Alessia Pifferi ci abita, la fuga dei genitori dalle responsabilità

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

Per cercare di avvicinarsi alla tragedia della donna, appena condannata all’ergastolo, e a quella della sua bambina, Diana, morta di stenti perché lasciata sola dalla madre, dobbiamo fare un tuffo nelle acque profonde di ciascuno di noi, abbandonando la rassicurante finzione di prima, quell’illusione di estraneità

ascolta articolo

Le storie di “mostri” -presunti o reali che siano- piacciono. Chissà, forse fanno comodo, consentono di perimetrarci, ponendo una distanza di sicurezza tra noi e loro, perché le azioni del “mostro” sono talmente sfacciate che pare impossibile pensare a delle similitudini con noi.

Eppure, potrebbe essere solo un triste autoinganno. Quando negli anni Ottanta, in Germania, furono pubblicati i monumentali diari di Viktor Klemperer, che raccontavano la quotidianità in patria nell’epoca nazista, fu un trauma collettivo. In quelle pagine la distanza tra gli aguzzini e i cittadini comuni era quasi assente.

Per cercare di avvicinarsi alla tragedia di Alessia Pifferi, appena condannata all’ergastolo, e a quella della sua bambina, Diana, morta di stenti perché lasciata sola dalla madre, dobbiamo fare un tuffo nelle acque profonde di ciascuno di noi, abbandonando la rassicurante finzione di prima, quell’illusione di estraneità.

Penso agli sfregi quotidiani che infliggiamo ai piccoli, di cui tutti siamo complici. Guardo agli scolari tanto certificati ma raramente ascoltati, penso all’esercito di bambini coinvolti negli avvilenti, drammatici, risentimenti e dispetti di genitori che si separano, regredendo a livelli infantili, rovinandosi agli occhi dei figli.

L’errore non sta nella separazione, semmai nel fanciullesco tira e molla che annienta la credibilità dei grandi, lasciando la prole in balia di sé stessa, di un vuoto grave e inatteso. Quando un bambino realizza di non potere contare sui propri genitori o sulla maestra, perde “aderenza” col mondo e comincia a slittare come una macchina sul ghiaccio.

Bisogna conoscerli, i bambini e i ragazzi travolti dal crollo di quella che pensavano fosse la diga sicura degli adulti, di cui il caso di Alessia Pifferi rappresenta solo un picco, occorre riflettere sulle conseguenze generate dalla fuga di quelle figure che per i minori significano ancoraggio alla vita. Una fuga che per Diana è stata letale.

Una ragazzina di seconda media non vuole più andare a scuola, passa le notti in chat con gli amici. I suoi sono separati da cinque anni, adesso vivono con nuovi compagni. Certo un legame non è una galera, si può spezzare, talvolta si “deve”, ma le responsabilità di madri e padri non possono seguire la stessa parabola.

Un tredicenne non vede il padre da quando aveva sei anni, se n’era andato perché doveva “ritrovarsi”. “Vorrei un padre a cui dedicare le cose che faccio”, mi dice.

Il germe di Alessia vive dentro di noi, tentati di mettere la nostra persona in cima a tutto, stritolando i figli, spesso lasciati alle loro congetture sulle cause, tra le quali regolarmente entrano anche i dubbi, angosciosi, sulle proprie responsabilità. “Forse c’entro anche io, non ero all’altezza, non ero il figlio che volevano”.

I bambini e i ragazzi pensano così.

Alessia Pifferi è stata condannata all’ergastolo, ma è un peccato che non si possano contare i danni collaterali degli altri infiniti abbandoni.

Anders Breivik tredici anni fa uccise freddamente una settantina di ragazzi che partecipavano a un campus del partito laburista svedese, è figlio di un diplomatico che ruppe definitivamente i contatti con lui quando aveva 16 anni.

Alexander Boettcher, che sfregiò un presunto ex della sua amante qualche anno fa, era figlio di un medico tedesco, che si separò dalla madre quando lui era ancora un bambino, sparì anche dalla vita del figlio, salvo apparizioni rarissime. “Compare una volta l’anno se va bene”, aveva detto la moglie ai giornali.

Neppure Albert Einstein, che mise al mondo tre figli con Mileva Maric, fu un genitore stanziale, lasciò moglie e bambini per sposare la cugina. La primogenita morì ancora bambina, mentre il minore, Edvard, si ammalò di schizofrenia.

Nessuno dei genitori citati, rappresentanti di una schiera vastissima, è stato sanzionato per i lasciti. Certo, non vi sono effetti meccanici, ma in genere le renitenze a ruoli tanto delicati

pesano sui figli e su coloro che con essi verranno a contatto. Occorrono tribunali meno oberati e specializzati, per vigilare sui comportamenti di fuga, quando le vittime sono bambini e ragazzi.

Mettere al mondo un figlio e non avere una briciola di responsabilità genitoriale, contrariamente a ciò che pensano i teorici della procreazione a ogni costo, può determinare eventi negativi a cascata. Diana è una vittima, una delle tante. Se rovistiamo nelle pieghe del disagio giovanile o se passiamo in rassegna gli antefatti biografici dei personaggi a cui la storia deve le più grandi catastrofi, anche quelle attuali, troveremo diverse conferme di queste affermazioni.

Infine. Alessia Pifferi è stata ritenuta capace di intendere e di volere al momento dei fatti. Ne prendo atto, ma non posso evitare di chiedermi cosa significhi oggi la locuzione “capace di intendere e di volere”

Due anni fa, pochi giorni dopo la morte della piccola Diana, su questa stessa pagina, avevo scritto che “sul disperato bisogno di essere visti, di sembrare come gli altri, si avventano le fabbriche dei sogni, aperte 24 ore al giorno”, che travolgono persone fragili come Alessia, investendole con “uragani di seduttivi messaggi pubblicitari”. Questo viene giudicato “da norme inadatte ai tempi” sebbene oramai sia chiaro a tutti che è “in grado di generare rovinosi incrementi del sentimento di inadeguatezza, alimentando la disperazione e il senso di impotenza”.

Forse dovremmo aggiornare anche i manuali della psichiatria, e ricordare che l’ambiente non è un semplice attore neutrale. Oggi il suo contributo, nel bene e nel male, si è raddoppiato, perché agisce a tenaglia, tra frustrazioni tridimensionali e sogni virtuali.

Di passaggio annoto ad Anders Breivik, responsabile di una strage di enormi proporzioni, fu inflitta una pena detentiva di ventun anni. Anch’egli, come Alessia Pifferi, fu ritenuto sano di mente, salvo che per un disturbo narcisistico della personalità, di cui ai giorni nostri credo sia difficile trovare individui immuni. Per la madre di Diana si è parlato di alessitimia, non si tratta di una malattia bensì di un semplice sintomo, capace però di non lasciare passare le emozioni.

Cosa rappresentino le emozioni per un essere umano è argomento troppo impegnativo per essere trattato in poche righe.

Qualcuno osserverà che quella è la massima pena prevista dall’ordinamento svedese, ma gli effetti pratici non cambiano. Alessia potrebbe trascorre in prigione la sua unica vita mentre Anders uscirà tra meno di dieci anni.

Se vogliamo davvero tutelare i bambini di oggi, prevenire la loro rabbia e i danni conseguenti, è necessario puntare i riflettori sul liquido di Archimede sul quale galleggiamo, che negli ultimi due decenni è cambiato più che in tutti i millenni precedenti, modificando di conseguenza le creature che lo abitano, la cui conoscenza richiede, dunque, occhi e strumenti totalmente nuovi.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

Cronaca: i più letti