Nel corso del panel dedicato a criminologia e nuove tecnologie, il giornalista ha sottolineato come, anche nelle testate più serie, si finisca spesso con l'essere alla rincorsa dei social. Ecco perché "certe volte converrebbe prendersi mezz'ora in più prima di divulgare certe notizie"
Oggi che i casi di cronaca con al centro episodi di criminalità sembrano destare sempre più attenzioni e dare luogo a nuove riflessioni, anche il sistema dell'informazione è chiamato a fare la sua parte. Ce lo insegna il caso di cui si è parlato maggiormente negli ultimi mesi, vale a dire la clamorosa riapertura delle indagini sul delitto di Garlasco, suo malgrado caratterizzata da una narrazione il più delle volte morbosa. A ricordarci quali sono i limiti da non oltrepassare nel diritto all'informazione è Stefano Nazzi, giornalista, scrittore e voce del 'true crime' più conosciuta in Italia. “In primo luogo bisogna tenere conto del rispetto”, dice Nazzi ospite del panel di Sky TG24 Live In dedicato a criminologia e nuove tecnologia (LA DIRETTA DI LIVE IN ROMA). “Il rispetto dei fatti va garantito non soltanto ai familiari delle vittime, ma anche ai sospettati. In che modo? Anche il giornalista a un certo punto deve sapersi fermare. “L'altro limite è la verifica”, prosegue Nazzi. “Nel caso di Garlasco, la procura è intervenuta per porre freno a decine di notizie non verificate, dettate dalla fretta dalla velocità. Per il giornalista “oggigiorno è difficilissimo non incorrere in questo rischio, col sistema dell'informazione che, anche nelle testate più serie, finisce spesso con l'essere alla rincorsa dei social. Ecco perché certe volte converrebbe prendersi mezz'ora in più prima di divulgare certe notizie”. Invece, come spesso accade, “il cortocircuito mediatico finisce col creare suggestioni nelle persone, quando invece i giudici vanno da un'altra parte perché seguono le indagini. Le notizie vere, invece, non creano suggestioni. Il richiamo, dunque, è al buon senso e a non inseguire tutto".
Schiavone: “Tecniche forensi hanno fatto passi da gigante”
Al dibatti hanno preso parte anche il colonnello del RIS di Roma Sergio Schiavone e Anna Maria Giannini, criminologa e docente di Psicologia forense all’università La Sapienza. Proprio Schiavone ha sottolineato i passi da gigante fatti dalle tecniche forensi, sottolineando il modo in cui hanno cambiato il corso delle indagini negli ultimi 20 anni, forti dell'impatto delle nuove tecnologie. “Abbiamo assistito a una grande evoluzione sia per quanto riguarda l'approccio che per quanto riguarda le tecniche. L'utilizzo di lampade forensi e laser scanner ha permesso di individuare tracce veramente minime da portare in dibattimento”, ha spiegato. Senza dimenticare la salvaguardia della scena del crimine attraverso aree cinturate e dispositivi di protezione individuale, “impensabile fino a 20 anni fa”. Ma è l'analisi genetica ad aver fatto i progressi maggiori, “rivoluzionando il nostro modo di fare indagini”.
Giannini: “Contro i femminicidi denunciate e rivolgetevi ai centri anti-violenza”
Anna Maria Giannini ha, infine, dedicato una riflessione ai femminicidi, anche alla luce dell'ultimo tragico caso di Pamela Genini. Spesso il racconto di queste tragedie non trova lo spazio che meriterebbe, ma “ciò che accomuna tutti i femminicidi” è il senso del potere dell'uomo sulla donna. Il messaggio è uno solo: denunciare e rivolgersi ai centri-antiviolenza, “e non parlo solo delle vittime, ma di chiunque abbia notizia di reato”. Come ricorda ancora una volta Nazzi, l'attenzione dell'informazione in questo senso è stata comunque provvidenziale. “È grazie a quella se oggi parliamo di un fenomeno e non di casi isolati. Anche se dal punto di vista linguaggio dobbiamo ancora fare molto, imparando a non utilizzare espressioni come raptus, amore finito male, o anche foto di coppia che ritraggono vittima e carnefice insieme”.
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