Cyberbullismo, il padre di Carolina Picchio: "Tutti possiamo essere vittime"

È la notte tra il 4 e il 5 gennaio 2013. Una ragazza di 14 anni saluta il padre prima di andare a dormire nella loro casa di Novara. Poche ore dopo il signor Paolo viene svegliato dai carabinieri. Gli comunicano che sua figlia si era appena tolta la vita, lanciandosi nel vuoto dalla finestra di camera sua. È il tremendo epilogo di una storia di cyberbullismo – quella che ha portato alla morte di Carolina Picchio - iniziata una sera durante quella che sembrava una qualsiasi festa tra adolescenti. Ma dopo qualche settimana alcuni ragazzi diffondono sui social e fanno circolare in decine di gruppi WhatsApp un video in cui si vede la ragazza stesa a terra sul pavimento di una casa incosciente per l’abuso di alcol. I coetanei che sono nella stessa stanza non la assistono, ma ‘giocano’ con il suo corpo mimando atti sessuali su di lei. Un’umiliazione insopportabile per Carolina rivedersi e sapersi sugli schermi di migliaia di cellulari. Soprattutto è insostenibile leggere gli insulti che le rivolgono online: “Fai schifo”, “Vergognati”. Il testamento di Carolina e la Fondazione Prima di togliersi la vita, Carolina lascia un biglietto che diventerà un testamento. “Le parole fanno più male delle botte. Ciò che è accaduto a me non deve più succedere a nessuno”. Il padre Paolo, anche se spezzato da dolore, sente il dovere di dare un senso al messaggio disperato di sua figlia: vuole impegnarsi affinché tutte le altre Carolina restino vive e avvia “Fondazione Carolina” che ancora oggi, a 12 anni dal suicidio di sua figlia, si occupa quotidianamente di educazione, sensibilizzazione e formazione – sia per la comunità educante che per studenti e studentesse - contro il bullismo e il cyberbullismo. I numeri in crescita Le statistiche della Fondazione attestano che tre ragazzi su quattro sono coinvolti , in episodi legati all’utilizzo scorretto o inconsapevole del Web. Un dato superiore al trend fotografato dal CENSIS prima della pandemia. È infatti dal 2020 che le segnalazioni di abusi o disagi in Rete hanno registrato un aumento sensibile, con il passaggio attestato dal centro studi di Fondazione Carolina da una media di 50 richieste al mese ad un picco di 300 , per poi stabilizzarsi sopra i 150 contatti mensili, principalmente da parte del mondo della scuola e delle famiglie. "La formazione contro bullismo e cyberbullismo deve essere fatta coinvolgendo tutta la comunità educante a partire dalla scuola dell’infanzia. Non tanto parlando di tecnologia, ma occupandoci di alfabetizzazione emotiva", spiega Ivano Zoppi, segretario della Fondazione. "Se un ragazzo è pieno di rabbia verso se stesso e non si accetta non può avere una relazione con gli altri, né nella vita reale né in quella online, che sono una lo specchio dell'altra. Per questo motivo "abbiamo costituito un team di pronto intervento formato da pedagogisti, psicologi, neuropsichiatri, esperti di cyber security e avvocati. Dobbiamo lavorare sia con le potenziali vittime che con i bulli". Un centro contro il disagio giovanile E a febbraio 2025 Fondazione Carolina inaugurerà a MIlano il primo centro per la cura della dipendenza da internet, dell’ansia e del ritiro sociale e della psicopatologia dell’adolescente e del giovane adulto. Un sostegno psicologico ed educativo, attraverso un approccio multidisciplinare, completamente gratuito. Questo centro, spiega a Sky TG24 Insider Paolo Picchio, padre di Carolina, "vuole lavorare sul disagio giovanile: è uno spazio che accoglierà le famiglia che hanno bisogno di aiuto". La legge in nome di Carolina La storia di Carolina Picchio non ha dato vita solo alla Fondazione. A lei è dedicata la prima legge in Europa sul cyberbullismo, approvata all’unanimità il 17 maggio 2017. E dopo il suo caso si è