Traduttori, la letteratura turca secondo Hanife Şemsa Gezgin

“Yakamoz” in turco significa “riflesso della luna sull’acqua”. Per rendere il significato in italiano ci vogliono almeno cinque parole. Un’espressione sublime che nel 2007 è stata eletta parola più bella del mondo dalla rivista tedesca Kulturaustausch. Yakamoz non è un semplice riverbero, ma quell’effetto particolare che si può apprezzare osservando le acque del Bosforo, dove lo strato di microrganismi che galleggia in superficie si illumina, una luminosità bluastra, una scintilla del mare. Come si può tradurre una parola così? “È la mia parola preferita, anche per questa impossibilità di trasferirla in altre lingue e in questo caso nell’italiano”, confessa Hanife Şemsa Gezgin, traduttrice letteraria dai natali istambulioti. Neppure il tedesco, che di combinazioni illuminanti e geniali ne ha tante, può vantare un sinonimo. Per una traduttrice che ha a che fare da trent’anni con la letteratura turca, come Gezgin, sfide linguistiche come queste sono all’ordine del giorno, anche se spesso l’insidia non risiede in singoli etimi ma nel complesso delle parole. Il turco è una di quelle lingue che si definiscono agglutinanti, un aggettivo difficile per i non addetti ai lavori, che semplificando si può spiegare così: le parole, o meglio le radici delle parole, sono magnetiche, si mangiano tutto e catturano preposizioni, verbi, il genere, il numero. Eppure, il turco così difficile è al tempo stesso una lingua logica al limite dell’eccesso, e logica nel senso di lineare, prevedibile, riproducibile sulla base di regole piuttosto costanti. Anche l’armonia vocalica, il pilastro fonologico della lingua, è fatta per riportare tutto a una geometrica coerenza interna. “È matematica”, fa eco la professoressa Gezgin che ammette: “L’italiano al contrario ha bisogno di una buona dose di irrazionalità per essere compreso. Ai tempi, infatti, imparai molte cose a memoria, perché non c’erano delle formule vere e proprie”. Invece col turco ci si può giocare come si fa con i mattoncini lego. Allo stesso tempo difficilissimo e semplicissimo, per chi detiene i codici; cartesiano e lirico. Lei come ha iniziato il suo percorso? Io ho studiato in Turchia al liceo italiano e poi all'Università di Istanbul. Ho studiato filologia turca. Ho insegnato per otto anni come assistente di ruolo e parallelamente tenevo anche lezioni di traduzione. Mi piaceva molto tradurre. Ho iniziato traducendo per le riviste: piccole storie, racconti, lettere di poeti. Poi sono venuta in Italia nel 1991 per insegnare turco all'Università di Roma. Mi sono sposata e trasferita al nord. Avevo smesso di insegnare e per motivi familiari dovevo stare a casa. Amavo tradurre e questa passione mi avrebbe permesso di lavorare da remoto, uno smartworking ante litteram. Nacque così una collaborazione con una mia studentessa, Marta Bertolini. Mandammo entrambi i nostri curriculum nel 1993 via fax a tutte le case editrici d’Italia. Una ci rispose e con questa pubblicammo un libro di Nedim Gürsel, ma non ci pagò subito. Si intitolava “L'ultimo tramway”. Non ci scoraggiammo. Capii dopo quell’esordio nella traduzione, di un libro vero, intero, finito, che era la mia strada. I primi tempi sono stati duri perché i guadagni erano molto bassi, quindi affiancavo a quelle letterarie le traduzioni commerciali con cui riuscivo a sostenermi economicamente. Abbiamo continuato a tradurre Gürsel. Al terzo libro ci pagarono. Fu così che la traduzione circolò e ci contattò Einaudi, perché il lavoro era buono. Non era scontato che lo fosse perché si trattava dei primi tentativi. Era un momento molto particolare per la letteratura turca nel mondo: era iniziata l’era di Pamuk. Einaudi aveva comprato i diritti delle sue opere e così salimmo su quel carro. Non fu immediata la cosa. Dovemmo superare una sorta di concorso interno. Ci fecero fare una prova, poi ci chiamarono e ci diedero l’incarico. Il primo testo di Pamuk che tradussi era “La nuova vita”e da lì tutto è cominciato. Quel momento d’oro per la diffusione e ricezione della letteratura turca coincide anche con la mia svolta personale. Smisi di tradurre testi commerciali. Tradussi diversi libri, tra i quali “Istanbul” con cui Pamuk si aggiudicò il Nobel come si legge nelle motivazioni dell’Accademia svedese Come descriverebbe la sua esperienza di traduzione delle opere di Pamuk? Pamuk è una persona eccezionale perché è sempre presente, risponde su qualsiasi domanda. Il traduttore è libero di chiedere chiarimenti su qualsiasi punto su cui ci siano dubbi. L’ho incontrato molte volte per discutere e ragionare sui suoi lavori. Lui non si negava mai. È come Umberto Eco. Che intende? Che dopo le prime traduzioni dal turco all’italiano cominciai anche a tradurre dall’italiano al turco. Tradussi Eco e mi aiutò enormemente con “Baudolino”. Pensi che allora non c’era tutta questa tecnologia e ci si mandava soprattutto mail, ma era difficile trasferire materiale. Ecco, Eco mi fece recapitare tutte le fotografie dei posti che lui descriveva. Tutte dettagliate. Pamuk ed Eco sono due veri intellettuali. Gli intellettuali veri sono generosi. E questo vuol dire molto per un traduttore. Ci spieghi perché è importante. Parlando di Pamuk, mentre traducevamo “Il mio nome è rosso” procedemmo con sicurezza perché sentivamo di avere alle spalle l’appoggio dello scrittore, una sicurezza che aumentava pagina dopo pagina. Qual