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Il dolore di una crescita si può raccontare anche con ironia

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Filippo Maria Battaglia

IL LIBRO DELLA SETTIMANA Gianni Solla firma “Tempesta madre”, un romanzo che indaga i limiti, le diversità e le distanze con una scrittura misurata che sta alla larga dal compiacimento

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Il bambino si chiama Jacopo e alla prima riga del romanzo si affaccia vestito da Hitler, costretto a festeggiare il Carnevale all’autogrill a Capodimonte con una finta copia del "Mein Kampf" appoggiata su un tavolino a forma di spicchio di pizza. 

Che la sua sia un'educazione sentimentale fallimentare, il lettore fa presto a scoprirlo, e non è un caso che sia lo stesso Jacopo a confessare quasi subito che dei due genitori insieme ricorda soprattutto i litigi, lei che urla in italiano e lui in napoletano,  due lingue differenti, come i mondi da cui provengono. 

 

Il rione che sembra un blocco di cemento

“Tempesta madre” (Einaudi, pp.216,  euro 17), l’ultimo romanzo di Gianni Solla, parte da qui, indagando le pieghe della crescita di questo bambino nel "Rione delle mosche", un quartiere popolato da palazzine che sbucano dal terreno come i megaliti di Stonehenge, anche se visto da lontano sembra un unico blocco di cemento.

Jacopo, quel bambino, ha una memoria prodigiosa, conosce tutti i tipi di meduse,  scrive tutto quello che dice la madre bella e complicata, finendo subito per fare i conti con un infinito intreccio di traumi, di mancanze, di difetti. Questa crescita gli dà consapevolezza e profondità, certo, ma non è affatto detto che quella profondità sia sempre positiva, con buona pace della solita favoletta pedagogica che vuole che il trauma aiuti necessariamente, e che sia spesso formativo.

Una scrittura che oscilla tra abrasività e ironia

Solla imbastisce un romanzo sui limiti, sulla diversità e sulle distanze, scandagliando il dolore con una scrittura precisa e pertinente. “Abbiamo molto lavoro. Bisogna pulire, la maggior parte delle parole che usi non serve”, dice a un certo punto uno dei personaggi, il professor Iannelli, a Jacopo, il giovane protagonista. E Solla, quella lezione, dimostra di conoscerla bene, declinandola in una lingua affilata che sta alla larga dal compiacimento e che oscilla, perenne, tra abrasività e ironia.

Il suo è un lavoro di sottrazione, in grado di soffermarsi sul difetto e sul suo incerto margine perché, come dice nel romanzo la lavandaia del quartiere, ogni macchia è un atlante illustrato, basta solo avere gli occhi buoni per riconoscere i dettagli.

 

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