Dichiarazione congiunta di 62 ong: Tunisia non è un luogo sicuro

Cronaca
Raffaella Daino

Raffaella Daino

 In vista delle elezioni presidenziali in Tunisia, 62 organizzazioni per i diritti umani esortano l'Unione europea e i suoi Stati membri ad agire subito per interrompere la cooperazione sul controllo della migrazione con le autorità tunisine, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. "La Tunisia" ribadisce Giorgia Linardi, portavoce di Seawatch "non è un paese sicuro". E sul decreto flussi dice: "intende fermare chi testimonia cosa accade nel Mediterraneo". 

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E' una denuncia ed è anche un appello. Fermare la cooperazione con la Tunisia. Lo chiedono sessantadue organizzazioni non governative di Europa ed Africa, che scrivono: "Alla luce delle dilaganti violazioni dei diritti umani contro le persone migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati in Tunisia, della mancanza di un sistema di asilo, della repressione della società civile, dell’indipendenza della magistratura e dei media da parte del governo tunisino e dell’impossibilità di determinare in modo corretto e individualmente la nazionalità o di valutare le esigenze di protezione dei migranti e dei richiedenti asilo in mare, è chiaro che la Tunisia non è un luogo sicuro per lo sbarco delle persone intercettate o soccorse in mare. La cooperazione in corso tra l’Unione Europea (UE), gli Stati membri dell’UE e la Tunisia sul controllo della migrazione, che si basa sullo sbarco in Tunisia delle persone soccorse o intercettate in mare – come la precedente cooperazione con la Libia – contribuisce alle violazioni dei diritti umani.

 

Le politiche europee di esternalizzazione nella gestione delle frontiere verso la Tunisia sostengono le autorità di sicurezza che stanno commettendo gravi violazioni e ostacolando il diritto delle persone a lasciare qualsiasi Paese e a chiedere asilo, contenendo i rifugiati e i migranti in Paesi in cui i loro diritti umani sono a rischio. Inoltre, lo sbarco in Tunisia può mettere in pericolo le persone ed esporle a gravi danni, oltre a esporre i rifugiati e i migranti a un rischio elevato di espulsione collettiva verso la Libia e l’Algeria, una possibile violazione del principio di non-refoulement. L’istituzione, il 19 giugno 2024, della Regione tunisina di ricerca e soccorso (SRR), sostenuta dalla Commissione europea, rischia di diventare un altro strumento di violazione dei diritti delle persone piuttosto che un legittimo adempimento della responsabilità di garantire la sicurezza in mare. Analogamente alla cooperazione con la Libia, l’impegno dell’UE e dei suoi Stati membri con la Tunisia può avere l’effetto di normalizzare le gravi violazioni contro le persone in cerca di protezione e di minare l’integrità del sistema internazionale di ricerca e soccorso, trasformandolo in uno strumento di controllo della migrazione".

"Come organizzazioni umanitarie e per i diritti umani, chiediamo all’UE e ai suoi Stati membri di interrompere la cooperazione sul controllo della migrazione con le autorità tunisine, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in mare e in Tunisia. Le ONG di ricerca e soccorso e le navi commerciali non dovrebbero ricevere istruzioni per sbarcare nessuno in Tunisia".

 

Violazioni diffuse e ripetute dei diritti umani

"Negli ultimi due anni, dati osservati da organizzazioni tunisine e internazionali, nonché da organismi delle Nazioni Unite, indicano che la Tunisia non può essere considerata un “luogo sicuro”, come definito dalla Convenzione SAR del 1979, dal Comitato per la sicurezza marittima (MSC) e dagli organismi delle Nazioni Unite, per le persone intercettate o soccorse in mare, in particolare nere. Nonostante abbia aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1951, la Tunisia non ha una legge o un sistema di asilo nazionale. Le persone che entrano, soggiornano o escono dal Paese in modo irregolare sono criminalizzate dalla legge. In seguito ad intercettazioni in mare e arresti arbitrari  in territorio tunisino, le autorità tunisine hanno ripetutamente abbandonato rifugiati, richiedenti asilo e migranti nel deserto tunisino o nelle remote regioni al confine con la Libia e l’Algeria. Queste pratiche possono equivalere a espulsioni collettive illegali, dimostrando un totale disprezzo per il diritto alla vita di rifugiati e migranti e possono violare il principio di non-refoulement.  Secondo alcuni rapporti che citano informazioni della nazioni Unite, le forze di sicurezza tunisine hanno in particolare radunato presunte persone migranti irregolari sulla terraferma e le hanno trasferite direttamente alle autorità libiche, che le hanno poi sottoposte a detenzioni arbitrarie, lavori forzati, estorsioni, torture e altri maltrattamenti e uccisioni illegali.

Secondo le testimonianze di rifugiati, migranti e richiedenti asilo documentate da Amnesty International, Human Rights Watch e Alarm Phone le autorità tunisine in mare hanno commesso abusi e messo a rischio vite umane durante le intercettazioni delle imbarcazioni – tra cui manovre ad alta velocità che minacciavano di farle capovolgere, violenze fisiche, lancio di gas lacrimogeni a distanza ravvicinata e collisioni con le imbarcazioni – oltre all’incapacità di garantire sistematicamente valutazioni personalizzate dei bisogni di protezione al momento dello sbarco. Le autorità tunisine hanno anche sottoposto rifugiati, richiedenti asilo e migranti a torture e altri maltrattamenti nel contesto di sbarchi, detenzioni o espulsioni collettive.

