Docenti precari in protesta: perché l’Italia sarebbe obbligata ad assumerli

Non è stato uno sciopero come altri. Assieme ai docenti, sono scesi in piazza gli studenti. Numerosi e in protesta con le politiche dei ministeri dell’Università e dell’Istruzione. A Torino, le tensioni sono sfociate in scontri tra i ragazzi e il cordone di sicurezza delle forze dell’ordine. In pieno centro, hanno bruciato un fantoccio raffigurante il ministro Valditara. Ma al loro fianco, pur in piazze diverse, si sono mobilitati anche i professori. Sono mossi da motivazioni diverse ma, forse, sono facce diverse della stessa medaglia: i docenti chiedono lo stop al ricorso sistematico alle supplenze, l’immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e l’assunzione in ruolo degli idonei dei concorsi. In altre parole: la riduzione del precariato e la riforma del modello di assunzione, togliendo agli aspiranti professori il peso economico dei corsi di abilitazione che, al momento, costano migliaia di euro – pagati da docenti ritenuti idonei nei concorsi – senza garantire l’immissione in ruolo. A proclamare lo sciopero è stato il sindacato Anief, che denuncia un paradosso: in Italia sono troppi i contratti a termine e la progressione di carriera è quasi azzerata ma, ormai da 25 anni, il precariato dopo 36 mesi di servizio è illegale. A stabilirlo è la direttiva 70/1999 dell’Ue, poi recepita dall’Italia, che prevede la stabilizzazione del lavoratore dopo 3 anni di servizio. Terminati i quali, restano due opzioni: entrare in ruolo tramite graduatorie permanenti o via concorso. Così almeno ha stabilito la Cassazione, ma i dati parlano di circa “mezzo milione di precari in queste condizioni”, come spiega il professor Guerino Massimo Oscar Fares, ordinario di Diritto scolastico all’Università di Roma Tre. A ottobre, la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia europea per la questione. A novembre, invece, il Senato ha dato l’assenso all’indennizzo raddoppiato per i lavoratori della Pa – quindi anche ai docenti – che abbiano subito l’abuso dei contratti a termine. Qualcosa si muove, professore, ma la direttiva è lontana dall’essere applicata. Esatto, si stimano mezzo milione di supplenti con più di 36 mesi di servizio. Va detto che il sistema è complesso e richiederebbe interventi che puntino, ad esempio, al riconoscimento delle indennità, alla ricostituzione delle carriere, alla gestione stessa del rapporto di lavoro: pensiamo alle ferie o all’assunzione degli idonei o all’adeguamento dei salari. La prima procedura di infrazione, per la direttiva 70/1999, è stata avviata nel 2010 e archiviata nel 2014. Rischiamo un nuovo giro di vite dall’Ue se non cambia qualcosa? Questo è uno degli aspetti cruciali del problema. Non è solo una materia complessa in riferimento alle leggi, ma pesa gravemente sugli equilibri di bilancio e sulla spesa sociale. Naturalmente richiede investimenti e scelte di non poco conto. Anche per questo, al momento, verso tutti i Paesi membri l’Ue è stata più disponibile. E poi, ricordiamolo, a decidere sulle modalità del recepimento della direttiva è lo Stato italiano e non l’Europa. Quando mancano i soldi, però, come può la legge tutelare il “diritto all’assunzione”? Lo fa perché è un diritto incomprimibile al pari, per fare un esempio, dei Livelli essenziali di assistenza sanitari. In questo perimetro non può entrare nessuno, non esistono pretesti finanziari che tengano quando parliamo di dignità. Non possono essere una giustificazione. Quindi, in pratica, un docente precario oltre i 36 mesi di servizio può rivolgersi a un giudice per chiedere giustizia? Sì. Dovrebbe verificare se rientra nei presupposti giuridici della giurisprudenza europea, se esiste un nesso causa-effetto tra lo Stato che non ha adempiuto alla direttiva e il danno ricevuto. Se può dimostrare, ad esempio, di essere discriminato rispetto ai colleghi indeterminati. Con tutto quello che ne consegue: poter prendere un mutuo, poter progettare una vita familiare, etc. Con queste premesse, avrebbe diritto di rivolgersi a un giudice. Eppure, i supplenti sono ancora moltissimi e oggi sono scesi in piazza. Verrebbe da chiedersi: una legge può abolire il precariato? Il precariato è già stato abolito dalla direttiva europea. Ma i diritti costano. Al di là delle valutazioni politiche e degli equilibri di bilancio, ci sono dei diritti che non si possono toccare. Rimane, d’altro canto, il fatto che è lo Stato a stabilire in concreto come tutelarli e, spesso, lo Stato non vuole o non può dare attuazione integrale alla direttiva. Sono vincoli di civiltà questi ma – va detto – dietro si nascondono vincoli economici e finanziari.