Istat, 2 terzi imprese industriali chiuse, 46,8% fatturato industria

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La sospensione incide in misura maggiore nel comparto industriale anche dal punto di vista occupazionale: il 59,3% degli addetti sono occupati nelle attività sospese, contro il 35,2% dei comparti dei servizi. 

Sul fronte dei macro-settori economici, i provvedimenti di chiusura per fronteggiare l'emergenza coronavirus “hanno riguardato in maniera più pervasiva l'industria: quasi i due terzi delle imprese industriali, che rappresentano il 46,8% del fatturato e il 53,2% del valore aggiunto del macrosettore, hanno dovuto sospendere la propria attività”. Lo rende noto l'Istat. Nel terziario l'incidenza delle imprese che operano in comparti la cui attività è interrotta è del 43,8%, il 37,2% in termini di fatturato e il 29,9% in termini di valore aggiunto. La sospensione incide in misura maggiore nel comparto industriale anche dal punto di vista occupazionale: il 59,3% degli addetti del settore sono occupati nelle attività sospese, contro il 35,2% dei comparti dei servizi. 

La sospensione delle attività industriali contemplata dai provvedimenti di chiusura per fronteggiare l'emergenza coronavirus ha inciso in particolar modo nel Nord-est (dove il 50,1% dell'occupazione afferisce ad attività sospese) e del Nord-ovest (43,3%), mentre la quota è via via inferiore nel Centro (41,3%), nel Sud (41,1%) e nelle Isole (33,6%).

La chiusura delle attività penalizza soprattutto le imprese esportatrici: quelle attive in settori sospesi producono il 63,9% dell'export complessivo, realizzando all'estero il 20,4% del fatturato, contro l'8,1% di quello prodotto dalle imprese operanti nei settori aperti, si legge Una maggiore esposizione verso l'estero delle imprese esportatrici la cui attività è sospesa è testimoniata anche da un numero medio di paesi di destinazione dell'export più elevato (14 contro 11) e un maggior numero medio di prodotti esportati (12 contro 10) rispetto a quelli attivi. 

Per quantificare l'impatto economico dell'emergenza coronavirus sull'economia è ancora presto: secondo l'Istat si può “ipotizzare che il gap di produzione/valore aggiunto si determinerà in tutta la sua estensione nel secondo trimestre, con tutti gli indicatori e le statistiche relative all'economia e al mercato del lavoro che ne registreranno i risultati”. “Dato il calendario delle diffusioni delle informazioni prodotte dall'Istituto, sino alla fine di maggio si avranno esclusivamente misure relative alla fase iniziale della crisi e nelle quali sarà quasi impossibile identificare/isolare l'ampiezza dell'effetto di contrazione dell'economia derivante dalla situazione che si è progressivamente aggravata”, sottolinea l'Istat.

A febbraio, quando si sono riscontrati primi contagi da Covid-19, si è registrata in media, a livello nazionale, una flessione del numero di arrivi totali nelle strutture ricettive italiane del 15,0% rispetto allo stesso mese dell'anno 2019, con una flessione per la componente estera più consistente (-18,5%). “E’ del tutto evidente che nel mese successivo e anche ad aprile i flussi turistici si sono pressoché azzerati a causa delle misure di distanziamento sociale" commenta l'Istat. Per fornire un'indicazione dell'impatto del fenomeno epidemico sui flussi turistici nel territorio nazionale nei mesi della fase di esplosione della crisi del Covid-19, è possibile fare riferimento ai dati relativi a febbraio, marzo e aprile 2019 (in versione provvisoria mentre quelli consolidati saranno diffusi a giugno 2020). In base ai dati preliminari, sull'intero territorio nazionale il numero complessivo di arrivi negli esercizi ricettivi nei mesi di febbraio, marzo e aprile del 2019 è stimato rispettivamente in: 6,4, 8,0 e 10,7 milioni, per un totale rispettivamente di 18,2, 22,4 e 28,2 milioni di presenze.

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