Coronavirus: in Italia persi in tre mesi 500mila posti di lavoro

Lavoro
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La sospensione forzata di gran parte dell’attività economica, associata alle misure di lockdown adottate in molti paesi hanno determinato una crisi economica senza precedenti

Covid, l’Italia in tre mesi ha perso 500mila posti di lavoro. E’ drammatico il bilancio delle conseguenze della pandemia sulla disoccupazione.


Lo dicono i dati dell’ultimo rapporto Ocse presentato in un incontro dell’Università Cattolica. Un andamento peggiore che nel resto di molti altri Paesi colpiti dalla pandemia L’impatto sul mercato del lavoro del Covid-19 è stato immediato. In pochi mesi i progressi fatti negli ultimi dieci anni sono stati spazzati via: nei 37 Paesi Ocse il tasso di disoccupazione è passato dal 5,3% di gennaio all’8,4% di maggio. Tra i paesi più colpiti c’è sicuramente l’Italia che in soli tre mesi ha perso 500mila posti di lavoro. Sono le 'implicazioni devastanti' della crisi sanitaria sul mercato del lavoro internazionale e nazionale. Le questioni lavorative legate alla pandemia e alla fase del lockdown sono state illustrate dall’economista Andrea Garnero, direttorato per l’Occupazione e gli Affari Sociali, Ocse, nel webinar promosso ieri sui social dell’Università Cattolica dal Dipartimento di Economia e Finanza e dal Centro di ricerca sul lavoro Carlo Dell’Aringa (Crilda) presentando i principali risultati dell’Employment Outlook 2020: Facing the jobs crisis.


Il rapporto, recentemente pubblicato e tra i più importanti al mondo sui temi del lavoro nei paesi più sviluppati, è dedicato infatti all’impatto dell’emergenza Covid e alle politiche che i governi nazionali dovrebbero implementare per ridurre gli effetti della pandemia sul lavoro e sui lavoratori. ''La sospensione forzata di gran parte dell’attività economica, associata alle misure di lockdown adottate in molti paesi, e la disarticolazione delle catene globali del valore hanno determinato una crisi economica senza precedenti'', ha detto il direttore del dipartimento Luca Colombo aprendo il dibattito, moderato dal giuslavorista Michele Faoioli e introdotto da Claudio Lucifora, docente di Labor Economics.


''In moltissimi paesi, gli interventi a supporto dei redditi sono stati immediati e ingenti. Si calcola che in Europa l’intervento discrezionale a sostegno dell’economia (sussidi e crediti a favore di famiglie e imprese e differimento del pagamento di imposte) sia stato di oltre il 3,5% del pil dell’area, oltre naturalmente all’azione degli stabilizzatori automatici pari a un ammontare intorno al 5% del pil”. Ciononostante, ha aggiunto Colombo “nell’area Ocse, la caduta del pil tra l’ultimo trimestre del 2019 e il secondo trimestre 2020 è stata pari più o meno al 15%”. E ancora: Il numero di ore lavorate, per i paesi Ocse per i quali ci sono dati disponibili – Australia, Canada, Corea, Giappone, Stati Uniti, è caduto in misura 10 volte superiore nei primi tre mesi della crisi Covid-19 rispetto a quanto accaduto nei primi tre mesi della crisi finanziaria globale del 2008-2009.


I dati emersi dal rapporto non sono per nulla confortanti. ''In media nei 37 paesi Ocse il tasso di disoccupazione dal 2008 a oggi, dopo una relativamente lenta diminuzione dal picco del 2010, da inizio 2020 in cui si era arrivati al 5,3% è schizzato all’8,5%, ad aprile, e poi, all’8,4%, a maggio. Quindi in pochi mesi sono stati spazzati via i progressi fatti in dieci anni'', ha detto Garnero. Ma la media nasconde notevoli differenze: per esempio in Italia, in Portogallo e anche in Grecia il tasso di disoccupazione è addirittura sceso tra marzo e aprile. Come è possibile questo paradosso? ''Nel nostro Paese l’abbassamento del numero dei disoccupati riflette un travaso verso l’inattività'', ha spiegato l’economista dell’Ocse.


