Diriyah Art Futures, new media e Arti digitali trovano casa a Riadh
Lifestyle Photo: Courtesy of Diriyah Art FuturesUn hub destinato alle Arti digitali e ai new media, il primo dell'Arabia Saudita e di tutto il Medioriente. Un edificio capace di coniugare perfettamene Storia e futuro, progettato dallo Studio di Architettura italiano Schiattarella Associati. Lo abbiamo visitato per la rubrica Flash
Riad emoziona e stupisce. L'inaugurazione del Diriyah Art Futures, il primo hub per i new media e le Arti digitali, è l'occasione per il viaggio. Cinque ore di volo diretto da Roma, ci portano fino alla capitale dell'Arabia Saudita, città sconfinata, che si apre alla vista tra i colori caldi del deserto e uno skyline di gru e cantieri.
Il Paese corre veloce verso il 2030, verso quella gigantesca Saudi Vision che - voluta dal principe ereditario Muhammad Bin Salman - vede anche nella progettazione di questo edificio - firmato dagli architetti Schiattarella Associati - uno dei tasselli più importanti di un'architettura cittadina che si va a mano a mano configurando.
Nel giorno dell'inaugurazione, abbiamo intervistato gli architetti dello studio, alcuni artisti presenti con le loro opere nella mostra temporanea in corso e l'ambasciatore italiano in Arabia Saudita.
Così, l'architetto Amedeo Schiattarella: “È un momento di grande emozione, a conclusione di un percorso lungo che non è stato facile: il concorso noi lo abbiamo vinto quasi dieci anni fa. Quindi, averlo portato fino in fondo garantendo – tra l’altro – la qualità del prodotto, con tutti i dettagli realizzati come dovevano essere realizzati, è motivo di grande soddisfazione. Noi siamo arrivati in un Paese che aveva una forte influenza da parte del mondo occidentale, che stava cambiando la propria identità senza accorgersene e noi, invece, siamo arrivati e abbiamo compreso che era un delitto distruggere un Paese, una Cultura che in qualche modo aveva una lunghissima tradizione. Naturalmente, non era una delle più conosciute al mondo, però, aveva dei valori di grandissima importanza, in qualche modo. Quindi, noi abbiamo voluto ripartire da zero facendo un passo indietro e con rispetto cominciare a studiare la loro Cultura per costruire un contemporaneo che fosse chiaramente saudita, anzi, in questo caso, della Regione del Najd, la regione del deserto che ha un’architettura del tutto particolare”.
Che cosa colpisce del vostro progetto?
“In Architettura si definisce come il senso del luogo, che, in generale, viene utilizzato come annotazione topografica; quindi, è una collina, una montagna, un fianco. Per noi no, per noi è una condizione sociale, è un modo di relazionarsi della comunità, è la memoria del luogo, che è stata in parte cancellata, è il rapporto tra la terra e le materie, è l’attenzione alla luce e alla posizione del sole durante la giornata, perché l’Arabia Saudita è un Paese molto vicino all’Equatore e quindi il sole è molto alto; non soltanto, in una regione desertica il sole arriva direttamente, senza mediazioni dell’atmosfera, dunque, l’ombra è netta, dura, non ci sono penombre e tutti questi sono valori della comunità. La porosità dell’architettura, che è un’architettura orizzontale, in qualche modo organica, un’architettura attaccata al suolo ma che si protegge dalle condizioni avverse del terreno, perché naturalmente abbiamo il deserto, abbiamo un sole feroce e quindi bisogna costruire le condizioni per poter vivere, senza necessità di artifici tecnologici. Tutto questo sta alla base della nostra architettura e noi oggi ne abbiamo costruita una che è del luogo, appartiene al luogo. Le persone che ci incontrano ci dicono: “Sembra che questo edificio ci sia sempre stato, però è moderno”. Ecco, questo fatto ci indica che la strada che abbiamo fatto, la strada che abbiamo scelto, è quella giusta”.
Il museo che posto avrà nella geografia delle istituzioni museali dell’Arabia Saudita?
“Non è un vero e proprio museo, perché anche in questo noi abbiamo cercato di portare innovazione. È un luogo particolare, dove c’è l’esposizione e poi c’è il luogo della produzione, perché gli artisti in Arabia Saudita erano considerati scandalosi, nessuno li voleva vicino casa, l’artista era considerato immorale; poi è il luogo della vendita; è il luogo della scuola e quindi si fa formazione; poi c’è la residenzialità, per i borsisti e per alcuni addetti ai lavori che potranno venire in questo luogo. Quindi, è un hub, un insieme di cose diverse che costituisce un polo per la Cultura e per l’Arte digitale”.
