15 anni di Bastardi senza gloria, un cult alla prova del tempo

In un certo senso, i film sono come le persone e non tutti invecchiano allo stesso modo. Ad alcuni il tempo fa bene, dà autorevolezza; finisce per trasformarli in veri e proprio cult, da guardare, rivedere e riverire. Per altri, invece, la prova del tempo può essere quasi una sfida insormontabile. Ma il punto non è questo. Il punto è che i film non restano mai gli stessi. Perché cambiamo noi che li guardiamo e perché cambia anche la nostra sensibilità. Quindici anni fa, nelle sale, arrivava Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, un film che per la sua forza dirompente e per la sua qualità potrebbe essere uscito ieri. Ma non è così. Con Bastardi senza gloria, Tarantino è arrivato all’ennesimo punto di svolta della sua carriera. Alzando ancora una volta il livello. Bastardi senza gloria è ambientato durante la seconda guerra mondiale, e prende una strada completamente differente rispetto alla cronaca ufficiale. I protagonisti sono soldati americani che vengono mandati al fronte con la missione di spaventare il nemico. Velocemente, però, il loro compito diventa un altro. E la loro voglia di vendicarsi, di spazzare via i nazisti, li porta a riscrivere la storia. E paradossalmente il punto non è nemmeno questo. Il punto è il modo in cui Tarantino lo fa. Come costruisce i personaggi, le scene, in che modo scandisce la tensione e il racconto; la divisione in capitoli, le tante ambientazioni, i riferimenti al cinema americano e a quello italiano, la musica di Morricone , la “scoperta” di Christoph Waltz e il rilancio, in un ruolo quasi inedito, più adulto, di Brad Pitt. In quindici anni, Bastardi senza gloria non è invecchiato: è cresciuto. La sceneggiatura di Tarantino è stata ripresa e dissezionata. La violenza, così spudorata e grafica, è stata sviscerata e rivoltata completamente. Chi sono i buoni, chi i cattivi; il fine giustifica i mezzi o la vendetta rischia di trasformarci nei nostri peggiori nemici. Tarantino non usa mezzi termini: i nazisti sono il male e vanno puniti. E vanno puniti anche se si arrendono, anche se alzano le braccia e chiedono pietà: il personaggio di Brad Pitt li marchia con un coltello, incidendo sulla loro fronte una svastica. Perché, dice, la divisa si può togliere, questa no, la pelle rimane, e tutti devono sapere chi eri. Tarantino, insomma, gioca con il concetto stesso di memoria. Che si può cambiare, che si deve cambiare, e che non sarà mai più la stessa. L’idea iniziale del film ricorda Quella sporca dozzina di Robert Aldrich, ma Bastardi senza gloria trova velocemente la sua identità. La riflessione di Tarantino è una riflessione profonda, per niente banale, sul ruolo e sul potere che può avere il cinema. Che non deve essere per forza realistico o realista, ma che può sperimentare, intervenire attivamente, essere – rispetto a ciò che conosciamo – altro. Anzi, a volte è proprio questo che deve fare. Offrirci uno spunto su cui poter ragionare liberamente, un’alternativa. Il cinema pone domande, non dà risposte. O almeno: è quello che fa il cinema migliore, il cinema che rimane, che non subisce il tempo ma lo cavalca. Bastardi senza gloria di Tarantino si regge su un equilibrio sottilissimo, dove le immagini devono convivere con le parole e le parole devono farsi spazio e imporsi sulle immagini. Gli attori, in questo modo, assumono un ruolo centralissimo: devono seguire le direzioni, ma devono pure essere presenti e pronti. Pensiamo, per esempio, alla scena del pub, con Michael Fassbender che fa finta di essere un ufficiale nazista. Viene scoperto per il modo in cui fa tre con le dita. Ed è assurdo, se ci pensiamo. Così assurdo, però, da essere sensato, da fare il giro, da non uscire dal seminato del racconto ma da renderlo, anzi, ancora più credibile. Ci sono tante trame, molte verticali, che alla