Stefano Pontecorvo, presidente Leonardo: “Debito comune europeo per finanziare la difesa”

Il gruppo Leonardo è la principale azienda italiana della difesa, l’ex Finmeccanica. Controllata dal Ministero dell’Economia e guidata dall’ex ministro Roberto Cingolani. Le sue azioni sono cresciute in borsa di oltre il 40 per cento dall’inizio dell’anno, grazie all’ondata di nuovi ordini arrivati dagli eserciti europei che corrono al riarmo. Leonardo punta a costruire il carro armato europeo di nuova generazione, in partnership con il gruppo tedesco Rheinmetall. “Un passo deciso per l’aggregazione europea”, ci ha detto in un’intervista Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo. L’Italia è rimasta tra i pochi Paesi Nato a non rispettare l’impegno, preso nel 2014, di spendere almeno il 2 per cento del Pil per la difesa. Quanto pesa sull’industria della difesa italiana questo mancato impegno? “Beh, certo pesa sull’industria italiana, ancorché non possiamo lamentarci affatto del sostegno che offre il Governo, che ci sostiene in tutto; e non abbiamo lamentele da questo punto di vista. Il Governo però solleva un punto vero: Nato e Unione Europea si sono date due set di criteri differenti. Uno – quello dell’Alleanza Atlantica – richiede di più del 2 per cento di spesa per la difesa, e magari anche di più in futuro. Mentre l’Unione Europea impone di mettere sotto controllo la spesa pubblica, per evitare la procedura di infrazione da parte della Commissione. Il vero problema è che questi due insiemi di regole non si parlano tra loro. Oltre al fatto che non appaiono più adeguati alla situazione corrente in cui, ricordo a tutti, abbiamo due conflitti a un paio di ore di volo da Fiumicino, con una situazione europea che è radicalmente cambiata rispetto a soli 3 o 4 anni fa”. Quindi cosa propone? Un debito comune europeo per finanziare la difesa del continente? “Sì, certamente sì. Anche perché, se viviamo un’emergenza comune - e lo è senz’altro visto come stanno andando le cose alle nostre frontiere - questa deve essere affrontata con mezzi di finanziamento comuni, come è stata fatta in altre emergenze: non sarebbe certo la prima volta”. I sistemi di difesa europea sono molto frammentati. Gli eserciti europei hanno a disposizione 17 modelli differenti di carro armato, 20 modelli di aerei caccia, 29 piattaforme diverse di cacciatorpediniere, 27 cannoni di artiglieria differenti. Con numeri così alti i costi di sviluppo e di produzione esplodono. È il problema prioritario per la difesa europea? “È senz’altro un problema. Nel senso che gli americani mediamente possono investire quattro volte quello che investe l’Europa sullo sviluppo delle varie piattaforme, dal momento che sono di meno, per non parlare del fatto che loro spendono il doppio per le proprie forze armate. Ecco perché sono molto più efficienti e molto più efficaci”. E come si trova soluzione a questa frammentazione? “Ci sono molti meccanismi mediante i quali mettervi fine: requisiti comuni e finanziamenti a progetti comuni, per esempio. Le soluzioni ci sono, non serve troppa fantasia”. La joint venture che avete firmato con il gruppo tedesco Rheinmetall per sviluppare un nuovo carro armato europeo che possa essere messo a disposizione anche dell’Esercito italiano va in questa direzione? “Certamente sì. Come ha dichiarato il nostro amministratore delegato, Roberto Cingolani siamo aperti ad avere anche altri partner dentro alla joint venture con i tedeschi. Senz’altro è un passo deciso nella giusta direzione, non un passo qualsiasi, un passo deciso molto coraggioso. Devo dire che abbiamo trovato una grande apertura da parte dell’amministratore delegato di Rheinmetall, Armin Papperger, e quindi le cose dovrebbero fiorire a breve”.