Errori e abbandoni, viaggio nel "tempo sospeso" delle carceri minorili femminili italiane

“Io mi sono rovinata alle medie. Ero in classe con i ragazzi del quartiere, che è un quartiere popolare, e non facevo cavolate. Poi però si fanno amicizie in quelle classi, anche sbagliate. Andavo nei bagni a fumare la prima sigaretta poi son passata alla prima canna, dalla prima canna alla prima birra poi è arrivato il Jack Daniel poi è arrivato il Rivotril e poi mi sono rovinata”. Anna è in un carcere minorile da quando ha finito le medie. Non possiamo rivelare la sua identità, né la città dalla quale arriva. Non possiamo parlare nemmeno del reato che ha commesso. Di lei, come per tutti gli altri minori rinchiusi negli Istituti Penali Minorili, bisogna innanzitutto tutelare la privacy. Per chi entra così giovane in un Istituto penale, il percorso rieducativo è l’unica speranza per un futuro migliore. Furti, rapine, risse, accoltellamenti, omicidi. I reati delle ragazze detenute nei due IPM femminili italiani si sono aggravati col passare del tempo. Ma non molto tempo. Sono bastati 5 anni per vedere un aumento esponenziale. I numeri restano piccoli, lo precisiamo, nelle due carceri femminili ci sono in tutto meno di 50 detenute. Ma molte ragazze sono in comunità di recupero con misure attenuate. Del resto è la cronaca a restituirci, con sempre maggiore frequenza, episodi di violenza che hanno come protagoniste le ragazze. Una popolazione cambiata “La popolazione carceraria femminile è cambiata”, spiega il direttore dell’Ipm di Roma Giuseppe Chiodo “in passato era molto più presente l'utenza straniera. Adesso le ragazze straniere e in particolare le ragazze Rom sono scomparse dai nostri radar. Le ragazze di questa etnia che vengono qui arrivano per reati commessi molti anni fa. Diversamente abbiamo moltissime ragazze italiane o appunto nate in Italia da famiglie di immigrati. In questo caso la maggior parte dei reati che commettono sono reati molto gravi, molti dei quali nei confronti delle persone”. Aumenta la popolazione carceraria femminile, ma soprattutto aumenta la violenza al femminile. La parità di genere ha portato anche a questo, dicono gli osservatori. Una emancipazione che ha equiparato le ragazze alla stregua dei maschi in fatto di risse, accoltellamenti e talvolta omicidi. Un fenomeno del tutto nuovo per l'Italia Gli Istituti penali minorili femminili sono soltanto due in Italia. Uno interamente dedicato al femminile si trova a Pontremoli, l’altro è a Roma e occupa il piano terra di una delle tre palazzine dell’Ipm romano. Fino a un paio di anni fa c’era una sezione anche all’Ipm Nisida di Napoli, ora quel reparto è chiuso per ristrutturazione. “Nei reati più gravi” spiega ancora Chiodo, “le femmine rimangono una percentuale minima. È però sicuramente vero che le ragazze stanno esprimendo una violenza molto elevata nel commettere reati che fino a poco tempo fa non avevamo declinata al femminile”. "Il crimine è anche frutto dell'emancipazione”, spiega il criminologo Silvio Ciappi, “le ragazze di oggi si trovano a fare cose che in precedenza non si facevano, a cominciare dall'ingresso nel mondo del lavoro. Sono fattori che aumentano le opportunità delinquenziali. Possiamo dire che a una maggiore libertà di uomini e donne corrisponde una maggiore opportunità di delinquere. Entrambe le componenti di genere sono esposte alla solitudine digitale. E la criminalità degli adolescenti è interclassista". Vite da film “La mia vita prima di entrare qui era un film” ci racconta una ragazza di una cittadina del nord est, “ho sempre fatto tante cazzate, ma nessuna particolarmente grave. Non erano cose gravi secondo me, cose per cui poi pensi di andare in carcere. Passavo davanti a una bancarella e prendevo un paio di occhiali da pochi euro. Sì certo è un furto” continua Paola “vabbè ma io non davo peso a queste cose. C’è un periodo in cui sei ragazzina e fai cose senza pensare alle conseguenze. Poi certo, è capitato che venissero i Carabinieri a casa mia alle 4 di mattina per delle perquisizioni, ma insomma, non mi portavano né in comunità né in carcere e io non mi rendevo conto della gravità di quello che stavo facendo. Poi è sempre un crescendo, l’asticella delle cazzate che fai si alza. E senza accorgerti arrivi in posti come questi”. Disagio e adrenalina, i perché dietro ai reati "Il percorso verso la criminalità minorile è lento e graduale” racconta Gianluca Guida, direttore dell’IPM Nisida di Napoli, “parte da esperienze di disagio, dalla prima devianza fino alla violazione delle regole del nostro vivere sociale, quindi si commettono crimini. Le nuove condizioni di disagio influiscono sui reati delle ragazze. Sono reati contro il patrimonio, ma anche contro la persona. Un ragazzo o una ragazza che commette crimini vuole essere visto, riconosciuto. La loro personalità si polverizza. Questa frammentazione dell'Io li porta a perdere la capacità di reagire. Arrivano a commettere il reato senza essere consapevoli della gravità del