''Il tasso di disoccupazione non è necessariamente l’indicatore migliore da guardare per una crisi di questo genere. Quello che vediamo per il caso italiano se guardiamo al totale degli occupati – che è un indicatore migliore ma non ancora il migliore – è che è sceso di 500mila nei tre mesi di marzo, aprile, maggio. È un numero molto importante con un calo ad aprile molto più forte anche rispetto ai mesi del picco della crisi del 2008''. Tanto più importante e grave, ha aggiunto Garnero, ''se pensiamo che la cassa integrazione era stata estesa a tutti ed era stato introdotto un divieto di licenziamento, ancora in vigore. Quindi nonostante due misure così radicali e così estreme, mai prese prima, il numero di occupati è sceso''.


Questo perché il mercato di lavoro non è una 'scatola chiusa' ma è fatto anche di una 'porta di entrata', con lavoratori che non vengono assunti o hanno contratti temporanei che non sono rinnovati. Come se non bastasse la fortissima perdita occupazionale è stata accompagnata da un crollo del numero di assunzioni: la variazione degli annunci giornalieri pubblicati online dalle imprese tra febbraio e giugno 2020 è stata molto forte, crollando in Italia del 30% e in altri paesi addirittura del 50-60%. Altro dato significativo è che tra i lavoratori rimasti occupati una grossa percentuale in realtà non era al lavoro. Se nell’aprile del 2019 circa il 5% delle persone non lavorava per ferie o malattie ad aprile 2020 un terzo dei lavoratori definiti occupati era in cassa integrazione, facendo registrare rispetto allo stesso mese dell’anno precedente un aumento del 33%.


Inoltre, guardando il numero delle ore di lavoro nei primi tre mesi della crisi Covid-19, l’impatto iniziale è stato 10 volte tanto di quello della crisi del 2008: le ore di lavoro in Australia, Canada, Giappone, Corea, Svezia e Stati Uniti sono diminuite del 12,2% rispetto all'1,2% dei primi tre mesi della crisi 2008-2009. Una percentuale che è esplosa in Italia, tra i paesi più colpiti nell’area Ocse. «Se consideriamo il numero di occupati e le ore di lavoro di questi occupati il calo totale è stato circa del 28% più forte che in Canada, negli Stati Uniti e di altri paesi di cui disponiamo i dati», ha specificato l’economista.


Secondo Garnero sono due i messaggi da cogliere da questi dati: il primo, tenere sotto controllo la pandemia altrimenti si cade in nuove misure restrittive che pesano sull’economia; il secondo, che la ripresa ci sarà ma i costi da affrontare dureranno non solo nei prossimi trimestri ma anche negli anni a venire. L’altra considerazione da fare è che, contrariamente a quello che viene detto, la pandemia non è una “grande livella” anzi rischia di “ampliare ulteriormente le disuguaglianze” dal momento che a subire maggiormente gli effetti del Covid-19 sono i lavoratori più vulnerabili a basso salario e che non possono fare il telelavoro, quelli autonomi e a tempo parziale, le donne e i giovani: basti pensare che la disoccupazione giovanile è passata dall’11,2% di febbraio al 17,6% di maggio.


Ovvio che la soluzione della crisi sanitaria rimane la conditio sine qua non per risolvere la crisi economica, ha avvertito Garnero. Quanto all’Italia serve ora passare a una fase di ricostruzione, di Building better, che si fondi su vari pilastri, tra cui politiche attive e passive, un adattamento della cassa integrazione, un maggiore contatto con i giovani, la creazione di nuovi posti di lavoro. Per questo, ha concluso Lucifora, le politiche che riusciranno a guidare una riallocazione delle risorse saranno quanto mai importanti''. Lo ''scenario peggiore” che si potrebbe prospettare, anche con i fondi del Recovery Fund, sarebbe quello di ''distribuire a pioggia le risorse mantenendo in vita imprese già morte''.

 

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