Fai rumore, una raccolta di fumetti contro la mascolinità tossica

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Gabriele Lippi

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Nove storie brevi, di piccoli abusi quotidiani, spesso non riconosciuti come tali, per costruire una nuova educazione ai rapporti di genere. L'antologia voluta dal collettivo Moleste è pubblicata da Il Castoro. Francesca Romana Torre: "Parla ai giovani, ma anche agli adulti. E non vuole essere divisiva". L'intervista

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Far rumore, parlare, spezzare il silenzio. È con questo scopo che nel 2020 un gruppo di fumettiste italiane ha dato vita al collettivo Moleste, un gruppo nato per dar voce a quegli episodi di abusi e discriminazione di genere all’interno del mondo del fumetto nel nostro Paese. Un’iniziativa che ha recentemente battezzato il suo primo progetto su carta, Fai Rumore. Nove storie per osare (Il Castoro, 192 pagine, 16,50), un’antologia di storie brevi che hanno al centro episodi di piccoli abusi quotidiani, comunque in grado di lasciare il segno su chi li subisce. Ne abbiamo parlato con Francesca Romana Torre, autrice di una delle storie, coordinatrice del progetto e fondatrice di Moleste.

Il Castoro

Parliamo della genesi dell’iniziativa. Quando e come nasce?
Nasce circa un annetto fa, quando la casa editrice Il Castoro contatta il collettivo Moleste dicendo che ci seguiva dalla nostra nascita nel 2020 e che sarebbe stata interessata a fare un progetto con noi rivolto al loro target di lettori adolescenti. Rispetto ad altre proposte che ci proponevano di mettere su tavola e disegnare le testimonianze, cosa che non volevamo fare per questione di rispetto, loro ci proponevano un’iniziativa narrativa e artistica. E questo ci ha convinto.

Come avete scelto il gruppo di autrici e l’autore?
Abbiamo contattato le autrici e l’autore che avrebbero fatto parte dell’iniziativa, tra quelle che fanno parte del collettivo, i simpatizzanti e i firmatari, le persone per cui avevamo una stima artistica. Li abbiamo selezionati anche sulla base dei lavori precedenti e sulla base delle storie proposte da loro.

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Uno dei grandi meriti di Fai rumore, secondo me, è il fatto di evitare la spettacolarizzazione tipica della fiction, proponendo storie di piccoli abusi quotidiani, a volte invisibili, non riconosciuti come tali da chi li compie e talvolta nemmeno dalle vittime.
Il volume è rivolto principalmente ai giovanissimi ma è trasversale, penso abbia un linguaggio che non allontana il lettore adulto. La scelta di raccontare piccoli abusi quotidiani è importante perché innanzitutto permette di identificarsi nelle storie, cosa che è più difficile accada con le storie più estreme che, per fortuna, sono statisticamente meno frequenti. Poi volevamo indicare che questi piccoli abusi quotidiani hanno un impatto importante su chi li vive e il fatto che essere inconsapevoli è una scusante fino a un certo punto perché è il momento di capire che le nostre azioni hanno un peso. Inoltre volevamo stare lontani da una narrazione della violenza che i media fanno spesso in maniera morbosa: o è tremenda o non ne vale la pena parlarne, diventa stigma per le vittime e questo causa silenzio. La nostra antologia vuole rompere il silenzio.

La tua storia, per esempio, racconta di come queste storie non siano mai monodimensionali, di come le vittime stesse si trovino spesso sospese tra due stati d’animo diametralmente opposti, e di quanto possa essere doloroso rinunciare a una parte di sé per fare la cosa giusta.
A volte ci sono situazioni in cui il processo di guarigione dal trauma non è lineare, non si compie in una volta sola, può essere lungo. E anche il proprio ruolo dentro l’esperienza traumatica non è mai un ruolo univoco e stereotipato, non tutte si comportano allo stesso modo. La scissione che provoca uno stallo interno è difficile da risolvere, volevo rappresentare la complessità dell’essere vittima.

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Mi viene da pensare a una frase di Amber Heard: non sono la vittima perfetta. Spesso si cerca proprio questo, in una vittima?
È una frase assolutamente vera, si tende a cercare la vittima perfetta che risponda a dei canoni che ci rassicurano e deresponsabilizzano, e se la vittima non si comporta esattamente come pretendiamo, allora decade un po’ la nostra responsabilità nei suoi confronti. Non solo quella dell’abusante ma del contesto sociale che non ascolta, non crede alla vittima. La vittima perfetta schiaccia completamente la persona su un ruolo, per cui nel momento in cui hai subito una violenza devi rispondere a determinate richieste da parte del pubblico, ma molto spesso le situazioni sono molto più complesse. Sono dinamiche che tendono alla colpevolizzazione della vittima, si tende a ridimensionare la violenza in qualcosa di partecipato se la vittima non è ineccepibilmente perfetta. Negli ultimi anni l’opinione pubblica è cresciuta, è più sensibile, ma in certi contesti c’è ancora troppa pressione sulla vittima.

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Che non sia un libro per sole donne, o contro gli uomini, lo dimostra la presenza tra gli autori di Davide Costa, con una storia che mostra come anche un uomo possa essere a suo modo vittima della mascolinità tossica.
Questa è una storia che abbiamo voluto fortemente, sia la casa editrice e poi noi. Davide Costa ha mostrato molto bene la pressione che subisce un ragazzo o un uomo nel doversi adeguare a un modello di maschio alfa e che lo porta poi a dei comportamenti che possono non essere suoi. È anche la storia che ha il linguaggio più esplicito, forte e diretto, perché avevamo bisogno di far capire la violenza di quelle parole. La mascolinità tossica danneggia anche gli uomini, in modo diverso, ma non è detto che ogni uomo si trovi a suo agio in questo modello patriarcale. In un’altra storia, quella di Lucia Biagi, ad ascoltare la vittima è il suo amico, non la madre o la sorella. Il nostro non vuole essere un messaggio di divisione e conflitto a prescindere.

Fai rumore è una chiamata all’unione? Una richiesta di alleanza?
Lo si vede già nella copertina, che raffigura un gruppo di persone che si danno forza l’un l’altra. La decisione nasce dall’individuo, ma senza una comunità pronta a sostenerti diventa tutto più difficile. Il nostro è un appello a farlo insieme, anche perché poi la dimensione di aggregazione in età scolastica è estremamente importante e per due anni questa generazione ne è stata privata.

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Da quando avete lanciato Moleste, la situazione nel fumetto italiana è migliorata?
Io spero di sì, ma secondo me il miglioramento più evidente sta proprio nel fatto che ora c’è un gruppo, tutte possono fare gruppo, riconoscersi e parlarsi. Tutte e tutti quelli che hanno a cuore la parità. Tutti quegli episodi che venivano taciuti fino a qualche anno fa, ora hanno possibilità di esprimersi e avere un appoggio anche psicologico. C’è in generale la consapevolezza che se succede qualcosa c’è un modo per parlarne, non hai più l’incognita che se lo racconti non sai più cosa ti risponderanno. Abbiamo dimostrato di essere ascoltatrici che non giudicano, disposte a esserci.

AA. VV., Fai rumore. Nove storie per osare, Il Castoro, 192 pagine, 16,50 euro

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