50 anni senza Pasolini

Cronaca
Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

Perché mezzo secolo dopo il suo omicidio continuiamo a tornare a Pasolini: gli interrogativi che ha lasciato aperti, l'eredità da dissidente trasversale e quel "chissà cosa avrebbe scritto oggi" che ci assale ciclicamente

50 anni senza Pier Paolo Pasolini, 50 anni in cui, di stagione in stagione, si rinnova la stessa impossibile domanda: cosa avrebbe direbbe, cosa penserebbe, cosa scriverebbe oggi. Perché il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia, in circostanze che forse non saranno mai del tutto chiarite, non fu ucciso solo un uomo, non fu ucciso solo il Poeta, come gridò l’amico Alberto Moravia, ma si spense la coscienza critica del Novecento italiano.



Comunista eretico, spina nel fianco per il PCI. Fustigatore della Democrazia Cristiana e della destra italiana che per rozzezza, diceva, aveva saputo esprimere solo il fascismo, è diventato da morto il modello anche di chi è ideologicamente agli antipodi, citato ciclicamente per le sue posizioni antiabortiste e per quella poesia del ‘68 in cui prese le parti dei poliziotti figli dei proletari e non degli studenti borghesi. Anticlericale, e al tempo stesso folgorato dal Vangelo, “la storia più straordinaria che sia mai stata scritta”, così la definiva. Libero nella sua omosessualità, e nonostante tutto travolto, a volte, dalla stanchezza di “essere eccezione”. Acceso, vitale e dentro il suo tempo, ma tormentato per tutta la sua esistenza dal lutto: la morte del fratello Guido, partigiano, ammazzato da una brigata partigiana comunista.



Nel 1950, per sfuggire a uno scandalo che gli valse l’espulsione per indegnità morale dal PCI friulano, approdò a Roma insieme all’amatissima madre con un impiego da insegnante. Scoprì così l’umanità e la disperazione delle periferie. Dopo i primi passi nella poesia dialettale - “Poesie a Casarsa”- e in quella civile - “Le ceneri di Gramsci - dà alle stampe nel ‘55 un romanzo, “Ragazzi di vita, trapiantando il gergo delle borgate sulla pagina scritta, la prima delle tante opere che lo faranno finire in tribunale per oscenità. Poi la rivelazione del cinema: Accattone, l’esordio sul grande schermo, diventa nel ‘61 il primo film in Italia ad essere vietato ai minori di 18 anni. 

La sua ossessione diventa verso la fine la mutazione antropologica dell’Italia del dopoguerra che si sta snaturando sullo sfondo di un consumismo dilagante. Così come il nuovo fascismo: l’omologazione.


Dietro gli ultimi lavori una scia di interrogativi ancora aperti, proprio quelli non del tutto conclusi al momento dell’omicidio: Salò o le 120 giornate di Sodoma, tra le pellicole più censurate di sempre, e il manoscritto incompiuto di Petrolio, il suo j’accuse contro i nuovi, multiformi e corrotti centri di potere dell’Italia repubblicana. 


Per la sua morte fu condannato Pino Pelosi, uno di quei ragazzi di vita di cui fu il cantore e l’amico famoso. Le indagini batterono una sola pista, l’incontro sessuale degenerato: sotto accusa, per un perverso paradosso, finì la vittima per le sue frequentazioni con minorenni. Restano tanti punti di domanda. “Io so, ma non ho le prove...”, la frase pronunciata poco prima di essere brutalmente assassinato continua a risuonare e a interrogare a distanza di mezzo secolo.  E se è vero che l’esercizio di immaginare i suoi pensieri sul nostro presente è velleitario, possiamo però almeno illuderci che avrebbe sorriso in questo 2025 in cui è stato scelto per la prima volta come traccia della maturità, proprio lui che la maturità l’avrebbe abolita.