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Il Covid manda in tilt la sanità pubblica: crollano ricoveri, visite e interventi. I DATI

Cronaca

Nadia Cavalleri

L’impatto del virus sul servizio sanitario nazionale nei dati dello studio del centro ricerche dell’Università Liuc: “Occorre riprogrammare gli spazi e consentire agli ospedali di proseguire con le attività di routine oppure a breve non riusciremo più a curarci. È già calata l’aspettativa di vita”, spiegano i ricercatori

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Liste d’attesa che si allungano negli ospedali, interventi chirurgici sospesi, malati che non riescono a curarsi. E’ questa l’eredità che ci lasciano le due ondate di pandemia da SARS-CoV-2 che hanno avuto un forte impatto sul servizio sanitario italiano.  Da uno studio del centro di ricerche in economia e management in sanità e nel sociale dell’Università Cattaneo LIUC che abbiamo potuto leggere in esclusiva emerge un quadro allarmante che ci spinge a chiederci se e come e a quale prezzo riusciremo a curarci in futuro.

Ricoveri ordinari

I ricoveri ordinari negli ospedali italiani sono diminuiti del 24,83% dal 2019 al 2020. Le percentuali di riduzione possono essere anche molto diverse a seconda delle specialità: oncologia, trapianti e ostetricia hanno avuto cali limitati, così come pneumologia che registra gli ingressi per covid, ma altre realtà hanno subito importanti stop. Solo in Lombardia c’è stata una diminuzione generale del 40% dell’attività chirurgica con punte che per alcuni reparti hanno raggiunto il 57%.

Questa situazione si è verificata principalmente per due motivi:

- Il blocco delle attività programmate negli ospedali e di molte altre nell’assistenza territoriale (per esempio lo screening) e assistenza solo ai casi urgenti in ospedale;

- La trasformazione dei blocchi operatori in terapie intensive e la riconversione di reparti in terapie semi-intensive.

Liste d’attesa, la storia di Stefania

Stefania è una libera professionista lombarda, over 40, con figli in cura nel lecchese. A metà del 2018 le è stata diagnosticata una miomatosi severa, ovvero la presenza di un fibroma uterino. La prima valutazione del medico è stata quella di non operare ma con il passare del tempo Stefania ha iniziato ad accusare dolori sempre più forti e sempre più frequenti e nel febbraio del 2020 il suo ginecologo ha deciso di sottoporla ad intervento chirurgico per la rimozione dell’utero. L’operazione era stata fissata a maggio del 2020, ma è slittata a novembre del 2020 e da lì ancora a metà marzo del 2021 quando è arrivata la chiamata dall’ospedale.  “Era una domenica sera” -  racconta Stefania - “me lo ricordo ancora bene perché mi convocavano per il martedì seguente”. Purtroppo però lei in quel momento aveva degli impedimenti a livello di organizzazione familiare; magari le sarebbe bastata una mezza giornata per fare una serie di chiamate e capire se le fosse stato possibile arrangiarsi in qualche modo, ma l’operatore voleva una risposta immediata che lei non era in grado di dare. Ha perso il suo turno ed è tutt’ora in attesa di essere nuovamente convocata. Ad ogni modo, se fosse riuscita a farsi operare a marzo del 2021 avrebbe comunque atteso 13 mesi per il suo intervento chirurgico.

Attività di pronto soccorso

Anche gli ingressi in pronto soccorso non legati alla patologia del Covid sono diminuiti dal 2018 ad oggi. Fatti salvi i codici rossi, si è registrato un calo quasi del 36%, verosimilmente legato al timore di contagio all’interno degli ospedali. Per dirlo con altri numeri mancano all’appello circa 7,5 milioni di prestazioni in pronto soccorso. Infine c’è il dato che riguarda le visite specialistiche: ridotte del 28,66% dal 2018 al 2020  con una variabilità molto elevata da regione a regione, si passa da -52% di Salerno a – 2,17% di Treviso, ma anche fra strutture sanitarie della stessa città. In questo caso spesso sono intervenute le aziende private accreditate, o private, che in molte zone hanno parzialmente assorbito l’attività delle strutture pubbliche.  In cosa si traducono queste percentuali? In malati che aspettano diversi mesi per essere operati o peggio, non riescono ad accedere in tempi brevi ad esami diagnostici importanti, come quella di tumore. Solo in Lombardia il crollo delle prime visite è del 38,6%.

Cure a rischio in futuro?

Ad oggi le misure in atto per la gestione dalla pandemia sono ancora in uso, in un mantenimento dello stato di emergenza che ha molto da rivedere stando allo studio dell’Università Cattaneo LIUC se, come appare, la situazione rimarrà endemica.

I ricoveri COVID 19 sono in percentuale bassa rispetto al totale, ovvero circa il 4% dei ricoveri registrati nel 2019 e il 5% del 2020, occorrerebbe quindi riprogrammare le attività (anche prudentemente considerando la campagna vaccinale).  Secondo Davide Croce, Direttore del Centro sull'Economia e il Management Liuc Business School e a capo dello studio, riorganizzare significa in questo caso allargare e costruire nuovi padiglioni ad hoc, sfruttando il calo fisiologico di ricoveri degli ultimi anni delle malattie infettive costruite negli anni ‘80/90 per l’AIDS, permettendo al resto della struttura ospedaliera di funzionare normalmente. Le malattie infettive, ci ha spiegato, hanno fra l’altro le caratteristiche di isolamento e di assistenza (4 ricambi d’aria all’ora) tipicamente necessarie in questi casi, che permetterebbero perciò una gestione ottimale dei pazienti SARS-Cov-2.


Risorse per il futuro

Un’ultima nota dolente Croce la sottolinea prima di chiudere “da oltre un anno” dice “non stiamo preparando in modo appropriato gli studenti di medicina e gli infermieri dato il cambio di attività e anche gli specializzandi sono stati mandati al fronte (ad esempio per la campagna vaccinale) e non frequentano più i reparti di appartenenza e questo non può non avere conseguenze sul futuro”.