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Tutti i pro e i contro dello smart working che Brunetta vuole tagliare nella PA

Economia

Lorenzo Borga

L'anno scorso centinaia di migliaia di dipendenti pubblici hanno iniziato a lavorare da casa in condizioni di emergenza e senza un'organizzazione del lavoro efficiente. Non a caso le proteste e critiche non sono mancate. Ma limitare al 15 per cento lo smart working nella PA allontanerebbe i potenziali benefici del lavoro flessibile. Lo Skywall

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Con la proposta del Ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta di ridurre il lavoro da remoto negli uffici pubblici al massimo al 15 per cento dei dipendenti, si è tornati a discutere di smart working.

Smart working vs telelavoro

Partiamo dalle definizioni. Lo smart working (o lavoro agile) è infatti definito come un vero e proprio approccio manageriale a tutto tondo che permette a dipendenti e collaboratori di avere un certo grado di flessibilità e autonomia nella scelta dei tempi, dello spazio e degli strumenti di lavoro, condividendo perciò la responsabilità dei risultati ottenuti. Il telelavoro è invece ciò che la maggioranza degli italiani ha conosciuto durante i mesi di pandemia: vale a dire la traslazione del lavoro in ufficio nelle mura domestiche, senza cambiamenti organizzativi, con tutte le difficoltà tecnologiche e di processi lavorativi che abbiamo sperimentato.  

Da 600mila a 7 milioni di lavoratori

Con la pandemia ovviamente il numero di lavoratori remotati è esploso. Secondo le stime dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2019 erano solo 570mila i dipendenti italiani che avevano sperimentato lo smart working. Con il primo lockdown sono saliti a quasi 7 milioni in pochi mesi (quasi la metà di tutti i dipendenti, tra cui compaiono anche figure come i medici, gli operai e gli autisti che non possono materialmente lavorare da casa), per poi stabilizzarsi a circa 5 milioni. Secondo le previsioni del Politecnico di Milano questo sarà il livello della nuova normalità post-Covid, che potrebbe stabilizzarsi nei prossimi anni. Ovviamente in modo più bilanciato e sostenibile: non dunque al 100 per cento, cinque giorni su cinque, come in molti sono stati costretti durante la pandemia, ma 1-2-3 giorni alla settimana, in modo flessibile.

Retrofont nella PA?

Brunetta vuole ridurre al 15 per cento i dipendenti pubblici che potranno lavorare da casa. Si tratterebbe di circa la metà rispetto a quanto accade ora (37,5 per cento). Anche i dipendenti pubblici remotati sono infatti aumentati molto con la pandemia.

Tra gli esperti c'è chi mantiene dei dubbi sulla proposta del ministro, come Mariano Corso (responsabile dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano) che ospite a Sky TG24 Business (clicca qui per rivedere la puntata del 8 settembre 2021) ha affermato che non si può porre un unico limite generalizzato valido per l'intera pubblica amministrazione.

D'altronde è anche vero che il pessimismo di Brunetta sull'efficienza del lavoro da casa di molti dipendenti pubblici non è isolato. Durante la pandemia erano state frequenti le critiche di organizzazioni economiche sui ritardi delle procedure burocratiche gestite in remoto. Per esempio Confartigianato aveva stimato che il 69 per cento delle piccole e medie imprese faticava ad avere accesso agli sportelli degli uffici pubblici. Mentre Ance, l'associazione dei costruttori edili, lamentava ritardi sui permessi di costruzione e ristrutturazione.

Un'altra motivazione spesso riportata per ridurre al limite lo smart working è la difficoltà che ristoranti, mense e bar stanno riscotrando non potendo più contare sulla clientela alla ricerca di un pasto in pausa pranzo. In effetti secondo l'Istat il settore della ristorazione (linea rossa) è ancora lontano dai livelli pre-Covid, nonostante le recenti riaperture e la stagione calda che permette di mangiare all'aperto. Rispetto alla media di tutti i servizi (linea blu), il recupero del fatturato del settore è infatti molto indietro, anche probabilmente per via dell'assenza degli impiegati in presenza negli uffici.

Produttività, flessibilità e ambiente: i vantaggi

Ma lo smart working, se organizzato in modo efficiente e se non si tratta di telelavoro cammuffato, presenta anche molti elementi positivi. Prima di tutto è dimostrato da ricerche empiriche che, se distribuito in uno o due giorni alla settimana, aumenta la produttività dei collaboratori (Barrero et al. (2021), Profeta e Angelici (2020)). Inoltre è ben gradito dalla maggior parte dei lavoratori, che così possono godere di una maggiore flessibilità e mirare a un miglior equilibrio tra vita familiare e occupazione. Altri elementi da tenere in considerazione sono il minor rischio di contagio, e il ridotto impatto ambientale grazie alla riduzione dei trasporti.

Evidentemente dunque, più che la singola percentale di applicazione dello smart working, è fondamentale organizzare in modo efficace ed efficiente il lavoro da casa dei dipendenti e collaboratori. Un'opera che non è stata possibile portare a termine lo scorso anno, quando milioni di persone hanno iniziato a lavorare da casa in condizioni di emergenza. Per il futuro invece la sfida è tutta da vincere, anche nella pubblica amministrazione.