Grandi fotografi e giovani esordienti protagonisti della 19esima edizione dell'appuntamento emiliano. Al centro della rassegna i legami tra uomo e natura, le trasformazioni immaginate dagli esseri umani e le dinamiche per superare l’atteggiamento di predominio.
Fino al 9 giugno Reggio Emilia sarà meta per gli appassionati di fotografia. Il capoluogo emiliano continua, infatti, a dare spazio a grandi fotografi e giovani esordienti per osservare i cambiamenti della contemporaneità attraverso la 19esima edizione di Fotografia Euopea, il festival promosso e organizzato dalla Fondazione Palazzo Magnani e dal Comune di Reggio Emilia, con il contributo della Regione Emilia-Romagna. 'La natura ama nascondersi' è il tema scelto dalla direzione artistica del Festival composta, anche quest’anno, da Tim Clark (editor 1000 Words), Walter Guadagnini (storico della fotografia e Direttore di CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia) e Luce Lebart (ricercatrice e curatrice, Archive of Modern Conflict).
Fotografia Europea 2024 si propone di esplorare, attraverso le tante prestigiose mostre personali e collettive di questa edizione, le connessioni tra occultamento e scoperta che dominano il nostro rapporto con la Natura, immaginando nuove narrazioni, al di fuori dell’atteggiamento di controllo dominante che la nostra specie esercita sul pianeta, per comprendere le dinamiche e le nuove direzioni da intraprendere.
La mostra storica di questa edizione torna nelle sale di Palazzo magnani con la prima retrospettiva in Italia di Susan Meiselas, fotografa americana nota soprattutto per il suo lavoro nelle aree di conflitto dell'America Centrale e, in particolare, per i suoi scatti della rivoluzione nicaraguense. La mostra, intitolata Mediations, raccoglie una selezione di opere che vanno dagli anni Settanta a oggi e rivela l'approccio unico alla fotografa di Meiselas, che mette costantemente in discussione lo status delle sue immagini in relazione al contesto in cui vengono percepite, spaziando dalla dimensione personale a quella geopolitica.
Le sale dei cinquecenteschi Chiostri di San Pietro ospitano ben 10 esposizioni, tra cui, al piano terra, una mostra che cattura l'infinita mutevolezza delle nuvole in una collettiva, intitolata Sky Album. 150 years of capturing clouds, in cui si celebra la vastità e la bellezza delle immagini di nuvole e l'unicità della pratica di fotografare il cielo da parte di scienziati, dilettanti e artisti. Al piano superiore, tra gli altri, espone il fotografo indiano Arko Datto che porta all’attenzione dei visitatori la questione incombente della catastrofe climatica e dei rifugiati che questa genera, attraverso una trilogia fotografica in corso da nove anni. I due capitoli qui presentati, tratti dal progetto The Shunyo Raja Monographies sono interamente dedicati al territorio del Delta del Bengala, considerato uno degli epicentri del cambiamento; includono ritratti e paesaggi che mappano l'erosione e l'innalzamento del livello del mare attraverso l'India e il Bangladesh e tracciano la traiettoria degli sfollati e dei paesaggi perduti a causa di una natura che reclama sempre più attenzione.
Matteo de Mayda, fotografo veneziano, presenta un’installazione composta da foto d’archivio e di reportage, immagini satellitari e al microscopio, testimonianze individuali e teorie scientifiche che fanno parte del progetto There’s no calm after the storm, in cui indaga gli impatti a lungo termine e meno visibili della tempesta Vaia, che ha colpito il Nord-est dell’Italia alla fine del 2018. Nato dopo la fine dell’emergenza, il progetto riflette sul fragile equilibrio tra l’azione dell’uomo e la tenuta degli ecosistemi.
Nel grande corridoio centrale, Natalya Saprunova espone il progetto Permafrost che racconta la vita delle popolazioni dell’estremo nord del continente asiatico. Qui, nei suoi lunghi viaggi in compagnia della macchina fotografica e di un taccuino, la fotografa russo-francese scopre luoghi come la Yakutia e le sue popolazioni indigene, tra cui i pastori di renne Evenki e gli Yakuti, allevatori stanziali di mucche e cavalli.
Bruno Serralongue dedica invece il suo progetto, dal titolo Community Gardens of Vertus, Aubervilliers, alla lotta - su scala locale, ma legata a una più ampia consapevolezza della necessità di preservare ambienti vivibili di fronte a progetti ecocidi – che alcuni giardinieri hanno iniziato nel 2020 per opporsi all’abbattimento di oltre 4mila metri quadrati di orti, a favore di nuove costruzioni per i Giochi Olimpici di Parigi 2024. Questo succede a meno di due chilometri da Parigi, ad Aubervilliers in Seine-Saint-Denis, il dipartimento più popolato della Francia e dove gli spazi verdi sono i meno numerosi.