è la sua idea globale, complessiva sulla ricezione, sulla percezione che c'è in Italia della letteratura turca? Ce n’è poca, soprattutto a confronto con tutta la letteratura italiana che si legge in Turchia. In Turchia si traduce tantissimo, quasi troppo. Al punto che le case editrici sono sommerse di libri internazionali, anziché di nuovi autori turchi. Dietro questa grande mole di traduzione c’è il TEDA, ovvero il Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica di Turchia. Insomma, c’è una grande attenzione per la letteratura straniera. L'Italia, a mio parere. non dà importanza al traduttore, non così tanta. In Turchia, ad esempio, il traduttore ha una percentuale sulla vendite, cioè una sorta di copyright. Inoltre, non un dettaglio: in Turchia il nome del traduttore è sulla copertina insieme allo scrittore. E c'è il curriculum dal traduttore nella quarta di copertina, alla pari dello scrittore. Esiste poi un programma di supporto alla pubblicazione nelle diverse lingue dal turco con degli incentivi alle case editrici che scelgono di pubblicare libri turchi. Finanziamenti che sono stati raccolti soprattutto dalle piccole case editrici che approfittano di questi aiuti. Un esempio di un libro tradotto grazie a questi fondi in Italia? L’ultimo libro che ho tradotto è l’esempio giusto: “Non sparate agli aquiloni” di Feride Çiçekoğlu, edito da ScirtturaPura, e diversi libri pubblicati da lunargento. È l’unico modo per conoscere autori turchi che non sono ancora arrivati in Italia perché, non è una frase fatta, è davvero molto difficile che le case editrici scommettano sull’ignoto. Preferiscono puntare sui Pamuk e sulle vendite più sicure. Inoltre, in Italia mi sembra che non ci sia un grande interesse per la letteratura turca, ma più per l’audiovisivo. Penso al cinema e alle serie tv. Questa è una mia analisi. Chiaramente noi turchi siamo ben consapevoli che questa attrazione per il cinema turco dipenda molto da fattore “Özpetek”. E tornando a Pamuk, lei ha tradotto anche Oğuz Atay, uno scrittore morto prematuramente nel 1977, complesso e per certi versi maledetto, che ha ispirato lo stesso Pamuk. Esatto, con Rosita D'Amora. Uno scrittore che in Turchia per fama è paragonabile a Calvino, ma che in Italia ancora è misconosciuto. Atay è un altro esempio del fatto che le case editrici italiane puntano troppo sulle certezze. Ora sono disponibili diversi suoi romanzi in traduzione, ma sono arrivati tardi e ancora si è indietro. Tradurlo è stata una delle imprese più complesse, uno scrittore “maledetto” anche per la difficoltà linguistica. Quando parla di difficoltà nel tradurre a cosa si riferisce? Non c’è solo l’aspetto linguistico. Quando si traduce un libro si entra davvero nel mondo dell’autore. Ed io sono una persona emotiva, vengo travolta dalle emozioni, dalla disperazione, dalla tristezza, dalla gioia. Sentire tutto quello che ha provato il personaggio o l’autore può essere sfiancante. A tutti i traduttori che incontro rivolgo una domanda impossibile: se dovesse racchiudere in una frase il senso della letteratura turca contemporanea che cosa direbbe? Con una sola frase? Si immagini di dover fare una pubblicità per i lettori che entrano in una grande libreria commerciale e sono tentati solo dai bestseller del mondo anglofono. Direi che la letteratura turca contemporanea è un ponte tra Occidente e Oriente. Ed è più di qua o più di là in questo momento? È un equilibrio perfetto o un equilibrio imperfetto, a suo avviso? Per me è un equilibrio perfetto e per questo è tanto affascinante per chi ama fare ricerca e scavare. Eppure, la Turchia sembra sempre più lontana. Il processo di integrazione europea si è impantanato non perché non meritiamo l’Europa ma per una miopia europea, per la paura di attraversare questo ponte e di comprendere. Penso che ci sia anche un modo sbagliato di rappresentare la Turchia da parte dei mass media. Spesso si sceglie di far vedere solo le immagini della Turchia povera o della Turchia musulmana. Solo donne con il velo: è vero, ci sono, ma il mio Paese è ancora ambivalente. C’è ancora una forte anima laica. E il laicismo che c’era quando ero giovane io faceva invidia anche alla Francia. Poi certo, è successo quello che è successo, ci sono stati dei passi indietro, ma non dimentichiamo che il 50% dei turchi ha votato contro l’attuale Presidenza. Le contraddizioni non devono fare paura. Se potesse tradurre un libro che ancora non è stato pubblicato in Italia? Pubblicherei finalmente le tante scrittrici turche che ancora non trovano spazio sugli scaffali delle librerie italiane. Feci una ricerca in cui proposi cinque autrici per una casa editrice italiana, ma il progetto naufragò. Ci faccia qualche nome per poterle leggere appena saranno disponibili in traduzione, magari in un giorno non troppo lontano, Buket Uzuner e Füruzan. E dirò anche un’altra cosa. Dica. Scrittrici come Halide Edib Adıvar, femminsta e figura di spicco del movimento nazionalista turco morta negli anni Sessanta, e scrittrici contemporanee come la già citata Feride Cicekoglu, che ho avuto la fortuna di tradurre, sono a mio parere ancora più importanti di tanti scrittori turchi uomini più noti. Io provo un piacere particolare nel leggere romanzi scritti da donne e quindi nel tradurli. C'è tutta una letteratura femminile turca ancora da scoprire qui in Italia.

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Ludovica Passeri