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D'Amico: "Perché Fosse ha vinto il Nobel? È uno scrittore globale come Ibsen"

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Ludovica Passeri

©Getty

Abbiamo chiesto a Giuliano D'Amico, professore associato di Letterature nordiche all'Università di Oslo, di guidarci nella comprensione di questo autore, dei suoi silenzi e di un Paese, la Norvegia, che conosciamo ancora molto poco. Sapevate che esistono due varianti di norvegese e che Fosse scrive in quella minoritaria? Vi spieghiamo perché non è un dettaglio di poco conto

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Chi è Jon Fosse? Una domanda che dopo l'assegnazione del Nobel per la letteratura 2023 si sono posti in molti. In Italia, questo autore ibrido, che ha spaziato dalla narrativa ai drammi passando per la poesia e i libri per bambini fino ai saggi, sconta un certo ritardo di traduzione e l'assenza dagli scaffali delle grandi librerie. Dopo il debutto nell'1983 a 24 anni con il romanzo Rosso, Nero, negli anni Novanta arriva la consacrazione come drammaturgo, un decennio prolifico in cui Fosse mette a segno uno dei suoi romanzi più importanti. Melancholia (Fandango, 2009) parla di arte e dell'incapacità di vivere: è la storia romanzata del pittore ottocentesco Lars Hertervig colto nell'ultima giornata della sua esistenza. Il 2012 è l’anno segnato dalla conversione al cattolicesimo, un passaggio biografico che risuona nei suoi ultimi lavori. Di recente pubblicazione, le prime due parti di Settologia (La Nave di Teseo, 2021), una monumentale opera senza punti, in cui il flusso dei pensieri travolge e scuote il lettore. L’uscita del secondo volume con la terza, quarta e quinta parte è prevista per il 10 ottobre. Abbiamo chiesto a Giuliano D'Amico, professore associato di Letterature nordiche all'Università di Oslo, di guidarci nella comprensione di questo scrittore, dei suoi silenzi, e di aiutarci a capire le ragioni di un Nobel che in Norvegia era nell'aria da anni.

Come è stata accolta in Norvegia la vittoria di Fosse?

Con tanta felicità e unità nazionale. La Norvegia non vinceva dal 1928, in un certo senso è un premio Nobel anche alla letteratura norvegese. L'ultima a ricevere il Premio fu la scrittrice Sigrid Undset. Anche lei si era convertita al cattolicesimo, proprio come lui. Quella di Fosse è ricerca del mistero nel mondo reale. 

 

Come viene percepito un intellettuale ateo convertito al cattolicesimo al Nord?

Essere uno scrittore cattolico in Norvegia non è la stessa cosa che essere uno scrittore cattolico in Italia. La percezione del pubblico è quella di uno scrittore necessariamente più attento a questioni spirituali. La sua letteratura si colora di aspetti più metafisici, anche in ragione dello stereotipo del convertito che c’è nei Paesi luterani. Stereotipo o meno, non possiamo negare che ci sia uno slancio mistico che dal punto di vista biografico coincide con la sua conversione.




In un'intervista al "New Yorker" Fosse parlò di Chiesa come istituzione che fa da contraltare ai poteri forti, economici. Sembra che la sua visione non sia esclusivamente spirituale ma anche politica, coerente forse in qualche modo con lo spirito della sua giovinezza anarchica e rivoluzionaria. Che interpretazione dare?

Convertirsi al cattolicesimo in un Paese luterano è necessariamente un atto politico. Quanto questo sia basato su una visione marxista-rivoluzionaria, di sinistra, non saprei, ma è chiaro che al di là delle scelte spirituali personali, c’è un aspetto culturale, marcare una diversità, una opposizione, tramite una scelta di fede.



Nelle motivazioni del Premio Nobel l'Accademia svedese ha scritto che Fosse ha la capacità di dare "voce all'indicibile". Cosa significa?

