto, perché il brand diventa il protagonista, perciò, avremmo il ristorante Michelin Giglio e non il ristorante Giglio che ha avuto un riconoscimento molto importante». I motivi del rifiuto Questa, però, è una condizione che appartiene esclusivamente al panorama Michelin europeo e quindi anche a quello italiano. In realtà, esistono dei ristoranti all’estero che non rispettano minimamente queste caratteristiche, eppure hanno una stella come il Raan Jay Fai, un locale di street food thailandese che vende cibo per strada. Per lo chef Lorenzo Stefanini è solo una questione di percezione che all’estero è completamente diversa e «non capisco perché in Italia non si premi soltanto la qualità così da alleggerire sia tutta la scena gastronomica, sia le aspettative delle persone. Anche perché per rispettare certi standard di comfort è inevitabile che ci sia un aumento esponenziale dei costi». E attualmente il Giglio non vuole più seguire queste regole, il suo obiettivo è far godere le persone dei loro piatti, di una buona bottiglia di vino e della serenità di condividere un momento in compagnia delle persone care. Non volendo essere una realtà d’occasione, ma una realtà quotidiana anche perché un cliente può avere il solo desiderio di mangiare bene ed essere coccolato con dei prodotti di qualità, «ma non la voglia di entrare in un clima rigoroso dove è necessario comportarsi in un certo modo – sottolinea Stefano Terigi –. E a quel punto si decide di andare al ristorante stellato solo per “l’occasione” perdendo quel senso di famiglia a cui noi aspiriamo». Il loro è un racconto di vita tutto all’italiana, dove il cibo e il sentirsi a proprio agio devono essere un punto d’incontro per diventare parte integrante del tessuto sociale lucchese. «La nostra è una cucina accogliente e di gusto – racconta lo chef Benedetto Rullo -. L’obiettivo principale non è mai stata la stella, anche se non voglio sminuirla minimante, perché è un riconoscimento importante di cui siamo molto grati. Ma non abbiamo mai voluto dimostrare cosa sappiamo fare esagerando con i tecnicismi. Lo scopo finale è sempre stato creare una cucina che fosse buona e comprensibile». Il gusto è l’elemento principe per il Giglio, in cui ogni piatto è una continua ricerca verso il concreto, concept che non è mai stato abbandonato neanche quando, nel 2019, avevano ottenuto la stella Michelin. Ma è stato proprio il periodo post pandemia a farli riflettere e comprendere che ormai quell’accessorio così sfavillante stava diventando più un peso che un onore e, alla fine, la decisione di abbandonare il circuito sembrava essere la più giusta. Questione di coerenza Hanno dovuto comunicare la loro scelta alla guida e aspettare l’uscita di quella nuova per ufficializzare effettivamente la notizia. E a quanto pare è stata proprio questa decisione a far diventare popolari i tre chef perché «prima, con una stella, non ci conosceva nessuno. Adesso che l’abbiamo rifiutata siamo diventati noti – dice ridendo Benedetto Rullo - Allora se questo è l’effetto consiglio a tutti di rifiutarla». Ma a prescindere dalla fama conquistata, le loro scelte sono state dettate dal bisogno di essere coerenti sia con sé stessi, sia nella comunicazione con i clienti. E se per una parte di pubblico, più tecnico, la decisione è stata presa solo con secondi fini, Lorenzo Stefanini risponde «non abbiamo fatto del male a nessuno, lo abbiamo deciso per il nostro benessere e per quello aziendale. Ci sembrava la cosa più giusta e l’abbiamo fatta».

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