Come le scuole italiane si stanno preparando al bando dello smartphone

“È del tutto evidente che il divieto di utilizzo del cellulare durante le ore di lezione risponda a una generale norma di correttezza”. E ancora: “L’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente”. A sostenere queste posizioni era, nel 2007, Giuseppe Fioroni, ministro dell’Istruzione del secondo governo Prodi. Lo faceva in una circolare che, di fatto, già vietava l’uso del cellulare nelle classi italiane. Nei 18 anni successivi il suo bando è rimasto nella sostanza inapplicato, nonostante i frequenti richiami da parte di Governi di vario colore: l’ultimo, in ordine di tempo, è arrivato nel 2022 dall’attuale ministro Giuseppe Valditara, che ha ribadito il divieto di cellulare facendo riferimento proprio alla circolare del 2007. Eppure, nei primi giorni di quest’anno scolastico tutte le scuole italiane – superiori incluse – si stanno davvero preparando a vietare lo smartphone in aula. A vincolarle, è una nuova circolare di Valditara che questa estate ha disposto il “divieto di utilizzo del telefono cellulare durante lo svolgimento dell’attività didattica e più in generale in orario scolastico”. Non ci sono eccezioni. O quasi: a poter usare gli smartphone saranno solo alcuni alunni con disabilità o dsa e qualche classe di Informatica e Telecomunicazioni. C’è un vincolo, però, che genera scompiglio nelle sale docenti: alle scuole è “rimessa l’individuazione delle misure organizzative atte ad assicurare il rispetto del divieto”. In altre parole, il bando vale per tutti ma saranno i presidi a decidere come farlo rispettare. E le domande, tra i dirigenti scolastici, sono molte: Si può concedere durante l’intervallo? Di chi è la responsabilità in caso di furto? Quali sanzioni applicare per chi non rispetta il divieto? È tollerabile che gli studenti lo tengano semplicemente nello zaino? Abbiamo contattato alcune scuole d’Italia per capire come hanno risposto a queste domande. Le strategie: tasche o armadietti chiusi a chiave? La prima strategia è il ritiro continuato dalla prima all’ultima ora: nelle scuole che adottano questo sistema gli studenti saranno obbligati a lasciare il cellulare in scatole o armadietti e a non rivederli prima dell’uscita. Intervalli compresi. Sarà così all’Educandato agli Angeli di Verona, dove sono stati già installati in ogni classe box blindati con prese di ricarica usb. Il liceo Buonarroti di Monfalcone, invece, ha adottato misure ancora più stringenti: il bando – si legge nella circolare della scuola – sarà assoluto anche durante i progetti pomeridiani e le gite scolastiche. C’è, poi, chi ha deciso di lasciare agli studenti un sottile margine di scelta: l’istituto tecnico Ferraris-Pancaldo di Savona ha installato due armadietti con chiave, al costo di 15 euro annui per alunno. Gli studenti potranno evitare la spesa, ma solo a patto di lasciare il cellulare a casa. Moltissime scuole hanno optato per le tasche: il liceo classico Parini di Milano ha già predisposto 30 postazioni numerate in ogni aula, una per studente, senza chiave. “Il docente – spiega il dirigente scolastico Massimo Nunzio Barrella – dovrà solo invitare gli studenti a riporre i cellulari nelle tasche. Ma non è un poliziotto: chi non depositerà lo smartphone potrà tenerlo nello zaino, a patto di non usarlo”. Questo non significa, però, che la sorveglianza dei dispositivi ritirati non sia una preoccupazione per tutti gli istituti. La chiave, che in molte scuole scelgono di non adottare per “evitare regimi da campo di concentramento”, assicura una sicurezza che le tasche non garantiscono. Anche per questo, molti istituti ancora non hanno trovato una quadra: “Il dirigente scolastico e i vicepresidi ne stanno ancora discutendo – ci spiegavano dall’istituto Vincenzo Cuoco di Napoli lo scorso 5 settembre – ma ancora non hanno stabilito niente”. I dubbi dei presidi: sanzioni e opportunità sprecate È lecito aspettarsi che molti studenti non rispetteranno il divieto. Ma cosa accadrà a chi lo infrange? “Abbiamo modificato il nostro regolamento – continua il preside del Parini di Milano – in modo tale da punire i comportamenti che non rispetteranno i nostri propositi educativi, perché l’obiettivo è sempre quello di insegnare un uso più consapevole del cellulare”. Nello specifico, l’istituto applicherà all’uso dello smartphone le stesse sanzioni previste per gli altri comportamenti scorretti. Nell’ordine: annotazione sul registro di classe, colloquio con i genitori e ripercussioni sul voto di condotta. Tra i corridoi del liceo milanese, però, mettono già in dubbio il bando ministeriale quando si tratta di usare lo smartphone a lezione: “Educare a un uso più consapevole del cellulare – ribadisce il preside – non significa che il telefono non verrà mai adoperato. Significa che verrà impiegato quando i docenti lo riterranno utile per le attività didattiche”. Cosa succede dove il bando è già attivo Molte scuole non sono dovute correre ai ripari in questo settembre. All’istituto Rosa Luxemburg di Bologna, per esempio, già da quattro anni si ritirano i cellulari. “Li facciamo riporre nelle tasche – spiega la dirigente scolastica Alessandra Canepa – e a ciascuno studente è assegnato un numero. Non sono chiuse a chiave e tutti possono ritirarlo durante l’intervallo”. La preoccupazione che ha spinto la scuola ad anticipare il divieto è simile a quella del Ministero: “Sono dispositivi che distraggono dalle attività in aula – continua la preside – Fin dai primi anni di scuola gli studenti sono portati a un abuso del cellulare e molti corrono anche il rischio di scattare fotografie in luoghi non appropriati e di inviarle online”. Ma i risultati del bando al Rosa Luxemburg, dopo anni di sperimentazioni, sono soddisfacenti solo in parte: “Gli studenti al quarto o al quinto anno sono più resistenti al cambiamento ma, per chi è stato abituato fin dal primo anno, il divieto è più accettabile. Per contrastare il fenomeno, però, non basta: serve educare all’uso consapevole dei dispositivi e non possiamo farlo senza impiegarli nella didattica. Lo stop del Ministero è solo parzialmente efficace”.

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Andrea Ceredani