 

"Allo stesso tempo, diverse organizzazioni internazionali e locali, difensori dei diritti umani e avvocati hanno denunciato un allarmante deterioramento delle libertà civili e dei diritti fondamentali in Tunisia, con ripercussioni sia sulla popolazione migrante che sui cittadini tunisini. Dal 2021, il Paese ha assistito a un significativo arretramento dei diritti umani, caratterizzato dallo smantellamento delle garanzie istituzionali per la loro protezione, dalla erosione dell’indipendenza giudiziaria e da un giro di vite sulla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica. Lo sbarco in Tunisia di cittadini tunisini intercettati o soccorsi in mare, che potrebbero includere persone in fuga da persecuzioni, torture o altri danni gravi e intenzionate a chiedere asilo all’estero, potrebbe di fatto negare il diritto di chiedere asilo a chi ha bisogno di protezione internazionale".

 

"Sostenendo un rafforzamento del ruolo della Guardia costiera tunisina (Guardia nazionale) – senza che siano stati adottati parametri di riferimento per i diritti umani o sistemi di monitoraggio, né disposizioni per garantire che le persone soccorse siano sbarcate in un luogo sicuro, che non può essere la Tunisia – l’UE sta contribuendo al rischio di ulteriori gravi violazioni dei diritti umani in mare e in Tunisia contro i rifugiati e i migranti e le persone a rischio di persecuzione nel Paese.

Lo spazio umanitario per le ONG che si occupano di ricerca e soccorso (SAR) sarà ulteriormente ridotto se i Centri di coordinamento del soccorso europei daranno istruzioni alle ONG SAR di mettersi in contatto con il nuovo MRCC tunisino per lo sbarco, che potrebbe rifiutarsi di rispettare il principio di non-refoulement. L’agenzia ONU per i rifugiati, l’UNHCR, ha osservato che le navi in mare non sono il luogo appropriato per determinare le esigenze di protezione. Secondo il diritto marittimo internazionale, gli Stati hanno la responsabilità primaria di coordinare i soccorsi all’interno delle loro SRR e di organizzare lo sbarco in un luogo sicuro, che può essere un altro Stato".

 

Le organizzazioni umanitarie chiedono dunque: 

·      alle autorità tunisine di porre fine alle violazioni dei diritti umani contro i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti, anche per quanto riguarda le espulsioni collettive illegali che mettono a repentaglio la vita delle persone e di porre fine alla repressione della società civile.

·       che le ONG SAR e le navi commerciali non ricevano istruzioni di sbarcare le persone soccorse in mare in Tunisia, dato il rischio di violazioni dei diritti umani in quel Paese e dato che non è possibile effettuare valutazioni individuali corrette su tali rischi in mare. La Tunisia non può essere considerata un luogo sicuro per le persone soccorse in mare secondo il diritto internazionale applicabile.

·      di porre fine al sostegno finanziario e tecnico alle autorità tunisine responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in relazione al controllo delle frontiere e della migrazione.

 

Nuove restrizioni per la flotta civile che pattuglia il Mediterraneo

Pee Sea-Watch l’ultimo decreto italiano sulla migrazione è un attacco diretto agli sforzi civili per monitorare e documentare le violazioni dei diritti umani commesse dall’UE e dall’Italia. Questo decreto, che consente il fermo e la confisca degli aerei delle ONG, è un evidente tentativo di chiudere l’occhio della società civile sul Mediterraneo centrale e di censurare il racconto delle politiche europee sulla migrazione. L’emendamento alla legge prevede il fermo di un aereo da 20 giorni a 2 mesi, multe fino a 10.000 euro e, in ultima istanza, la confisca. Il decreto obbliga i velivoli operati dalle ONG a segnalare ogni emergenza in mare non solo ai centri nazionali di coordinamento dei soccorsi, già una procedura standard, ma anche all’Ente dei servizi del traffico aereo, che non ha alcun ruolo nelle operazioni di ricerca e salvataggio (SAR). La misura ha un sottinteso falso, cioè che le organizzazioni come Sea-Watch non segnalino tempestivamente i casi avvistati, quando in realtà sono le autorità stesse ad ignorare tali segnalazioni e a non intervenire.

 

"Con queste misure non solo si vuole rendere più difficile il processo di richiesta d’asilo, ma si intende ostacolare ulteriormente gli unici rimasti a salvare le vite in mare e denunciare le violazioni di cui Italia ed Europa sono complici” dice Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch. Il decreto estende agli aerei civili le assurde restrizioni che lo Stato italiano aveva già previsto lo scorso anno per le navi di soccorso, con il cosiddetto decreto Piantedosi. Le misure sono state introdotte esclusivamente per impedire alle ONG di documentare la mancata assistenza e la complicità delle autorità nelle violazioni dei diritti umani. Fermare i nostri aerei significherebbe chiudere gli occhi del pubblico sulla violenza e la morte perpetrata quotidianamente in mare dai guardacoste Libici e Tunisini, con il supporto dell’Europa. Noi non ci lasciamo intimidire, continueremo a volare per raccontare la verità e a rispettare il diritto internazionale”, ha concluso Linardi.

 

 

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