Violenza sulle donne, in Italia in 12 milioni vittime di un episodio almeno una volta
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L'Istituto di fisiologia clinica del Cnr, attraverso lo studio Ipsad, ha rilevato che solo il 5% ha denunciato l'accaduto. Alcune hanno giustificato l’aggressore, altre hanno taciuto per vergogna o per mancanza di fiducia nei confronti della giustizia. Emerge l'incapacità dei maschi violenti, anche giovanissimi, di accettare un rifiuto. Ma c'è anche la difficoltà di molte giovani a percepire alcuni comportamenti come violenza. Un esempio è il controllo dello smartphone
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- In Italia sono oltre 12 milioni, quasi il 51%, le donne tra i 18 e gli 84 anni che hanno riferito di essere state vittime almeno una volta, nel corso della propria vita, di un episodio di violenza fisica o psicologica. Di queste solo il 5% ha denunciato l'accaduto. Perché l'atto non era perseguibile (nella metà dei casi) ma anche per perdono, vergogna, paura o sfiducia nel sistema giudiziario
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- Dati che "forniscono l'evidenza di un fenomeno particolarmente esteso e solo in parte 'visibile'", ha rilevato l'Istituto di fisiologia clinica del Cnr attraverso lo studio Ipsad, Italian Population Survey on Alcohol and Other Drugs. La ricerca, nel 2022, ha coinvolto 5mila residenti in 100 comuni
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- Oltre 2,5 milioni le donne (10,1%) riferiscono situazioni di violenza psicologica e sono 80.000 (0,3%) quelle attualmente vittime di violenza fisica. A subire episodi di violenza sono soprattutto donne sotto i 60 anni con un livello di istruzione medio-alto, un lavoro e un reddito medio, coniugate o conviventi. Oltre la metà ha figli
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- "Le donne che hanno subito nella propria vita episodi di violenza sia essa psicologica o fisica si caratterizzano per la presenza di uno stato di malessere generalizzato: dichiarano livelli più elevati di stress e/o difficoltà nel sonno, e una maggiore propensione all'isolamento", commenta Sabrina Molinaro, ricercatrice di Cnr-Ifc responsabile dello studio
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- Risulta che gli atti di denigrazione e umiliazione vengono perpetrati soprattutto da conoscenti/amici (34,2%), da familiari conviventi (25,4%) e dal partner (25,1%); a commettere invece violenza fisica sono soprattutto familiari conviventi (46,9%) ed ex partner (35,6%)
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- "Altro elemento interessante - continua Sabrina Molinaro - è proprio nella bassa percentuale di donne che riferisce di avere denunciato l'episodio, nonostante il forte impatto che tali violenze assumono nella gestione della quotidianità, quando non la dimensione di vero e proprio pericolo"
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- Analizzando le motivazioni, si legge nell'indagine Cnr-Ifc, il 50,3% afferma che l'atto non era perseguibile per legge; il 16,6% dice di aver perdonato o giustificato il proprio aggressore; l'11,3% non voleva più pensare più all'accaduto; il 9,8% non ha denunciato per vergogna; il 7,1% per paura dell'aggressore; il 6,8% per sfiducia nel sistema giudiziario e il 6,6% per paura di non essere creduta
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- Nei femminicidi emerge spesso l'incapacità dei maschi violenti, anche giovanissimi, di accettare un rifiuto. Ma c'è anche la difficoltà di molte giovani a percepire alcuni comportamenti come violenza. Un esempio è il controllo dello smartphone. "Occorre agire subito, con l'educazione affettiva che coinvolga non solo scuola, ma famiglie e società in modo trasversale", spiega Maria Spiotta, psicologa di Differenza Donna, che gestisce il numero antiviolenza 1522
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- Al 1522, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, sono aumentate le chiamate di ragazze che, di fronte a un atto violento, parlano di "discussione" o "gelosia". "Raccontano, ad esempio, che non riescono a prendere la parola nella relazione, ma hanno difficoltà a individuare la violenza. Bisogna dare un nome alle cose", spiega Maria Spiotta
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- "Serve anche tornare a trasmettere empatia. Ben venga l'educazione affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado, meglio se curricolare - purché coinvolga le famiglie, fondamentali nel dialogo con i figli - e sia fatta da esperte che lavorano sul campo da anni", conclude la psicologa