Ad Amedeo Schiattarella fa eco suo figlio Andrea, anche lui architetto e pienamente coinvolto nel progetto.
Come avete trovato la quadra perché questa fosse un’opera come l’avevate immaginata e di gradimento sul territorio?
“Fare l’architetto non è un mestiere facile. In generale ci viene imposto in qualche modo di lavorare sul luogo e su un principio progettuale che noi tendiamo a seguire. Si deve partire dal luogo, inteso non soltanto in senso strettamente fisico ma stare attenti al contesto culturale sul quale si va a operare. Lavorando all’estero, questo significa confrontarsi con una diversità culturale che non è quella italiana, evidentemente. Quindi, la sfida è molto più significativa, rispetto a operare nel proprio Paese. Per questo progetto ci siamo dovuti confrontare con una realtà che è molto diversa dalla nostra, un Paese che era – quando abbiamo iniziato il progetto - molto diverso anche da quello attuale, con tradizioni molto forti, attenzione ai costumi molto attenta e radicata nel contesto sociale. Quindi, ci siamo immersi nella Cultura del luogo e ne abbiamo tratto spunti per lavorare sul progetto di Architettura”.
C’è stata una difficoltà da superare?
“Intanto è un progetto che è durato dieci anni, noi abbiamo vinto il concorso dieci anni fa. Il processo è stato lungo e le difficoltà, durante questo percorso, sono state tante e tanti i momenti anche di sconforto che poi siamo riusciti a superare. Certamente c’è il tema di come si affronta la memoria e l’identità culturale, che per noi è stato un elemento chiave in questo progetto e che pensiamo di aver posto alle realtà saudita in modo peculiare. Per noi è stata una sfida, non sapevamo come la nostra proposta sarebbe stata accolta, invece il Paese, in generale, ha recepito questa provocazione, o direi questa nostra proposta, positivamente e quindi è stato anche di grande successo”.
Paola Schiattarella - figlia di Amedeo Schiattarella - è interior designer dello studio. Schiattarella Associati è un'impresa familiare, che con passione si è dedicata alla progettazione del Diriyah Art Futures.
Qual è l’aspetto di questo lavoro che ritiene vi sia riuscito meglio?
“Sicuramente è un progetto sfidante, si tratta di un complesso di Arte digitale, quindi, la capacità di riuscire a lavorare in Arabia Saudita per noi è stata molto importante. Dal punto di vista progettuale, sicuramente il riuscire a coniugare quella che è l’identità saudita, con un’architettura contemporanea, per noi è stato di grande soddisfazione e ci siamo riusciti”.
In che cosa è consistita la sua parte di lavoro da interior designer?
“Partendo dal luogo, quello è il nostro approccio iniziale. Abbiamo fatto dei sopralluoghi, delle ricerche, anche perché era uno dei primi progetti che affrontavamo in Arabia Saudita, dunque, abbiamo dovuto proprio studiare il luogo, l’identità. Questo ci ha portato a poter scegliere una serie di materiali locali che magari abbiamo portato in modo un po’ più innovativo, più contemporaneo, all’interno del progetto. Quindi, abbiamo delle pareti di fango, delle pietre locali e facendo un passaggio in più, abbiamo trovato dei trattamenti più contemporanei, abbiamo fatto delle sperimentazioni e le abbiamo introdotte nel progetto di interni”.
Quanto vi siete confrontati, visto che siete prima di tutto una famiglia?
“Noi ci siamo abituati, perché facciamo questo tutti i giorni. Sicuramente, però, è stato sfidante, anche perché eravamo in un Paese straniero, confrontarci su qualcosa che non conoscevamo. Quindi, ognuno aveva il suo pezzetto, però ci confrontavamo su tutto, perché tutto doveva prendere un senso”.
Diriyah Art Futures è un luogo avanguardistico, destinato a divenire epicentro dell'Arte digitale in questa parte di mondo, anche per sostenere il lavoro di chi dell'arte ha fatto una ragione di vita. Tra gli artisti chiamati a esporre qui in questo periodo c'è l'italiano Davide Quayola.
Come si confronta un artista con un luogo come questo?