La letteratura di Fosse è semplice ma estremamente ricca, come la sua scrittura, sia teatrale sia in prosa: all’apparenza i suoi testi sono scarni, nascondono però un mondo esistenziale, spirituale, letterario. La scrittura  minimalista di Fosse punta tutto sulla sottrazione, è fatta di spazi vuoti e di parole singole e assolute. Quello che fa Fosse è togliere fino ad arrivare al nocciolo, un esercizio che invita noi spettatori o lettori a riempire questi vuoti con del significato. È un tema onnipresente per lui quello di non riuscire a comunicare, ma anche l'incapacità dell’uomo di comprendere il trascendente, il divino. Negli ultimi anni le pause, i silenzi sono stati in parte colmati da riflessioni esistenziali e appunto metafisiche.

 

Quali sono i tratti distintivi di questa poetica?

In alcuni casi, c’è assenza di punteggiatura. In alcune sue opere in prosa, è tutto un continuum. Va avanti e indietro nel tempo, non sappiamo mai dove si ferma e dove ricomincia la narrazione. Nei drammi ci sono lunghissime pause, conversazioni spoglie che non procedono. Questo ha due conseguenze: porta a ragionare sull'incomunicabilità e sui limiti della scrittura. Il punto è che ci sono cose che la lingua non ci permette di esprimere e che quindi vengono trasmesse in altri modi. Nel caso di Fosse, questo indicibile si sviluppa attraverso le pause e le ripetizioni. La sua scrittura si basa molto su espressioni ripetute, anche ossessivamente. Sarebbe bello mettere tutte le opere di Fosse in una macchina e trovare la frequenza delle parole. Nella Settologia i personaggi hanno nomi che si ripetono... tutto questo svela un mondo misterioso che ha a che fare con il trascendente.



A proposito di teatro, come si traduce tutto questo in scena?

Un conto è leggerlo sulla pagina scritta e un conto è vederlo messo in scena. Le sue rappresentazioni sono veramente un’esperienza unica. È tutto condensato in poche parole. Bisogna stare attenti a come vengono pronunciate, a quando vengono pronunciate, al prima e il dopo, alla gestualità, alla mimica, alle luci, ai suoni. La drammaturgia di Fosse ruota attorno al poco che si dicono i personaggi. Al pubblico italiano consiglio di iniziare a conoscerlo dal teatro: permette a chi lo guarda di farsi un’idea. Al centro ci sono rapporti con le persone, i protagonisti sono come noi, hanno i nostri stessi problemi. Lo spettatore è chiamato a dare significato ai silenzi e a quel testo senza orpelli. Sono testi relativamente semplici da mettere in scena, ma che anche per questo richiedono un lavoro attoriale immenso.

 

C'è chi lo ha definito il "Beckett del XXI secolo". Concorda?

Il paragone con Beckett è un po' semplicistico ma è calzante. Le situazioni che si trovano nei suoi romanzi, soprattutto nei suoi testi teatrali, sono al limite della verosimiglianza, non ci sono indicazioni di scenografia, molto spesso non sappiamo neanche i loro nomi. Si ragiona su contesti di incomunicabilità, di assenza di logica rispetto a quello che viene detto e che succede. Molto spesso una conversazione lineare che accade in un dato momento in realtà svela dei vuoti di decenni e dopo una pausa sono passati degli anni oppure si trattava di un flashback. 

 

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Chi è Jon Fosse, quali sono le sue radici?

Bisogna innanzitutto dire che non è uno scrittore di Oslo. È nato sulla costa atlantica e cresciuto culturalmente a Bergen, una città che ha la metà degli abitanti della capitale. È lì che si trova l'accademia di scrittura in cui ha insegnato a lungo. È vero che il mondo letterario norvegese è molto oslocentrico, ma anche Bergen gioca un ruolo importante. A livello ambientale, crescere in quelle zone significa sperimentare una maggiore vicinanza alla natura, essere immerso in un paesaggio fatto di fiordi, fare vita di costa. Per deformazione professionale non mescolo mai vita e letteratura, dato autobiografico e opere, ma da lettore ho ritrovato tutto questo. Pensiamo a Settologia, quello sullo sfondo non è un mondo urbano, ma è rarefatto, con personaggi distanti che parlano poco. Sono zone in cui, appena fuori dai centri urbani, il vicino di casa è quello che ha una fattoria a due km e in mezzo non c’è niente. Ora Fosse vive a Oslo, in una grande città trafficata. Per la precisione, accanto al Palazzo reale, nella residenza onoraria di Grotten, concessagli dal re. Per via dei suoi meriti letterari e del suo prestigio - in patria è molto letto e celebrato - riceve anche un contributo statale per poter fare l’autore. Questa residenza è la ciliegina sulla torta di questo ruolo nazionale, ma è importante conoscere il suo background. E anche la questione linguistica non va sottovalutata, Fosse scrive nella lingua di minoranza.

