Il Consiglio direttivo risponde al Comitato Pari opportunità della Corte di Cassazione: "Da escludere nella lingua giuridica l'uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato", mentre via libera all"uso "largo e senza esitazioni dei nomi di cariche e professioni volte al femminile"
No agli asterischi, sì alle declinazioni delle professioni al femminile. Sono queste alcune delle indicazioni dell'Accademia della Crusca, con un parere formale espresso dal Consiglio direttivo, in risposta al quesito sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari posto dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione. L'Accademia suggerisce di "evitare le reduplicazioni retoriche" ("lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate" e simili) come l'uso dell'articolo con i cognomi di donne. Inoltre "va escluso tassativamente l'asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico" e lo stesso vale per schwa.
Sì a cariche e professioni al femminile
La massima istituzione linguistica italiana, presieduta dal professore Claudio Marazzini, invita i giudici della Cassazione a fare "uso largo e senza esitazioni dei nomi di cariche e professioni volte al femminile". Pertanto, in base all'applicazione delle normali regole di grammatica i nomi terminanti al maschile in -o hanno il femminile in -a: magistrato/magistrata; prefetto/prefetta; avvocato/avvocata; segretario/segretaria, segretario generale / segretaria generale; delegato/delegata; perito/perita; architetto/architetta; medico/medica; chirurgo/chirurga; maresciallo/marescialla; capitano/capitana; colonnello/colonnella. Anche per i nomi composti si può usare il femminile: "pubblica ministera" è corretto, così come "sostituta procuratrice". L'Accademia ricorda che i nomi terminanti in -e non suffissati sono ambigenere, cioè possono essere sia maschili che femminili e affidano l'indicazione del genere all'articolo (e stabiliscono l'accordo di altri elementi: aggettivi, participi…): il preside / la preside; il presidente / la presidente; il docente / la docente; il testimone / la testimone; il giudice / la giudice; il sottufficiale / la sottufficiale; il tenente / la tenente; il maggiore / la maggiore. Esempi con aggettivo: il consulente tecnico / la consulente tecnica; il giudice istruttore / la giudice istruttrice. Fanno eccezione forme ormai entrate nello standard come studente/studentessa, professore/professoressa.
No agli articoli prima dei cognomi: "Discriminatorio"
Un capitolo delle raccomandazioni della Crusca è dedicato all'uso dell'articolo con i cognomi di donne. "Nell'uso generale, non solo in quello giuridico, l'omissione dell'articolo determinativo di fronte al cognome si è negli ultimi anni particolarmente diffusa, non solo nel femminile, ma anche nel maschile, che lo ammetteva, nello standard, nel caso di personaggi celebri del passato (il Manzoni, il Leopardi ecc.). Oggi è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile", scrive l'Accademia. "Non entriamo nelle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata. Tuttavia, per quanto estemporanea e priva di motivazioni fondate, l'opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto. Osserviamo ancora che, nel caso in cui si ometta l'articolo con preposto al cognome di persone celebri, non si verificano controindicazioni, ma in altri casi si manifesta un'evidente perdita di informazione ('La presenza di Rossi in aula' si riferisce a un uomo o una donna?); quando sia utile dare maggiore chiarezza al genere della persona, sarà sufficiente aggiungerne il nome al cognome, o eventualmente la qualifica ('La presenza di Maria Rossi' o 'La presenza della testimone Rossi')".
Infine il capitolo "Esclusione dei segni eterodossi e conservazione del maschile non marcato per indicare le cariche, quando non siano connesse al nome di chi le ricopre".
Bocciato anche lo schwa: "Da escludere l'uso di segni grafici"
E rispetto al dibattito sull'uso dello schwa, afferma l'Accademia della Crusca: "È da escludere nella lingua giuridica l'uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati. Va dunque escluso tassativamente l'asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico («Car- amic-, tutt- quell- che riceveranno questo messaggio…»). Lo stesso vale per lo scevà o schwa, l'ǝ dell'alfabeto fonetico internazionale che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, non presente in italiano, ma utilizzata in alcuni dialetti della Penisola (nei quali peraltro non compromette sistematicamente la distinzione di genere tra maschile e femminile, così come quella di numero, tra singolare e plurale). La lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all'idioletto".
Il maschile plurale non marcato come inclusivo
In una lingua come l'italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, spiega il professore Claudio Marazzini, "lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare".
Ugualmente si potrà usare il maschile non marcato quando ci si riferisca in astratto all'organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta.
Argomenta il presidente dell'Accademia della Crusca: "Si tenga presente che il maschile non marcato è ben vivo nella lingua, nell'uso comune: 'Tutti pronti?', 'Siete arrivati tutti?', 'Sono tutti sani e salvi!', 'Scendete tutti da quella barca: sta per affondare!'. In casi come questi, la reduplicazione, ammissibile nel discorso pubblico di un ministro o una ministra, di un rettore o una rettrice universitaria, di un sindaco o una sindaca, avrebbe effetti comici e inappropriati, specialmente in situazioni familiari o di urgenza. Inoltre, il maschile non marcato è in questi casi inevitabile: se lo si volesse annullare interpretando il maschile in maniera assurdamente rigida, occorrerebbe rivedere tutti i testi scritti italiani, compresi quelli giuridici, occorrerebbe insomma riscrivere milioni di pagine, a cominciare dalla Costituzione della Repubblica, che parla di 'cittadini', senza reduplicare 'cittadini e cittadine', ma intendendo che i diritti dei cittadini sono anche quelli delle cittadine".