Scott Snyder a Lucca Comics: "Con i miei nuovi lavori esco dalla mia comfort zone"

Di persona Scott Snyder è il contrario di ciò che sembra essere se si leggono i suoi fumetti. Posato, gentile, affettuoso padre di famiglia. Prima, durante e dopo l’intervista a Lucca Comics and Games, dove era ospite di Star Comics per il lancio italiano dei suoi fumetti creator owned, parla spesso dei suoi figli. E parlandoci lo si scopre anche autore politico, a suo modo, preoccupato per il presente e il futuro del suo Paese e del mondo. Uno sceneggiatore di blockbuster a fumetti che dopo un decennio dedicato ad alcune tra le più folli saghe supereroistiche recenti ha deciso di spaziare tra i generi utilizzandoli per descrivere le paure, le contraddizioni, le tensioni della società, facendosi affiancare da artisti che prima che essere tra i migliori al mondo, sono amici con cui condividere una visione. Sei a Lucca per presentare quattro fumetti così diversi tra loro. Un horror, un romance con sfondo storico, qualcosa di noir, fantascienza… Sembra quasi che abbia voluto mostrare un campionario della tua versatilità come autore. Era nei piani o è semplicemente successo? Era esattamente l’idea iniziale. Ho passato circa dieci anni alla DC e ogni anno avevo un nuovo contratto di esclusiva. Ho lottato tanto per avere una clausola che mi permettesse di fare i miei fumetti creator owned ma non l’ho mai usata perché ero totalmente preso dai supereroi. Poi, nel 2019, ho iniziato a pensare che questi fossero troppo una comfort zone, che avessi ottenuto un credito tale per cui la DC mi avrebbe permesso di fare tutto come successo con Death Metal. E lo amavo, ma volevo una nuova sfida per vedere cosa potevo fare con nuovi generi che non avevo mai provato. Così quando è arrivato il momento ho pensato che ogni singolo titolo dovesse essere un esperimento, che dovessi trovare grandi partner e portare i progetti avanti con loro. Quattro storie, tre disegnatori e una disegnatrice diversi. Come li hai scelti? Un po’ per amicizia. C’erano altre persone che non conoscevo bene che avrei voluto chiamare, come Dan Panosian su Canary o Jamal Igle su Dudley Datson, mentre per la maggior parte si tratta di persone più vicine a me ma non avevo mai lavorato con loro, così volevo farlo per creare un legame di questo tipo. Per esempio, sapevo che Francis Manapul voleva fare un fumetto di fantascienza, lo volevo anche io. La fantascienza riguarda le nostre paure sul futuro e così gli ho chiesto quale fosse la sua. Eravamo a casa mia, era ospite della mia famiglia poco dopo il New York Comic-Con, e lui mi ha detto: la mia paura è che qualsiasi cosa i miei figli trovino in rete rafforzi solo ciò che a loro già piace. Così abbiamo deciso di scrivere di un futuro in cui ognuno può vedere il mondo esattamente come vuole. Con Francesco , abbiamo legato tanto durante la pandemia guardando insieme gli horror classici della Universal, così ci siamo chiesti come verrebbe fuori oggi un horror classico della Universal ed è così che è nato il Goul. Ogni libro è stato un esperimento organico col co-creatore, non sono andato da loro con un pitch già pronto. Anche con Lisa, Tula Lotay, sapevo che a lei piacciono molto gli anni ’20, un’era che ha ancora un’eco oggi tra classe operaia sempre più debole e ricchi sempre più ricchi, così le ho detto “perché non facciamo qualcosa del genere”. Come abbiamo già detto, sei un autore eclettico, ma penso si possa dire che hai una relazione speciale con l’horror. Come è nata la tua passione per questo genere? Perché ti piace così tanto? Adoro l’horror. Quando ero ragazzo a New York c’era un negozio chiamato Videostop tra la 26th Street e la 3rd Avenue. Non potevano noleggiare film vietati ai minori a dei ragazzi ma te li portavano a casa se chiamavi e quindi io e i miei amici vicini di casa li noleggiavamo in continuazione. Mi ricordo la prima volta che ho visto La notte dei morti viventi, in bianco e nero, ho pensato che fosse così noioso, mi aveva deluso, non lo avevo capito anche se poi sarebbe diventato il mio preferito di sempre, e quando ho realizzato che mi faceva fare gli incubi la notte è stato il primo horror a mostrarmi esattamente cosa può fare questo genere: l’horror rappresenta una perfetta forma di conflitto, la cosa che temi di più è lì che ti attacca, e quel film degli anni ’60 ci mostra cosa dovremmo affrontare in una epidemia zombi, a livelli di razzismo, conflitto di classe e di genere. Da bambino molto ansioso, l’horror mi ha dato l’opportunità di esplorare le mie paure e sarà per sempre il mio genere preferito. E ha influenzato il mio approccio narrativo anche sugli altri generi: penso subito a qual è l’incubo che non vorremmo mai affrontare, anche con Superman o la Justice League, e lo rendo il loro nemico. In un mondo pieno di 3d, computer grafica, intelligenza artificiale, la gente può ancora aver paura di fantasmi e mostri della tradizione gotica? Oh sì. Penso che i limiti