 

Ci spieghi meglio.

Il norvegese scritto ha due varianti nate nel corso del XIX secolo: il bokmål (lingua dei libri) e il neonorvegese, nynorsk, chiamato anche landsmål che significa "lingua del paese", due varianti scritte della stessa lingua. La prima variante, la lingua dei libri, si basa sulla lingua scritta danese (la Norvegia fece parte del regno di Danimarca dalla fine del XIV secolo al 1814) che venne progressivamente avvicinata al parlato delle classi borghesi di Kristiania (oggi Oslo). La seconda variante, il neonorvegese, è invece un ibrido basato su una serie di dialetti norvegesi, che il linguista Ivar Aasen traspose e mescolò in un contesto scritto. Per forza di cose, quindi, il neonorvegese è più vicino al mondo rurale e, storicamente, alle classi contadine.  Le differenze sono di grammatica, morfologiche e storiche, anche se le due varianti sono reciprocamente intelligibili. La lingua dei libri è utilizzata da circa il 90% della popolazione, l’altra dal 10% e Fosse scrive proprio in questa lingua minoritaria. Tutti i norvegesi possono leggerla, ma non tutti possono scriverla. Il fatto che sia utilizzata da uno scrittore così importante è un valore aggiunto. Fosse è stato importantissimo per l’affermazione letteraria del neonorvegese degli ultimi 20-30 anni ed ha fatto degli esperimenti di traduzione di alcuni drammi di Ibsen dal bokmål al nynorsk.

 

È una scelta di campo?

Probabilmente non rientra in una strategia di opposizione, anche perché dobbiamo tenere conto che lui è cresciuto come utilizzatore di questa lingua minoritaria e quindi è venuto naturale, ma eleggendola come propria lingua letteraria ha assunto inevitabilmente una postura politica e culturale. Il fatto di utilizzare una lingua minoritaria rende di per sé la sua scrittura militante e politica.

 

In che contesto politico e culturale si è formato?

Fosse è uno degli autori più rappresentativi degli scrittori postmodernisti che debuttano negli anni Ottanta in Norvegia. E allo stesso tempo è a cavallo tra due generazioni incarnate da altri due grandi nomi della letteratura norvegese. Il primo è Dag Solstad, una mezza dozzina di suoi romanzi sono arrivati in Italia nell’ultimo decennio, acclamato all’estero tanto che si è anche parlato di una sua chance di vincere il Nobel. Più vecchio di Fosse di una ventina d’anni, Solstad rappresenta i norvegesi cresciuti con il mito del ‘68, cresciuti nel sogno marxista che poi si sono scontrati con l’impossibilità della realizzazione di certi ideali. Sia Fosse che Solstad si sono formati  negli anni Settanta, una fase di grande crescita della Norvegia e di definizione di una società socialdemocratica molto sviluppata. La scoperta del petrolio ne ha fatto un Paese sempre più ricco. La letteratura di questi autori risente del venire a patti con la socialdemocrazia, con i limiti alla libertà e con questo enorme benessere. Fosse si inserisce in questo movimento, che definisco, semplificando un po’, di post Sessantotto, ma non del tutto. Il filo conduttore tra gli autori che raccontano la seconda metà del Novecento, che contraddistingue anche i più giovani nati negli anni Sessanta come Karl Ove Knausgård, il riferimento generazionale successivo a Fosse, è l’eterna ricerca di senso, soprattutto nei rapporti interpersonali. Ognuno è in eterna lotta, in continua ricerca di un modo di comunicare con gli altri o con qualcos'altro che è più grande di noi nelle varie declinazioni. Che sia un ideale, un'entità politica, o Dio.

