Dino Grandi, chi era il gerarca che fece cadere Benito Mussolini il 25 luglio 1943
Cronaca
fotogallery
10 foto
©Getty
Originario di Bologna, l'uomo che diede il proprio nome all’ordine del giorno che fece cadere il dittatore è ancora oggi considerato una delle figure più controverse del regime fascista. Dopo il 1943, a causa del veto degli Alleati, non ebbe più incarichi politici e si trasferì all’estero con la famiglia, prima di rientrare in Italia negli anni Sessanta
1/10
©Getty
- Politico, diplomatico ma anche collaboratore per le imprese italiane. Dino Grandi è stato uno dei personaggi più importanti ma anche più controversi del Ventennio fascista per i suoi alti incarichi di regime e la volontà di destituire Benito Mussolini, sfiduciato durante la riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 24-25 luglio 1943 per cercare un accordo con gli Alleati e porre fine alla guerra per l’Italia
2/10
©Getty
- Nato a Mordano nel 1895 da una benestante famiglia romagnola, Dino Grandi ha frequentato la facoltà di giurisprudenza all'Università di Bologna, ha partecipato alla Prima guerra mondiale nel corpo degli alpini e si appassionò sin da giovane alla politica nazionale, in particolare della linea interventista dell’allora socialista Benito Mussolini. Aprì uno studio a Imola, ma nel 1920 subì prima un attentato, quando due persone lo colpirono con 5 colpi di pistola, e poi vide il suo ufficio vandalizzato da alcuni militanti di sinistra
3/10
©Getty
- Si iscrisse al Fascio di combattimento di Bologna, dove assunse in breve tempo un ruolo di primo piano. Gli fu affidata la direzione del settimanale L'Assalto, l'organo del movimento, e fu eletto nel direttorio. Nel 1921 fu eletto segretario regionale. Ma il suo ingresso nella leadership fascista era ancora in fase embrionale: apprezzò poco la trasformazione del partito in esercito e si mantenne distante dagli eventi nazionali, compresa la Marcia su Roma dell’ottobre 1922
4/10
©Getty
- Rientrò però presto nella vita politica: Mussolini lo fece eleggere alla Camera nel 1924 perché aveva bisogno del voto di moderati e liberali e da lì assunse poi incarichi di governo. Grandi fu sottosegretario all'Interno tra 1924 e il 1925 e agli Esteri dal 1925 al 1929, con Mussolini ministro ad interim, e ministro degli Esteri dal 1929 al 1932, durante il quale riscosse ampio consenso (in foto con il Duce nel 1925 al Forte San Gallo di Nettuno dopo l'accordo tra Italia e Jugoslavia)
5/10
©Getty
- Nel 1932 Mussolini, timoroso che Grandi potesse oscurare la sua figura, lo spedì a Londra, dove rimase come ambasciatore d'Italia nel Regno Unito fino al 1939. Con la guerra in avvicinamento e preso atto che non poteva portare Roma vicina alle posizioni della Gran Bretagna, tornò in Italia dove divenne ministro di Grazia e Giustizia, carica che mantenne fino al 1943
6/10
©Getty
- Nella XXX legislatura la Camera dei deputati divenne la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Con la morte nel giugno 1939 del suo presidente Costanzo Ciano il successore scelto fu proprio Dino Grandi, tra i primi deputati fascisti eletti e particolarmente apprezzato per le sue doti diplomatiche, adatte a quell'incarico istituzionale. Nonostante il doppio incarico venne anche mandato a combattere sul fronte greco, nel 1941 (in foto Ciano con il Maresciallo polacco Pilsudsky)
7/10
©Getty
- L’estate del 1943, con l’invasione della Sicilia da parte degli Anglo-americani, fece precipitare gli eventi. Grandi era convinto che gli errori di Mussolini avevano posto in pregiudizio la sopravvivenza stessa del fascismo e per questo bisognava fare qualcosa. Incontrò re Vittorio Emanuele III (suo "cugino" grazie al Collare dell'Annunziata) che però promise di intervenire solo dopo un “voto di sfiducia” al Duce: per questo venne scelto il Gran Consiglio, non più convocato dal 1939 la cui funzione era puramente consultiva
8/10
©Getty
- La preparazione del voto è alla luce del sole: Mussolini e la polizia segreta fascista sapevano perfettamente cosa stava preparando Grandi. Addirittura, fu lo stesso gerarca a dirlo al Duce. “Dissi a Mussolini tutto, gli anticipai quello che avrei detto e fatto in G.C., lo scongiurai di deporre spontaneamente nelle mani del Re tutti i poteri civili e militari. Mi attendevo una reazione violenta da parte di Mussolini. Questa non venne”, scrisse Grandi nel suo diario
9/10
©Getty
- Si arrivò così al voto decisivo: nonostante non fosse riuscito a contattare tutti i gerarchi, l’ordine di Grandi, appoggiato anche da Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano, genero del Duce, ottenne 19 voti a favore, contro gli 8 contrari e l’astenuto. Il giorno dopo Mussolini, recatosi in udienza dal re, viene fatto arrestare e portare via. In seguito, per quell’ordine, Grandi venne condannato a morte in contumacia durante il processo di Verona della Repubblica di Salò
10/10
©Getty
- Una volta finito il Fascismo, cercò di ritagliarsi un ruolo di mediatore con gli Alleati offrendosi di andare a Madrid, ma la Corona e il veto di Roosevelt bloccarono ogni possibile incarico politico. Così si ritirò a vita privata: soggiornò con la famiglia in Spagna, Portogallo e Brasile; ebbe alcuni incarichi di rappresentanza e tornò in Italia soltanto negli anni Sessanta. Così, Grandi aprì una fattoria modello nella campagna di Modena, ad Albareto. Infine, prese casa a Bologna nel centro storico, ove morì nel 1988