dibattuto il primo processo in Europa in materia di cyberbullismo, capace di stabilire inequivocabilmente una correlazione tra determinate condotte, alcune delle quali criminali, e il fenomeno. In occasione della Giornata contro il bullismo e il cyberbullismo abbiamo incontrato il padre di Carolina, che continua a incontrare i ragazzi e le ragazze nelle scuole di tutta Italia. Signor Picchio, chi era Carolina? Che sogni aveva? Da grande avrebbe voluto fare la psicologa. Quando mi diceva che doveva uscire e le chiedevo dove andasse, spesso mi diceva: “Devo raggiungere un’amica che ha un problema di cuore”. Carolina aveva una forte sensibilità. Ma era anche una ragazza piena di vita, e una grande sportiva: praticava salto in alto, sci, tennis, e pattinava. So che il suo essere bella, capace nello sport e amica di tutti la rendeva invisa a tanti. Carolina non rispondeva all’identikit di una vittima. Eppure portava dentro un dolore che non riusciva a sopportare. Esatto. I ragazzi e le ragazze a scuola restano sempre molto sorpresi nello scoprire che una ragazza come lei, dinamica e vincente, sia stata massacrata dagli insulti pesantissimi che la Rete gli ha vomitato addosso. E ne sia rimasta schiacciata. Dico sempre nelle classi: prima di un clic, di premere il pollice per fare un commento online, pensate. Questo ci insegna che tutti e tutte possiamo essere vittime? Io penso di sì, siamo tutti vulnerabili. Quello che è successo a Carolina può succedere anche a persone che riteniamo forti e di successo. I giovani hanno la percezione che le azioni sbagliate che si fanno online possono avere conseguenze gravi, anche fatali, nella vita reale? Non del tutto, purtroppo. Ma devono capire che il dolore che provocano virtualmente viene provato nella realtà dal destinatario di quell’insulto. Lo sente nel corpo e con la mente, è reale. Carolina ha lasciato un testamento, con delle parole precise. Nel biglietto che ha lasciato ha ironicamente scritto: “Grazie del vostro bullismo, avete fatto un ottimo lavoro”. E ha lasciato nero su bianco che le parole fanno più male delle botte. Poi alla fine del messaggio diceva: “Spero che adesso sarete un po’ più sensibili sulle parole”. Un messaggio potentissimo, per fare capire agli altri quanto male si può fare con degli insulti online. Il fatto che lei per prima lo abbia spiegato l’ha resa la prima vittima acclarata di cyberbullismo. Altri ragazzi e ragazze si erano purtroppo tolti la vita per via dello stesso dolore, ma non lo avevano esplicitato in modo così chiaro. Lei da padre è riuscito a trasformare il suo dolore in una missione. Prima con una legge, poi con la Fondazione. Non avrei mai voluto che mia figlia morisse per lasciare quel messaggio. Ero devastato – vivevo per Carolina – ma continuavo a pensare: se è successo a Carolina, una ragazza così forte e solare, quanti altri ragazzi e ragazze sono a rischio? Tutti, mi rispondevo. E questa paura mi ha portato a dare vita alla Fondazione. A Carolina è dedicata la prima legge in Europa sul cyberbullismo, approvata all’unanimità il 17 maggio 2017 ed entrata in vigore nel giugno 2018. Una legge simbolo. Questa legge spiega per la prima volta che cos’è il bullismo in Rete. Prima dell’approvazione scrissi una lettera all’allora presidente della Camera Boldrini, affermando che se non fosse passata avremmo avuto sulla coscienza tanti altri suicidi. Per fortuna è stata approvata all’unanimità da tutte le forze politiche. Ci fu un applauso in Aula molto emozionante. Sua figlia non aveva mai condiviso con lei il dolore che stava attraversando dopo la diffusione di quel video. No, non ne sapevo nulla. Aveva passato le vacanze di Natale in Slovenia con una delle sue sorelle. Penso che una volta tornata, il 3 gennaio, le abbiano fatto vedere quel filmato. La sera tra il 4 e il 5 mi