 

Cosa ha reso Fosse uno scrittore da Nobel?

Credo che la risposta sia che, a differenza di Solstad che parla moltissimo della Norvegia contemporanea e che è focalizzato su un mondo socialdemocratico e su un orizzonte più prettamente nordico, Fosse è uno scrittore ecumenico, parla di persone, persone che potrebbero vivere in qualsiasi parte del mondo. Questo è uno dei motivi per cui la sua scrittura funziona: tutti possono riconoscersi. In questo senso è grande come Ibsen che raccontava storie che avrebbero  potuto svolgersi in qualsiasi città europea, senza riferimenti particolari. A parte la neve e un fiordo che comparivano qua e là e che suggerivano che il racconto non fosse ambientato a Palermo, non c'erano troppi segni di riconoscimento. Fu una bomba nel mondo teatrale dell'Ottocento perché scriveva di "un noi", della borghesia europea di quegli anni. Anche Fosse è uno scrittore globale, parla a tutti e in più, utilizzando un numero ridotto all'osso di parole, traduce sentimenti e emozioni complessi, ma che sono universali.



In Italia la vittoria di Fosse è stata accolta in modo un po' interrogativo. Almeno fino all'annuncio dell'assegnazione del Nobel, non era scontato trovare copie dei suoi libri nelle grandi librerie. Si può dire che sia semisconosciuto al grande pubblico.

Di una sua probabile vittoria si parla da anni sia in Norvegia sia nella vicina Svezia. In Francia è insignito del titolo di cavaliere al merito. Perché In Italia è semisconosciuto? Anche se debuttò negli anni Ottanta e nel decennio successivo aveva già collezionato un certo successo, in Italia abbiamo dovuto aspettare i primi anni 2000 per avere delle traduzioni. Si trattava di piccole poesie sparse e qualche opera teatrale. In generale, è più probabile averlo conosciuto a teatro. Tutt’oggi abbiamo tradotto solo alcuni dei suoi romanzi, penso soprattutto a Melancholia e ai primi due volumi di Settologia. Possiamo dire che il “Fosse italiano” è un work in progress, ma che questo Nobel darà sicuramente una scossa.

 

Sa dirci il perché di questo ritardo?

In italia ci arrivano solo dei pezzi di molte letterature straniere. Quella norvegese è una di quelle letterature che ci arriva in modo frammentario. Perchè? Molto banalmente gli autori non sono tradotti in maniera sufficientemente rappresentativa. Fino agli anni Ottanta, quando sbarcò la casa editrice Iperborea, le poche traduzioni delle opere norvegesi erano di seconda mano, arrivavano dal tedesco, dal francese. Dalla mia generazione in poi le cose sono cambiate. C'è Margherita Podestà, che è la principale traduttrice di Fosse, una serie di suoi colleghi esperti e di grande talento, e poi molti giovani, una buona dozzina di ragazzi, che sono stati anche miei studenti quando insegnavo a Milano, che stanno colmando le lacune. Piano piano emergeranno tesori, gli italiani hanno ancora molto da scoprire sulla letteratura norvegese e sulla Norvegia. Potremo anche scoprire che la letteratura norvegese ha molti più collegamenti con quella italiana, francese, tedesca, spagnola di quanto si possa immaginare. I norvegesi hanno avuto il barocco letterario, poeti romantici, i grandi romanzi storici, esattamente come noi.

 

Si dice che Fosse sia un appassionato dell'Inferno di Dante.

Non mi stupisce. Per molti anni la traduzione standard della Commedia era in neonorvegese, poetica e bella. I norvegesi non fanno parte dell'Ue ma si sentono profondamente europei e Dante è un autore di riferimento come nel resto del continente. Fosse è uno scrittore europeo. 

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