L'Italia è sempre ultima per occupazione dei neolaureati: cosa stiamo sbagliando

Guardando all’Europa la situazione per i giovani è migliorata: nel 2023, anno a cui si riferiscono i dati pubblicati il 21 agosto, l’83,5% dei neolaureati dell’Ue era occupato, un aumento di 1,1 punti percentuali. Negli ultimi 10 anni - si legge nel report di Eurostat - si è registrato un aumento del tasso di occupazione: era del 74,3% nel 2013. Unica eccezione al costante aumento, il 2020, anno del Covid. Anche in Italia il tasso di occupazione è in crescita, ma non abbastanza da risalire questa classifica che dovrebbe raccontarci il futuro professionale dei nostri giovani, le loro prospettive. L’Italia, dunque, è ultima nel 2023, nel 2022 , nel 2021 . Nel 2020, con il 57%, ha ceduto l’ultima posizione alla Grecia ed è tornata ultima nel 2019 con il 58,8%. Azzurra Rinaldi economista femminista e direttrice della School of Gender Economics dell’Università La Sapienza di Roma aiuta a leggere questi numeri e a guardare oltre: alla formazione, alla strategia necessaria per far parlare il mercato del lavoro con il mondo dell’istruzione. Gli ultimi dati Eurostat mettono l’Italia all’ultimo posto in Europa per occupazione dei giovani neolaureati: la percentuale è del 67,5% contro l’83,5% della media europea. Cosa ci dice questo dato? Ci dice che l’Italia non è un Paese per giovani, non è un Paese che punta sulla valorizzazione dei talenti giovanili, anche perché abbiamo il 10% delle persone giovani che va via dal Paese con l’intenzione di non tornare mai più. Altri Paesi più in alto in questa classifica cosa fanno di diverso da noi? Hanno percorsi di inserimento, c’è una maggiore attenzione per una formazione più vicina alle esigenze del mercato. Ci sono maggiori connessioni tra la domanda di lavoro che viene dalle imprese e le persone che studiano. I dati italiani cosa comportano a livello sociale ed economico? Ovviamente è un peccato a livello sociale, ma da economista dico anche che è uno spreco: noi investiamo sulla formazione dei giovani. Penso alle mie studentesse e ai miei studenti: la retta che pagano è solo parzialmente coperta dalle loro famiglie, il resto è coperto dalle tasse di chi le paga. Noi stiamo facendo un investimento sulle persone giovani e non creiamo le condizioni perché possano rimanere e avere una vita dignitosa Che Paese siamo? Il quadro che emerge è quello di un Paese che non crede nel valore dell’istruzione. La quota di Pil speso in istruzione è più bassa della media europa. Sono tutti pezzi del puzzle che vanno a comporre l’immagine di un Paese che non ci crede, un Paese per cui la formazione è quasi un peso. Non capiamo che l’istruzione dovrebbe avere un valore economico sul lavoro, le aziende si spaventano. Si spaventano perché a una maggiore formazione dovrebbe corrispondere un compenso più alto? Esattamente. Questo è il sistema malato: si investe in formazione perché la persona andrebbe pagata di più. Allora io mi chiedo: ma questi dati a una famiglia che ha figli che informazioni danno? Danno un’informazione importante: di non spendere soldi per farli studiare perché su questo mercato non vengono valorizzati. Pensiamo a che danno strategico… L’innovazione del sistema economico la crei con la formazione, il capitale umano è il pilastro della crescita di un paese. Questi sono dati che aprono scenari preoccupanti. Sono dati che valgono sia per neolaureati che diplomati, quindi con livelli di formazione diversi? Sì, e questo ci fa capire che il sistema non è in grado di assorbire le persone giovani: succede che al neo diplomato si dice che non è abbastanza formato per ricoprire alcune posizioni e paradossalmente al neolaureato si dice che è troppo formato e quindi non va bene per quelle stesse posizioni. E torniamo allo scenario per cui i giovani se ne vanno e creano una situazione surreale per cui chi rimane lo fa con rimpianto. Da dove si può partire per invertire questa tendenza? Bisogna rafforzare la connessione tra mercato del lavoro e istruzione a tutti i livelli, sia per gli universitari che a livello di diploma. È una cosa che l’Italia sta cercando di fare ma non riesce a raggiungere l'obiettivo. In ciò che è stato fatto fino ad ora dai vari governi manca qualcosa, forse l’ascolto chiaro delle esigenze. Bisogna ripartire dall’ascolto, da cosa serve davvero e ragionare sull’offerta di lavoro. Bisogna spiegare meglio alle persone giovani che stanno studiando, seguendo le loro inclinazioni, come spingere su quei corsi di laurea e quei diplomi che dovrebbero essere costruiti in modo da incontrare il mercato.

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