Il 9 febbraio 2009 si spegneva a Udine la figlia di Beppino e Saturna Englaro, diventata suo malgrado un simbolo del tema del fine vita: in stato vegetativo permanente da 17 anni, dopo un incidente stradale avvenuto nel 1992, la famiglia è stata costretta a un trasferimento in Friulia-Venezia Giulia e a diversi procedimenti giudiziari prima di vedersi riconosciuta la volontà di non alimentare artificialmente la donna. Il caso ebbe una vasta eco politica
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- Una morte che è diventata un caso e ha acceso il dibattito sul fine vita. Quindici anni fa, il 9 febbraio 2009, alle ore 20:10 si spegneva Eluana Englaro, dopo 17 anni di stato vegetativo. Il suo caso fu al centro di una lunga vicenda giudiziaria tra la famiglia e la giustizia italiana, con conseguente polemica politica. Lo scorso anno Beppino Englaro, padre di Eluana, in un’intervista a Repubblica ha dichiarato: “Oggi sono in pace: grazie a mia figlia è nata una legge. L’Eluana di turno, oggi, ha la possibilità di non farsi intrappolare”
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- A dare origine a tutto fu un incidente stradale: il 18 gennaio 1992, al ritorno da una festa a Pescate, paese alle porte di Lecco, Eluana Englaro, che aveva da poco compiuto 21 anni e frequentava la Facoltà di Lingue all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, perse il controllo dell'automobile per il fondo stradale gelato e si schiantò contro un muro. Nonostante i soccorsi tempestivi la giovane entrò subito in coma, con trauma cranico e frattura della seconda vertebra, che aveva causato un’immediata paresi di tutti e quattro gli arti
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- Quando Eluana Englaro venne dichiarata fuori pericolo, poche ore dopo l’incidente, i medici spiegarono ai genitori che l’unica cosa da fare era attendere 48 ore per capire i possibili danni al cervello. Eluana non uscì dal coma. Ad aprile 1992 venne dimessa dal reparto di rianimazione, ma rimase incosciente. Dodici mesi dopo venne fatta la diagnosi che si rivelò definitiva: a causa dei danni molto estesi alla corteccia cerebrale e della degenerazione dei tessuti, venne dichiarata in stato vegetativo permanente
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- Sin dal primo momento i genitori Beppino e Saturna Englaro, riportando quanto detto in occasione della morte di un amico, avevano dichiarato come la volontà della figlia fosse quella di morire piuttosto che sopravvivere ed essere dipendente dalle cure altrui. Beppino Englaro divenne il tutore di Eluana nel 1997, con piena rappresentanza legale dal momento che la donna era interdetta per motivi di salute
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- Le prime sentenze non diedero ragione ai genitori di Eluana Englaro: nel gennaio del 1999, il padre chiese per la prima volta al tribunale di Lecco di interrompere l’alimentazione artificiale della figlia, che considerava un accanimento terapeutico in contrasto con l’articolo 32 Costituzione. A marzo il tribunale respinse la richiesta, così come la Corte di Appello, che ricevette l'appello di Englaro, nel dicembre 1999. Secondo il tribunale e la Corte, c’era ancora un dibattito aperto su come considerare l’alimentazione artificiale
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- Il caso non sembrava trovare soluzione: anche i successivi ricorsi dei primi anni Duemila, tra il 2002 e il 2007 sia al Tribunale di Lecco che alla Corte di Appello di Milano e alla Cassazione, portarono alla sentenza che escluse l’alimentazione artificiale dalla definizione di accanimento terapeutico. La Corte, però, chiese alla politica di colmare il vuoto normativo sul “fine vita”
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- Inoltre, la Corte aveva chiarito come fosse possibile interrompere l’alimentazione artificiale a patto che si verificassero due circostanze. La prima era che lo stato vegetativo dovesse essere giudicato dai medici completamente irreversibile, mentre la seconda era dimostrare che il paziente avesse espresso la richiesta di non essere mantenuto in vita in maniera artificiale. Una circostanza che i genitori di Eluana Englaro erano riusciti a dimostrare grazie alle testimonianze dei suoi amici
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- Con i criteri stabiliti, il 9 luglio 2008 la Corte di Appello di Milano accolse il ricorso di Beppino Englaro e lo autorizzò a interrompere l’alimentazione artificiale di Eluana. A nulla valse il ricorso della procura di Milano, che venne respinto dalla Cassazione con una sentenza definita “storica”, dove si denunciò anche l’assenza di leggi chiare che regolassero i trattamenti come l’alimentazione forzata in caso di stato vegetativo permanente
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- Frenetico l’intervento della politica e dell’allora maggioranza di governo, guidata da Silvio Berlusconi: a ostacolare l’attuazione della sentenza arrivò l’“atto di indirizzo” del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, con il quale veniva vietato di interrompere l’alimentazione artificiale a tutte le strutture del SSN o convenzionate. Il Cdm cercò di promulgare anche un decreto-legge, che venne però respinto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
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- Intanto la famiglia di Eluana Englaro aveva cercato di far attuare la sentenza presso la casa di cura delle suore misericordine a Lecco, che però si oppose. Così la famiglia decise di trasferirla in Friuli-Venezia Giulia, dove i provvedimenti del governo non sarebbero arrivati, essendo il loro servizio sanitario uscito da quello nazionale dal 1996. Così, il 3 febbraio 2009 Eluana Englaro venne trasferita presso la clinica “La Quiete” di Udine, tra le proteste dei manifestanti cattolici e pro-vita, che urlavano “Eluana, svegliati!”
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- Nonostante il pressing delle Camere e le proteste di parte dell’opinione pubblica italiana, che portarono a visite del NAS e dell’USL del Friuli, il 9 febbraio 2009 arrivò la fine della vicenda di Eluana Englaro. La presidente della clinica, Ines Domenicali, diede l’annuncio della morte a seguito dell'interruzione della nutrizione artificiale: “È morta, non so dire l’ora. Non chiedetemi altro”
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- Il caso continuò ad accendere l’opinione pubblica italiana. Nel novembre 2009, il tribunale di Udine archiviò il procedimento contro Englaro e il personale della clinica per omicidio volontario. Il 14 dicembre del 2017 il Parlamento ha approvato il primo testo di legge che regola e disciplina le DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento), che prevedono le possibilità in cui dichiarazioni prima rese da un paziente in stato d'incoscienza siano vincolanti per il medico curante, attuando quanto previsto dal dall’articolo 32 della Costituzione