Cgil, 8 mln lavoratori in smart working, maggior parte precipitati

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Non c'è stata, molto probabilmente per ragioni di gestione dei tempi, in emergenza, una riflessione sull'organizzazione del lavoro, sugli spazi, sul lavorare per obiettivi, in gruppo, né un'adeguata preparazione.

Prima dell'emergenza Covid, in Italia, lavoravano da remoto circa 500 mila persone. In queste settimane di lockdown si stimano siano state più di 8 milioni. E’ quanto emerge dalla prima indagine sullo smart working ''Quando lavorare da casa è... Smart", promossa dall'area politiche di genere della Cgil nazionale realizzata insieme alla Fondazione Di Vittorio presentata durante una conferenza stampa sulla piattaforma del sindacato Collettiva.it. L'indagine è stata condotta attraverso un questionario compilato da 6.170 persone.


La stragrande maggioranza di chi ha risposto al questionario ha risposto di essere ‘precipitato’ nel lavoro smart in corrispondenza dell'avvio delle misure di contenimento del virus. Non c'è stata, molto probabilmente per ragioni di gestione dei tempi, in emergenza, una riflessione sull'organizzazione del lavoro, sugli spazi, sul lavorare per obiettivi, in gruppo, né un'adeguata preparazione.


Lo smart working per le donne è una modalità di lavoro meno indifferente e soprattutto più pesante, complicata, alienante e stressante. A differenza degli uomini per i quali, oltre ad essere più stimolante e soddisfacente, è maggiore l'indifferenza rispetto al lavoro tradizionale. In particolare, "è sbagliato pensare che lo smart working sia uno strumento di conciliazione o condivisione per il lavoro di cura della casa" a sottolinearlo è stata Susanna Camusso responsabile dell'area Politiche di genere della Cgil, commentando i dati della ricerca. "La cura della casa, dicono le donne viene condivisa mai, raramente, solo a volte per il 68,3% delle donne; -osserva Camusso - va un po' meglio a per la cura dei figli ma comunque il 46% delle donne dice non viene condivisa mai, raramente o a volte".


“Lo smart working nella contrattazione - ha commentato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini - non deve diventare una modalità di lavoro permanente a meno che ci sia una scelta volontaria di una persona. Nel lavoro, a qualsiasi livello, la relazione non è solo utile per le relazioni umane ma lo è anche per il funzionamento della stessa impresa e la creatività. Inoltre per il leader della Cgil lo smart working bisogna "regolamentarlo, oggi no lo è” ha sottolineato. “Il lavorare da casa un conto è se è regolato e ho diritti da far valere, un conto se sono costretto perché è l'unico modo per continuare ad avere uno stipendio”. Bisogna “fissare i limiti orari, giornalieri, settimanali” che ci devono essere come se lavoro all'interno di una impresa: "Le stesse condizioni di salute e sicurezza" ci devono essere "e il mio trattamento economico e normativo pur lavorando a distanza non deve essere inferiore a chi lavora con la stessa mansione dentro al luogo di lavoro". Landini ha poi rimarcato che ci deve essere anche il "diritto alla disconnessione" e "la dotazione tecnologica deve essere adeguata".

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