reato. Non hanno strumenti per capire il disvalore di ciò che hanno fatto. Devono partire dalle loro fragilità e bisogni per capire ciò che hanno commesso". “Se ripenso al motivo per cui ho commesso i reati, ti dico: l’adrenalina” ci racconta una ragazza campana emigrata con la famiglia al nord quando era piccola. “Quando vai a rubare non è che sei tranquillo e passeggi. Ce l'hai quella paranoia quell'ansia che ti fa pensare: mi andrà bene o non mi andrà bene? Perché sei consapevole che potrebbe andarti bene, ma anche no. Però lo fai lo stesso, perché alla fine è più forte di te. E pensi: come va va, se va bene bene, se va male pazienza”. Storie di marginalità "Chi arriva in carcere viene da marginalità e da periferie, che non sono solo quelle geografiche” spiega Guida. “Ne esistono anche in situazioni normali e agiate, che in realtà sono profondamente malate. Come risposta abbiamo provato a creare una relazione di aiuto, prendersi in carico i loro bisogni anche nello spazio della pena". “Bisogna parlarci di più con i ragazzi di oggi, veramente”. La ragazza con i capelli lunghi di fronte a noi arriva dal sud. È entrata nell’Ipm da pochi mesi, pochi giorni prima del suo 18esimo compleanno. Non ci sono state torte né festeggiamenti. Ci racconta che è sempre stata silenziosa, che non si spiega che cosa sia scattato dentro di lei. “Bisogna far capire come funziona il mondo già da piccoli. Perché la vita sa essere cattiva a volte e i ragazzi diventano quello che non avrebbero mai immaginato. Ci sono istinti nascosti che escono all'improvviso”. "Avevo bisogno di sentirmi riconosciuta" Francesca sembra uscita da uno shooting d’alta moda. Ha la pelle di porcellana, tratti lievemente asiatici e labbra sensuali. Difficile immaginare una ragazza così in un carcere. Arriva da una operosa città del nord, il padre è del nord Africa ed è arrivato in Italia 30 anni fa. Ci racconta che vive in un quartiere residenziale, nessun disagio economico. “Mi sono sempre fatta condizionare dalle persone che frequentavo”, ci racconta. "Credo che quando i ragazzi hanno certi comportamenti, diciamo un po' agitati, è perché vogliono lanciare un segnale. Io avevo bisogno di affetto, ma non quello dei miei genitori. Avevo bisogno di sentirmi riconosciuta da qualcuno più grande di me. Sì, è vero, a me è mancato l’affetto di mio padre, quando ero piccolina c’era poco, però mia madre è sempre stata presente. Poi mi sono trovata amici sbagliati e succedeva che facevamo casini insieme e per farmi vedere che ero come loro mi comportavo allo stesso modo. Mi sentivo forte. Mi sentivo accettata. E hai voglia mia mamma a farmi i discorsi! Così mi infilavo in mille casini per un paio di scarpe costose o la borsa griffata. E poi è sempre un crescendo, e ti ritrovi in situazioni più grandi di te”. "Noia e vergogna influiscono sui reati femminili” spiega ancora Ciappi. “I beni di consumo sono quelli che contano, secondo la visione attuale della società. Il dolore sembra essere bandito. La criminalità rappresenta una scorciatoia per accedere a beni di consumo o evadere da un mondo opaco. Anche la vergogna pesa su questo. Significa non essere all'altezza, nell'era dei social si rischia di essere pesantemente esclusi". "Da una parte c'è sofferenza individuale” continua Ciappi “con sintomi psicologici, e dall'altra scatta l'aggregazione con gruppi di riferimento che hanno questi stessi sintomi comuni, quello che si definisce il 'branco'. Ragazzi e ragazze portano una biografia frammentata, possono farsi del male o farlo ad altri. Il tempo del carcere può paradossalmente dare modo ai ragazzi di prendere consapevolezza, un tempo sospeso”. Niente da perdere “Quando hai 15 anni non ci pensi alle conseguenze di quello che fai, ti è andata bene tante volte e pensi che sarà sempre così. Finchè non sbatti la testa contro il muro non avrai mai un limite”. Sabrina arriva nella stanza degli incontri in infradito nonostante fuori piova. Ha ottenuto il permesso di frequentare un Istituto scolastico esterno al carcere. È il primo passo verso il suo futuro. Arriva da una grande metropoli e ha capito presto qual era il suo posto nel mondo. “Il mio era uno stile di vita diciamo… un po' frenetico. Uscivo di casa e tornavo il mese dopo. Giravo un po' per il mondo, prendevo treni e andavo in questa città e in quell'altra. Mi divertivo insomma. Mi sentivo libera, pensavo: la vita è mia e voglio gestirmi così. Poi sai, un piede tira l’altro e parti dall’idea: lo sto facendo per divertirmi, però poi è sempre un di più, di più, di più senza rendersene conto. Nella vita credo che non sia questione di avere davanti una strada giusta e una sbagliata, perché nessuno sceglierebbe quella sbagliata consapevolmente. Ma se tu nasci in una strada e vivi solo lì, quelle sono le tue possibilità e davanti a te hai una sola strada. Io un’altra strada non ce l’avevo. Io non ho mai avuto niente che mi mettesse un freno. Quando si dice: non ho niente da perdere. Ecco, io non ho avuto mai niente da perdere”.