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Bidussa a Sky TG24: “Gli archivi, da soli, non ci raccontano il vero ma il certo”

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Filippo Maria Battaglia

CONSIGLI DI LETTURA Arriva in libreria un'antologia di cinque interventi di uno dei principali storici del Novecento italiano, Claudio Pavone. Il suo curatore ne racconta la lezione: "Noi pensiamo che la memoria sia ciò che ci ricordiamo. E invece no: il ricordo non è monolitico e cambia molto a secondo dell'ordine che vi attribuiamo"

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"Quando Claudio Pavone pubblica 'Una guerra civile' è il 1991. Non è un giovanotto: ha 71 anni e una lunga carriera alle spalle che fuori da un perimetro circoscritto in pochi conoscono. Quel libro è il risultato di un conflitto con il proprio mondo storiografico e culturale iniziato molti anni prima". Così David Bidussa ricorda a Sky TG24 uno degli storici più importanti del Novecento italiano. 

"Pavone - dice Bidussa durante la rubrica dei 'Consigli di lettura' (qui le puntate precedenti) - diventa professore dopo l’esperienza di direttore dell’Archivio centrale dello Stato, dove lavora per 35 anni e che contribuisce in buona sostanza a costruire. È lì che comprende una cosa importante che lo porrà in conflitto con gran parte della storiografia italiana: gli archivi non ci raccontano il vero. Gli archivi, al massimo, ci raccontano il certo. Il compito dello storico è innanzitutto quello di capire come è stata ordinata, raccolta e allestita quella mole di documenti. Solo a quel punto, le carte cominceranno a dire qualcosa. Ma, lette da sole, non raccontano la verità".

 "ll ricordo cambia molto a seconda dell'ordine che vi attribuiamo"

 

E questo tema è uno degli assi attorno a cui ruota anche "Gli uomini e la storia", una raccolta di cinque interventi a firma di Pavone, che Bollati Boringhieri ha deciso di riportare in libreria per le cure proprio di Bidussa (pp. 234, euro 18). In uno di questi saggi Pavone osserva come “conservare significhi decontestualizzare e ricontestualizzare ogni volta che si dispongano le cose salvate nei musei e le si voglia utilizzare ai fini della ricerca storica”.

"Noi pensiamo che la memoria sia ciò che ci ricordiamo - osserva Bidussa - E invece no: il ricordo non è monolitico e cambia molto a seconda dell'ordine che vi attribuiamo. L'esempio più immediato riguarda i musei: lì noi vediamo tante cose che sono state raccolte e che in qualche modo sono la testimonianza dei pezzi di memoria. Ma attenzione: non avremo mai la riproduzione della storia come è andata; piuttosto, ci verrà sottoposta la versione raccontata da qualcuno ed è per questo che conterà tantissimo chi ha lavorato in quel museo e cosa vuole raccontare a me che lo vado a vedere".

 

L'importanza delle domande

Le conseguenze, racconta ancora Bidussa, sono dirompenti: "Siamo portati a pensare la storia come qualcosa di lineare, ma non è così: ha un centro, un fuoco, e magari anche tante lacune. Allora, per provare a capire qualcosa, e perché possa comunicare qualcosa al visitatore, devo andare a raccogliere altri documenti che non hanno una connessione stretta ma che mi permettono di fare un altro modello di viaggio nel tempo". 

"Lo storico - conclude Bidussa - non è colui il quale va in archivio e trova tutto. Trova alcune cose; tutto il resto dipende dalle domande che si pone".

Capo Lilybeo, a Marsala, dove  l'11 maggio 1860 sbarcò Garibaldi con i suoi "Mille". ANSA/FRANCO LANNINO

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