“Nel mio lavoro, la relazione tra passato e presente è qualcosa di incredibilmente importante. Spesso il mio lavoro è legato a uno studio di realtà, di condizioni, di retroterra culturali completamente diversi. Spesso, nel mio lavoro, ci sono delle tradizioni storiche, pittorica, scultorea, che vengono guardate con occhi completamente diversi. Questo succede anche nell’output, in come e dove il lavoro viene presentato e, a seconda di dove viene presentato, tocca dei tasselli diversi, delle relazioni diverse col mondo che lo circonda, con il contesto dove viene presentato. Non è la prima volta che porto il mio lavoro in Arabia Saudita e in questa regione e ho sempre trovato un interesse particolare. Comunque, questa relazione col passato, con la tradizione, è qualcosa che loro sentono molto vicino e, forse, è anche per questo che continuo a venire qui. Sono quasi due anni che cerchiamo di presentare qui questa mia scultura e sono felice che ci siamo riusciti”.
Che effetto le ha fatto vedere la sua scultura al Diriyah Art Futures?
“Questa scultura rappresenta un passo importante per me, perché è un lavoro di marmo. Sono tanti anni che sperimento con robot e macchinari industriali per documentare nuovi gesti scultorei sulla materia, però principalmente ero più legato a materiali sintetici, più leggeri. Riuscire a fare questo, con un materiale come il marmo, per me è stato uno step molto importante e questa è proprio la prima scultura in marmo che ho realizzato. Il fatto di presentarla qui è fondamentale. Comunque, anche spedire in aereo sei tonnellate di marmo ha una sua complessità. Quindi, c’è stato un supporto da parte di tutti, inclusi gli architetti Schiattarella, che hanno dovuto costruire un solaio specifico solamente per questa scultura. Insomma, c’è stato un grande lavoro di squadra perché questa mia scultura potesse essere qui”.
Come pensa che sarà accolta la sua scultura, dal pubblico saudita?
“È una scultura che fa riferimento a un oggetto storico, a un capolavoro del Rinascimento italiano e dall’altra parte sono due corpi seminudi che lottano. C’è stato un certo livello di comprensione da parte loro per farmi poi mostrare questa scultura. In verità i corpi non sono nudi, perché non ho fresato certe parti del corpo, in effetti possiamo dire che è un’incompiuta”.
Un altro degli artisti presenti è Haythem Zakaria, tunisino, si dice felice di aver partecipato a questo progetto, nel quale ha capito subito esserci una parte molto contemporanea e una parte, invece, legata al mondo antico. Tenere queste due cose insieme attraverso il suo lavoro, è stata una grande sfida.
Che opera ha portato qui al Diriyah Art Futures?
“Il lavoro che ho portato alla mostra temporanea è un terzo di uno più grande cominciato nel 2017 che si chiama Opus Tre. Lavora sul paesaggio e soprattutto su tre luoghi: deserto, montagna e mare”.
Carlo Baldocci, è l'Ambasciatore d'Italia in Arabia Saudita.
Da ambasciatore, è orgoglioso del fatto che il progetto del Diriyah Art Futures è firmato da uno studio d’architettura italiano?
“Sono molto orgoglioso, è molto importante perché Schiattarella Associati ha svolto un’operazione significativa in questi anni, in Arabia Saudita, riuscendo a proiettare il passato di questo grande Paese verso il futuro, progettare il loro futuro attraverso una proiezione del passato”.
C’è molta determinazione da parte dell’Arabia Saudita ad arrivare preparati al 2030?
“L’Arabia Saudita si sta aprendo con una velocità impressionante. Sta superando tutta una serie di contraddizioni che l’hanno accompagnata nel corso degli anni e lo fa con una grandissima capacità di attrarre intelligenze, conoscenze estere, metterle a sistema e devo dire che quelle italiane sono tra le più apprezzate e fra le più importanti. Noi siamo estremamene ottimisti sul fatto che questa importante operazione, legata alla Vision 2030 che le autorità saudite hanno impostato, abbia una forte connotazione italiana, una forte impronta della nostra Storia, e questo renderà sicuramente i rapporti fra i due Paesi ancora migliori”.
Che cosa piace, dell’Italia, all’Arabia Saudita?
“La cultura e la nostra capacità di raccontarla e condividerla con tutti gli stranieri che arrivano nel nostro Paese o che incontrano i nostri connazionali in giro per il mondo, con grande semplicità, con uno spirito costruttivo e con una sensibilità che è sempre inclusiva: questo è il segreto del successo italiano all’estero”.