fine si intrecciano e confluiscono in una sola. C’è l’orfana che cerca vendetta, ci sono i soldati americani in missione; c’è l’ufficiale nazista che cerca una via di uscita – perché sa, lo sa, che perderanno –, c’è l’eroe di guerra che diventa attore e c’è l’attrice che diventa spia. Oltre la letteralità della scrittura, però, in Bastardi senza gloria sono evidenti anche i significati più nascosti: la sala cinematografica riacquista il suo posto e diventa non solo cornice ma sostanza stessa dell’azione. Una delle tracce più apprezzate della colonna sonora, Rabbia e tarantella, è stata composta da Ennio Morricone, ma non per questo film. Inizialmente, infatti, è stata utilizzata per Allonsanfan dei fratelli Taviani in una delle scene chiave. Tarantino però è sempre stato un appassionato della musica di Morricone e in molte occasioni – anche in Django, per esempio – ha inserito i suoi brani nella playlist della colonna sonora dei suoi film. Questa cosa, cioè vedere la propria musica riutilizzata in contesti diversi rispetto a quelli per cui era stata pensata, indispettì Morricone, che rifiutò più volte di lavorare con Tarantino prima di accettare per The Hateful Eight . Tarantino nasce come appassionato di cinema, e l’ha sempre detto. Quando era più giovane, ha lavorato come commesso in un videonoleggio, guardando e riguardando b-movie e classici del cinema anni Settanta e Ottanta. La sala cinematografica, così come succede per la storia di Bastardi senza gloria, ha sempre avuto un peso importante all’interno della sua vita e del suo percorso. In Cinema Speculation, il libro che Tarantino ha scritto e che in Italia è stato pubblicato da La nave di Teseo, questo suo attaccamento è particolarmente evidente: tra aneddoti, recensioni e spunti saggistici sui film, Tarantino trova anche il modo per raccontarsi, per raccogliere un’autobiografia dei suoi anni di bambino e adolescente. Bastardi senza gloria, benché impreziosito dalla fotografia di Robert Richardson, che lo allontana di molto dall’estetica dei b-movie, rappresenta quasi un punto di incontro tra il cinema con cui Tarantino è cresciuto e quello che, poi, ha fatto. Tiene insieme tutto, e questo è più che palese. La violenza nei film di Tarantino ha sempre avuto una funziona specifica: anche se eccessiva, esplosiva, grafica e a tratti fastidiosa, rispecchia la natura dei personaggi, la brutalità della vita e risponde a un certo gusto cinematografico. Bastardi senza gloria è l’opera che ha inaugurato la seconda parte della carriera di Tarantino. Più ricca, più hollywoodiana, chiaramente con un tipo di aspirazioni produttive più internazionaliste. Non ha senso, però, dire che Tarantino è cambiato come autore. Perché non è così. È sempre rimasto fedele a sé stesso e alla sua idea di messa in scena e di film. E Bastardi senza gloria, per l’ennesima volta, ne è un chiaro esempio. È una storia che è nata al cinema, dopo aver rivisto Quel maledetto treno blindato di Enzo Castellari alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che si è evoluta e si è trasformata, e che alla fine ha trovato al sua compostezza e la sua forma. La stessa sceneggiatura, particolarmente ricca e corposa, evidenzia un altro aspetto di Tarantino: uno quasi più letterario, pronto a darsi completamente alla scrittura . Bastardi senza gloria funziona in ogni aspetto, dall’inizio alla fine. Dalla sequenza d’apertura, tesa e orrorifica, alla chiusura. In un certo senso, segue il crescendo della musica – di, se cercate un brano specifico come riferimento, Rabbia e tarantella. Con questo film Tarantino ha riscritto la storia, ed è vero, ma l’ha fatto seguendo unicamente la sua voglia di raccontare e il potenziale incredibile che ha il cinema: che senza esagerare è il luogo in cui la nostra immaginazione può vivere liberamente.

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