Tasse sulle criptovalute, cosa cambia davvero con l’eventuale rialzo?

Migranti digitali, frontalieri delle cripto, startupper in fuga. La proposta del Governo di alzare la tassazione sui guadagni da criptovalute accende il dibattito e apre scenari che, per gli addetti ai lavori, oscillano tra il dubbioso e il negativo. Anzitutto, i fatti: nel testo della legge di bilancio per l’anno prossimo c’è l’aumento dal 26% al 42% dell’aliquota sul ‘capital gain’ da criptovalute: ossia, su 100 euro guadagnati comprando e vendendo Bitcoin e/o i suoi cugini, ne devo dare 42, quasi la metà, allo Stato. Una tassazione che ci porrebbe tra i Paesi con le imposte più alte verso questo tipo di investimenti. E dalla quale il Ministero dell’economia conta di ricavare quasi 17 milioni di euro, cifra non grandissima. Il gioco vale quindi la candela? O investitori e operatori guarderanno all’estero, attratti dalle migliori o assenti tasse degli altri Paesi? Prima di sentire gli esperti, i numeri del fenomeno cripto, e il confronto coi nostri vicini: le ‘valute digitali’, basate sulla tecnologia Blockchain, interessano una platea di oltre tre milioni e mezzo di italiani, secondo uno studio della School of management del Politecnico di Milano; la gran parte, va da sé, giovani . E sono circa 200 le start up che operano in questo ambito. Cosa succede all’estero? In molti casi l’aliquota è inferiore al 42% proposto in Italia. Nel dettaglio, ecco un sunto . L’ultima voce, che riguarda la Svizzera, ha aperto subito il dibattito dopo che il sindaco di Lugano, in un colloquio con il Sole 24 ore, ha rilanciato l’invito – chiamiamolo così – agli italiani a usufruire della totale mancanza di tassazione nel Canton Ticino. La cittadina sul lago, ex paradiso fiscale dei nostri concittadini fino a una decina di anni fa, vanta un rapporto privilegiato con le valute digitali: su 60mila abitanti, circa un terzo le usano correntemente nei 400 negozi ed esercizi commerciali che li accettano; tanto che si è diffuso molto il Lvga, la criptomoneta autoctona dal valore stabile, perché ancorato al Franco svizzero . Ferdinando Ametrano, amministratore delegato CheckSig, lancia l’allarme: “La proposta è iniqua perché discriminatoria rispetto agli altri investimenti tassati al 26%. Perfino incostituzionale, visto che l’articolo 47 tutela tutte le forme di risparmio: chiunque sia privo di pregiudizi se ne rende conto. Come chiarito dal commissario Consob Federico Cornelli su Avvenire, si ritiene che l’investimento in cripto non abbia utilità sociale . L’Ue invece nel regolamento Mica sostiene che questo tipo di investimento porti crescita economica e opportunità di lavoro. I grandi capitali cripto fuggiranno in Germania o Svizzera dove le plusvalenze non sono tassate; gli altri useranno gli Etf al 26% di aliquota proposti dai grandi gruppi esteri”. Gianluigi Guida, amministratore delegato del ramo italiano di Binance , condivide le preoccupazioni: “La divergenza con gli strumenti finanziari tassati al 26% non solo disincentiva gli investitori, ma allontana anche startup e player dell’innovazione che sono in prima linea nello sviluppo della tecnologia blockchain. Un rischio che potrebbe tradursi in una potenziale ‘fuga di cervelli’ e di capitali, con talenti ed aziende che cercherebbero contesti più favorevoli, compromettendo così la competitività dell'Italia nell’economia digitale globale. Per questo, siamo impegnati attivamente nel confronto con le autorità italiane per sviluppare un quadro normativo che favorisca la crescita, tutelando al contempo gli interessi dei cittadini”. Da qui, una ‘Lettera aperta’ al Governo firmata dai principali player del settore in Italia perché riveda la sua proposta. Dal punto di vista legale, Antonio Longo, avvocato fiscalista e Partner dello studio DLA Piper, spiega a SkyTg24 che “L’aumento potrebbe interessare più di 1,3 milioni di italiani, per la stragrande maggioranza under 40 e quindi investitori del futuro, che detengono cripto-attività presso intermediari autorizzati per un controvalore di oltre 2,2 miliardi di euro . Il fenomeno socioeconomico non è quindi circoscritto. Molti sono stati i passi avanti compiuti negli ultimi anni sia dall'Unione europea che dall'Italia per creare un ambiente normativo ispirato a esigenze di trasparenza e sicurezza per gli investitori: quindi un eccessivo inasprimento del prelievo sembra una scelta in controtendenza. Se l'aumento fosse confermato anche dal Parlamento, occorrerebbe almeno valutare l'inserimento di alcuni correttivi: ad esempio, far sì che le plusvalenze maturate ma non realizzate a fine 2024 continuino ad essere tassate con l’attuale aliquota del 26%”.