Sulla strada indizi della nostra personalità e della nostra vita

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

I mezzi coinvolti nell'incidente in A22 del Brennero nei pressi di Reggiolo, Reggio Emilia, 5 Febbraio 2024. ANSA/ ELISABETTA BARACCHI

Non basta l’educazione stradale, occorre l’educazione, semplicemente, l’unica carta che abbiamo in mano per rendere l’altro percepibile e degno di rispetto. Chi tutti i giorni si mette al volante subisce una serie di “diminuzioni” legate interferenze autobiografiche, stati d’animo opprimenti, pensieri, frustrazioni, conflitti, mutui, lavoro, figli, salute. Per questo la strada è una zona franca, l’unica dove possiamo uccidere e morire legalmente. Basta un attimo

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Mi fermo all’autogrill Cantagallo, per un caffè. Rimango ipnotizzato dalla rapidità dei mezzi, scorrono camion e automobili nei due sensi, ne percepisco la velocità relativa, che si avvicina ai trecento chilometri orari. Mi chiedo a causa di quale miracolo non accada nulla o accada con una frequenza così bassa rispetto ai flussi. Non basta l’educazione stradale, occorre l’educazione, semplicemente, l’unica carta che abbiamo in mano per rendere l’altro percepibile e degno di rispetto. Chi tutti i giorni si mette al volante subisce una serie di “diminuzioni” legate interferenze autobiografiche, stati d’animo opprimenti, pensieri, frustrazioni, conflitti, mutui, lavoro, figli, salute. Per questo la strada è una zona franca, l’unica dove possiamo uccidere e morire legalmente. Basta un attimo.

Un conducente di mezzi pesanti, distrutto. Si è addormentato al volante, trasformandosi nella mano del destino per un ragazzo di vent’anni, che tornava dal lavoro col suo furgone. Un impatto frontale ed è calato il sipario. È agli arresti domiciliari, solo grazie alla sensibilità del suo legale cortesia di Gip possiamo vederci. Ora, giustamente, è sotto processo, pensa ai tre figli piccoli, ci pensava anche prima, forse comincia proprio dal senso di responsabilità verso quelle creature il romanzo della tragedia, una di quelle che si dimenticano in fretta, per abitudine o per qualcosa che rifiutiamo perché ci interpella troppo da vicino.

Il camionista è esso stesso una vittima di qualcosa cui abbiamo paura di dare un nome, legato al modo stesso in cui viviamo. Come tutti i giorni, da ventidue anni, si era svegliato alle tre. Raggiunto il lavoro e supervisionato le operazioni di carico, si era messo alla guida, ripetendo gesti che conosce a memoria, forse troppo, l’abitudine crea assuefazione, e la strada, mai uguale a sé stessa, non perdona.

Tredici anni presso quest’azienda, solo cinque giorni di malattia, ricorda con orgoglio, e quasi cento giorni di ferie arretrate.

Deve portare a casa il pane, il resto può aspettare.

Tornava dalla famiglia, quando riusciva a rientrare in sede, alle venti, giusto il tempo della cena poi a letto, quindi sveglia alle ore piccolissime. Quella volta, sopraffatto dalla fatica, mentre cercava un’area di sosta per iniziare la pausa, senza accorgersi è caduto in un sonno profondo, risvegliandosi ferito, tra le fiamme.

La strada è diventata lo specchio di una cultura incrementale, illimitata, fotografia precisa del malessere di ciascuno di noi, della comunità in cui siamo immersi, ammalatasi per contagio, un vero e proprio test psicologico di un’epoca assetata di tempo e di accelerazione. Non era mai era accaduto in passato, nemmeno quando sull’asfalto perdeva la vita il quadruplo delle persone che vi muoiono oggi. Se i veicoli avessero lo stesso, precario, livello di sicurezza dell’anno della grande carneficina, il 1972, più di undicimila morti, avremmo numeri da guerra.

Tutto passa dalla strada, soprattutto quello che credevamo di avere affidato alla virtualità, ma quella ci permette solo di scambiare informazioni, idee, danaro, ordinativi, immaterialità, il resto deve camminare, anzi correre, si deve spostare da una parte all’altra più velocemente di ieri, a costi umani sempre più alti. L’unico

modo per stare al passo è accelerare. Seguono disumanizzazione, disagio esistenziale, perdita di senso e della percezione del dolore che possiamo infliggere con il piede destro.

Negli ultimi tempi la strada mi procura tanto lavoro, filtro tragedie che annientano interi sistemi familiari, senza risparmiare i sopravvissuti.

La strada cambia ogni giorno una quantità cospicua di destini e lo fa con diligenza, in pochi istanti, non di rado in modo irrimediabile. Una macchina che andava come un missile, pochi giorni fa si è abbattuta su quella di una famigliola, uccidendo due persone, di 50 e 15 anni, ferendone molto gravemente un’altra, adolescente pure questa, ora in coma farmacologico. Proprio per la gestione dell’informazione dopo il risveglio mi era stato chiesto un parere, dai parenti. Anche l’investitore è deceduto, il figlio adolescente, a bordo con lui, è scampato miracolosamente.

Ma gli indizi che arrivano dalla strada non sono solo gli incidenti e le vittime.

La strada parla, racconta, profetizza, dice come potrebbe andare a finire.

Un corriere, pochi mesi fa, mi chiede se posso dargli dello zucchero, sembra stanchissimo, pensa di avere un calo di pressione. Lo facciamo accomodare e con la macchinetta di casa gliela misuriamo, in effetti è bassissima, intanto squilla il suo telefono a ripetizione. La centrale vuole sapere perché si è fermato per dieci minuti. Mi chiedo come arriverà a sera.

Qualcuno si licenzia prima del botto. Come il trentenne che consegnava carne e sacrificava un terzo del suo stipendio in multe per eccesso di velocità. Aveva chiesto al titolare di pagargliele lui, ma quello si era sfilato replicando che sarebbe bastato rispettare i limiti per evitare le sanzioni e che, soprattutto, non era lui a imporgli di correre. Vero, aveva risposto, non mi obblighi a correre ma se mi imponi di consegnare tassativamente entro una certa ora è come se lo facessi e io sono costretto a correre.

A volte non è neppure necessario correre, basta meno. Un ventenne torna a casa per la pausa pranzo, minuti contati, va a quaranta all’ora, lo dimostreranno anche i rilievi della polizia, eppure centra una donna di settantacinque anni -pare si fosse avventurata sulle strisce con la bicicletta all’improvviso- uccidendola.

La sua vita non sarà più la stessa.

Quanto di noi portiamo sulla strada. Cosa ci spinge ad andare oltre. Quale malessere ci rende insensibili al pericolo che infliggiamo a noi stessi e agli altri. Quali inquietudini anestetizzano la nostra sensibilità quando guidiamo.

Tutti, adulti e ragazzi, risucchiati in un movimento accelerato, irresistibile, in cui la misura si smarrisce. Norme, semafori e strisce pedonali non esistono più e la prudenza cede il passo all’illusione dell’immortalità. Tutto sembra reggere, ma solo fino quando le strade si incroceranno, è allora che si paleserà la misura dell’insostenibile velocità a cui giriamo.

Eppure, non è la strada il problema, essa è il lembo terminale del nastro, quando ci siamo sopra il grosso del lavoro è stato già fatto, il resto viene da sé.

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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