del mondo che conosciamo sono così vicini… Ricordo mio figlio che a un anno scendeva dalle scale e si guardava intorno chiedendosi: siamo ancora sulla Terra? A quell’età il cervello umano non capisce niente, e quando siamo più adulti abbiamo le stesse incertezze e dubbi sulle grandi questioni. Le cose che sappiamo e comprendiamo sono una piccolissima frazione di ciò che c’è nel mondo, non siamo molto più avanti di altri animali o dei bambini. E ogni nuova scoperta apre una nuova porta oltre la quale ci chiediamo cosa esista. Più scopriamo, meno sappiamo. Mi è piaciuto particolarmente Clear, mi ha fatto riflettere ad alcune preoccupazioni che ho sul futuro. Cosa pensi dell’intelligenza artificiale? Il futuro è il più grande mostro che dobbiamo affrontare? Questa è una grande domanda. Nelle arti sono totalmente contrario all’intelligenza artificiale perché penso che l’arte sia fatta da un essere umano che cerca di raggiungerne altri, di connettersi a loro, mentre l’intelligenza artificiale è una sorta di aggregatore di cose che sono già state fatte. Non si tratta tanto di raccontare una storia o scrivere una sceneggiatura, quanto dello scopo che c’è dietro. L’intelligenza artificiale può avere enormi benefici in farmacologia e medicina, in ogni tipo di ricerca, non penso sia il male o un demone, penso solo che per me non sia interessante nell’arte e nella letteratura, ed è come se avessi un robot che corre contro un uomo e lo batte: dove sta l’interesse? E da un punto di vista lavorativo sono preoccupato per l’impatto che potrà avere. Per esempio, sto lavorando alla serie animata di Wytches e l’AI è estremamente utile per prendere appunti, fino al punto che presto non serviranno più gli assistenti. Da un certo punto di vista è un bene per una casa di produzione, ma dall’altro è un male perché molti autori cominciano la loro carriera da assistenti. Non penso che l’AI rimpiazzerà mai gli scrittori o i disegnatori, ma che taglierà tanti lavori che sono porte di ingresso per il settore. Solo un paio di domande su Batman: hai scritto e in alcuni casi creato alcuni dei villain più iconici del Pipistrello. Ne hai uno preferito? Oh… la Corte dei Gufi è veramente speciale per me. Quando l’ho scritta ero così spaventato dalla storia intera di Batman, arrivando come giovane autore, e per me rappresenta la manifestazione fisica della grandezza della biblioteca di Batman, con tutte quelle storie fantastiche. Ma anche il Batman che Ride è così spaventoso e cattivo, e l’ho scritto in un periodo in cui la cultura americana stava combattendo con questa idea di un presidente Trump, disposto a tutto pur di vincere, ed è esattamente l’unico scopo del Batman che Ride. È quello che cercavo, un cattivo che Batman non potesse capire, perché tutti gli altri sembrano riconoscersi in lui, vogliono provare qualcosa a lui, ma al Batman che Ride non importa nulla di Batman, vuole solo vincere, è come un grande squalo bianco che vuole solo morderti. Il numero 1 di Absolute Batman è appena uscito negli Stati Uniti, in Italia arriverà a maggio 2025. Cosa dobbiamo aspettarci da questo viaggio? Sono così orgoglioso, è davvero una cosa diversa. Ed è un libro che non pensavo avrei mai potuto realizzare, poi James Tynion mi ha chiamato e mi ha detto che dovevo farlo, e io mi sono detto “se Nick Dragotta ci sta, allora lo faccio”. L’arte di Nick è perfetta per questo lavoro, è il manga che incontra Miller, con quell’intensità e quel dinamismo dell’azione. Ogni volta che scrivevo Batman lo scrivevo immaginandomi nei suoi panni, ad affrontare le mie paure sul mondo, ma l’idea del progetto dietro l’Absolute Universe era come rendere questi personaggi interessanti in modo nuovo, per i giovani, senza raccontare young adult ma toccando i loro sentimenti come aveva fatto Il Ritorno del Cavaliere Oscuro con me quando ero giovane. Insomma, un Batman completamente diverso da quello a cui siamo abituati. Ora negli Stati Uniti c’è questa sensazione che generazioni di miliardari usino la loro influenza in un modo estremamente negativo, senza responsabilità civili né pagare le tasse, così mi sono detto: e se invece che difendere il sistema Batman vi portasse il caos e l’anarchia, se usasse la sua fisicità per rifiutare lo status quo e i cattivi fossero difensori dell’establishment e dello status quo? E ora non mi sento più Batman, sono Alfred, sono più anziano e guardo la città e il mondo dicendomi “è tutto compromesso, è tutto corrotto”, e i miei figli adolescenti sono Batman, sono loro che protestano e dicono no al mondo di oggi. Questo Batman è una forza della natura, è più violento e spaventoso ma è più idealista. E Alfred è quello che gli dice “ragazzo, verrai ucciso”, ma lui se ne frega. E anche questo il modo in cui questo Batman ha perso il padre è oscuro e dovrebbe avere a che fare con ciò che accade oggi nella società americana, tra sparatorie e stragi di massa.

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