disse “papà sono stanca, vado a dormire”. Invece deve aver deciso di andare a leggere online tutti i commenti che aveva ricevuto. Credo sia andata così perché l’amica che l’aveva vista nel pomeriggio disse che era spensierata, mentre quella che aveva incontrato la sera la trovò molto turbata. Quanti ragazzi e ragazze ha incontrato in questi anni? Un numero enorme. Con Fondazione Carolina ne incontriamo tra i 40 e i 50 mila l’anno, quindi intorno ai 250 mila. Va ancora in prima persona nelle scuole? Sì, anche perché la mia presenza è molto richiesta . Devo dire che in questi anni ho vissuto anche esperienze scioccanti. Molti ragazzi mi scrivono, vengono da me a raccontarsi, esprimono delle emozioni. Perché le sentono nelle mie parole, e me le restituiscono. Capita che qualcuno di loro si riveda nel bullo, e riesca ad ammetterlo? Sì, qualcuno ogni tanto si avvicina e mi dice: “Mi sono accorto che ho fatto una stupidata, come posso rimediare?”. Mi raccontano quello che è successo e chiedono come se possono uscire. Su tutti, ho in mente un aneddoto in particolare. Mi dica. Un ragazzo di terza media dopo un incontro venne da me dicendo: “Ero un bullo. Prendevo in giro gli altri e li insultavo. Ma oggi ho capito e la ringrazio. Voglio chiedere scusa a chi ho ferito”. Ma mi disse anche un’altra cosa: “Lei fa un lavoro bellissimo, ma vuole fermare tutto il male con una mano”. La mia risposta fu: averti convinto raccontandoti la storia di Carolina per è già una soddisfazione enorme. Come reagiscono al racconto della storia di sua figlia? Quando parlo delle motivazioni che hanno portato una ragazza a fare un gesto così tragico si sentono colpiti in prima persona. C’è molta partecipazione in loro, e vedo che restano sorpresi. In classe cala un silenzio assoluto. Poi mostro un filmato che racconta la vicenda di mia figlia e vengo tempestato dalle domande. Cosa le chiedono? Vogliono sapere cosa ho provato nei confronti dei ragazzi che hanno diffuso il video che ha portato alla sua morte. E poi mi chiedono: “Se avesse potuto avrebbe fermato Carolina?”. Ovviamente sì, rispondo. Ma io non sapevo cosa stesse passando mia figlia. Lei non me ne aveva mai parlato. Per la sua esperienza, quanto dialogo c’è tra ragazzi i genitori? No. Il 99 per cento dei ragazzi che vive un disagio non comunica con i genitori. Oggi tra loro c’è un muro. E questo fa male, anche per i ragazzi, glielo ripeto sempre, sono i genitori di domani. Mi raccontano spesso che quando provano a parlare del loro disagio con i padri o le madri si sentono sminuiti, poco ascoltati: dicono loro che non è niente, di lasciar perdere. Ma per loro quello che stanno comunicando è un dolore. E va visto. So che lei suggerisce ai ragazzi di abbracciare i genitori. La ascoltano? Sì, alla fine degli incontri dico loro: adesso andate a casa e abbracciate i genitori! Perché oggi la fisicità manca completamente. L’abbraccio invece è un gesto importante perché oltre a essere manifestazione di affettività è anche un trasferimento di emozioni. Un giorno la madre di un ragazzino che frequentava la seconda liceo mi ha detto: “Mio figlio oggi mi ha abbracciato così forte, mi sono sentita bene. Non succedeva da otto anni. Mi sono accorta che avevo perso per troppo tempo la fisicità con mio figlio”. A settembre 2024 una scuola di Torino è stata intitolata a sua figlia. Sì, è stata un'emozione unica. Soprattutto perché sono stati gli studenti a deciderlo, a scegliere con un sondaggio il nome di Carolina tra tante personalità del mondo della storia e della cultura, da Einstein a Piero Angela. Hanno voluto che portasse il suo nome. Io ho perso una figlia meravigliosa, ma mi rincuora sapere che la tragedia di Carolina ha scritto una storia incredibile. Non lo avrei mai immaginato.

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