Giornata Memoria, l'Ucraina e il dovere di ricordare in modo giusto

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

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Il contrasto tra l’esaltazione della memoria e la guerra in atto in Ucraina, non è un paradosso, semplicemente è più comodo occuparsi di ciò che non si vede, pagato il tributo della giornata assegnata, si chiude bottega, senza avere imparato nulla

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Liliana Segre teme che presto ci stuferemo degli ebrei. La pensa come Mago Merlino, che forse non è mai esistito, ma a cui fanno dire cose sagge.

“La maledizione degli uomini è che dimenticano”. Lo scorso anno per entrambi la magra consolazione di averci visto giusto. Appena quattro settimane dopo la Giornata della Memoria le truppe russe erano entrate in Ucraina, come se l’Olocausto e la Seconda guerra mondiale fossero stati semplici leggende.

 

Anche quest’anno Liliana e Merlino, purtroppo per noi, sono saldamente ancorati alla parte della ragione, considerato che quella guerra è a rischio di evoluzioni drastiche. Convinto che l’intero passato si è perduto nell’oblio, lontano dalla disponibilità degli individui, qualcuno insiste sadicamente nell’evocare la minaccia nucleare, malgrado tutti gli anni, lo stesso giorno, al parco memoriale della pace di Hiroshima suoni la campana, a ricordo delle bombe atomiche sganciate in quella città e trecento chilometri distante, a Nagasaki. In tutto oltre duecento mila morti. Di questo passo, figuriamoci quanto ci importerà dei campi di concentramento nazisti, piano piano, basta avere pazienza, il rito diventerà assuefazione, qualche bella manifestazione e anche quest’anno è fatta.

 

Domani si ricomincia con le risse di condominio, a contestare gli insegnanti sui social, ad affliggere i sottoposti, a mandare a quel paese l’automobilista che indugia mezzo secondo al verde. Il contrasto tra l’esaltazione della memoria e la guerra in atto, non è un paradosso, semplicemente è più comodo occuparsi di ciò che non si vede, pagato il tributo della giornata assegnata, si chiude bottega, senza avere imparato nulla. Rappresenta la perfetta esemplificazione della paura di Liliana Segre, l’abbiamo sotto gli occhi da quasi un anno, dal 24 febbraio 2022, tutti i giorni, che forse allude alle conseguenze prodotte dalle oramai sistematiche fratture tra presente e passato, e sarà sempre peggio perché l’accelerazione incontrollata dei processi in cui siamo coinvolti ci spingerà a voltare le spalle alla memoria, perché essa è voracissima di tempo e di raccoglimento, oramai rari più delle terre rare.

Il disorientamento prodotto dall’accelerazione appone il proprio timbro su tutti i disagi personali e sociali da cui siamo investiti, nei rapporti di coppia, nella vita scolastica, in quella lavorativa, in quella comunitaria, dove la diserzione di massa dall’impegno civile fa emergere solo il residuato. Il peggio, in genere, che poi ammorberà tutto.

 

Le poche energie superstiti, nel corpo a corpo con l’esigente quotidiano, vengono investite sul presente. Per il futuro resta poco, per il passato nemmeno le briciole, e sta accadendo proprio in un momento in cui la semplice azione di ricordare ciò che è stato non basta, perché oggi più che mai bisognerebbe ricordare nel modo giusto, l’unico possibile, quello che ci consente di misurare il nostro grado di responsabilità personale negli eventi che portarono alla distruzione del popolo ebraico. È questo, solo questo, il significato della Giornata della Memoria. Il resto - i discorsi, le corone di fiori, i dibattiti, gli articoli, anche quello che state leggendo - può essere necessario ma non è esattamente ciò che ci chiedono i milioni di innocenti, tra loro anche un milione di bambini, perduti nelle spire di quella follia.

 

Arrivare a caricarsi sulle spalle le proprie specifiche colpe non è complicato, bisogna volerlo, lo chiamo metodo della “responsabilità ascendente”, e consiste nel domandarsi dove ci saremmo collocati al tempo del nazismo, se fossimo vissuti allora. Non bisogna sforzarsi troppo, perché è già tutto scritto nel nostro comportamento attuale, basta un modesto espediente temporale che ci consente proiettarlo a ritroso, inserendolo nel fondale scenografico di quei terribili anni.

Se oggi, ad esempio, sono violento, se disprezzo le donne, se sono razzista, se odio gli omosessuali, se subisco il fascino o voto movimenti che incitano alla diffidenza e all’ostilità verso chi è diverso, solo perché è diverso, verso gli stranieri, per il solo fatto che sono stranieri, se in me prevalgono pensieri e atteggiamenti antisociali. Ecco, se una qualche opzione tra quelle elencate è presente nel mio impianto culturale e comportamentale, allora ci sono buone probabilità che negli anni Trenta del secolo scorso sarei stato dalla parte dei nazisti.

 

Ogni cittadino, ogni insegnante, ogni educatore, ma anche ogni ragazzino, possiede un’occasione unica, tutti gli anni, il 27 gennaio e nei giorni vicini, per fare il punto sulla propria possibile collocazione al tempo del nazismo e dei suoi complici, compresi i nostri, quelli che gli ebrei contribuirono a precipitarli nell’orrore e che oggi, come gregari che si nascondono nella pancia del gruppo, vorrebbero godere di un giudizio clemente. Non è un esercizio ozioso, quello della Memoria semmai è inutile partecipare alle manifestazioni della sua Giornata se prima non abbiamo eseguito il semplicissimo test appena suggerito, quelle piccole verifiche che ci consentono di dire esattamente se nei giorni delle oceaniche manifestazioni a Norimberga saremmo rimasti a casa oppure se ci avrebbero fotografato tra la folla plaudente, anche come semplici comparse, atomi di una marea anonima e violenta che consegnò gli ebrei al nazismo, squalificando per sempre l’intera umanità, anche chi non viveva in quel segmento di tempo, cedendo anche le proprie anime e quelle di coloro che nei decenni successivi, anche oggi, si lasciano risucchiare nelle scorciatoie dell’ostilità verso tutto ciò che sfiora le loro case, anche quando si tratta di donne e di bambini.

Se non passiamo da questa porta stretta, da questo scrutinio di massa, dei nostri pensieri e dei nostri comportamenti, la Giornata della Memoria sarà un inutile esercizio di folklore, uno spreco di energie, una semplice tappa di avvicinamento all’ultima stazione, proprio quella preconizzata da Liliana Segre, prima di stufarci degli ebrei.

 

La vita di chi non è mai tornato potrebbe pulsare ancora, se ogni anno qualcuno, anche pochi all’inizio, si ponesse quelle domande e se, scoprendo di essere dalla parte sbagliata, cominciasse a sentire il peso della propria colpa, mettendo le basi per un vero processo interiore di ravvedimento.

Quindici anni fa avevo accompagnato un Treno per Auschwitz, promosso dalla Fondazione Fossoli. A bordo c’erano 600 ragazzi emiliani. Sulla via del ritorno un cronista mi intercettò chiedendomi un giudizio su quelle giornate. “Saranno state utili solo quando ogni ragazzo presente si assumera la sua parte di colpa e di responsabilità, altrimenti resterà solo una gita”. La Giornata della Memoria può diventare un imponente evento educativo, dipende dalle famiglie, dagli insegnanti, dagli educatori, da chi esercita la mia professione, a patto che la smetta di inseguire malesseri generazionali come se fosse calato l’inverno sulle nuove generazioni, perché l’unica gelata mi pare si stia depositando proprio su noi adulti.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

 

 

 

 

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