Il governo Draghi valuta in queste ore la possibilità di introdurre un pass per consentire gli spostamenti tra regioni arancioni e rosse. Una misura che, spiega Stefano Ricci, avvocato penalista esperto in temi sanitari, apre una serie di questioni tra cui l'esigenza di una legge che consenta il bilanciamento tra salvaguardia delle libertà individuali e diritto alla salute
Un pass che consentirà di muoversi tra regioni arancioni o rosse, probabilmente dai primi di maggio, e che si potrà ottenere dimostrando di essere stati vaccinati o di essere guariti dal covid nei sei mesi antecedenti o ancora esibendo un tampone antigenico o molecolare negativo eseguito nelle precedenti 48 ore. Ruota anche intorno a questa misura il progressivo ritorno alla normalità su cui il governo Draghi punta in queste ore soprattutto guardando alla stagione estiva. Una misura che però, sebbene vada ancora definita nei tempi e nelle modalità, apre già una serie di questioni anche di diritto. A cominciare dal difficile bilanciamento, messo in evidenza da un anno di pandemia, tra la salvaguardia delle libertà individuali e il diritto alla salute.
COME POTREBBE FUNZIONARE IL PASS: LA SCHEDA
Una legge omogenea
Subordinare determinate attività, come la possibilità di spostarsi, di andare al cinema o di viaggiare, all’essere vaccinati, o all’essere guariti dal covid – spiega Stefano Ricci, avvocato penalista esperto in temi sanitari – diventerebbe un obbligo indiretto e potrebbe potenzialmente essere discriminatorio per diverse ragioni. Chi dovrà o vorrà spostarsi non è detto per esempio che avrà accesso al vaccino a breve e questo è uno dei motivi – continua Ricci – per cui è importante avere delle alternative alla vaccinazione. Ognuna però delle tre opzioni su cui si sta ragionando dovrà reggersi su una base legislativa. “Il passaggio dal Parlamento è fondamentale – spiega Ricci – anzi sarebbe auspicabile una legge a livello europeo perché si va a toccare uno dei capi saldi della stessa Unione Europea, vale a dire la libertà di circolazione”.
Il rischio di una babele
Una base normativa per l’eventuale pass sarebbe importante anche per evitare che provvedimenti nazionali possano scontrarsi con norme locali, come è avvenuto più volte nella gestione della pandemia. “Tra i vari rischi a cui si andrebbe in contro ci sarebbe quello di una raffica di ricorsi – sottolinea Ricci - per esempio davanti ai tribunali di mezza Italia che creerebbero grande incertezza dal punto di vista giuridico-normativo e renderebbero le misure non solo inefficaci ma addirittura controproducenti”.
Il modello europeo
Il modello a cui anche il nostro paese sembra volersi rifare è quello del pass europeo. “Bruxelles intende attivarlo in concomitanza con l'aumento delle persone vaccinate – ha dichiarato Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno. “L'obiettivo della Commissione è avere sufficienti vaccini al 15 luglio in modo tale che più del 70% della popolazione adulta sia immune. Con questa soglia possiamo creare il pass".
No al pass negli Stati Uniti
Se la questione del pass resta un tema caldo nell’Ue, oltreoceano la questione sembrerebbe allo stato già superata. Negli Stati Uniti non sarà richiesto alcun passaporto vaccinale sul territorio. A spiegare il perché, dopo giorni di polemiche e contrapposizioni politiche, il portavoce della Casa Bianca Jen Psaki “Il governo non sostiene e non sosterrà un sistema che richieda agli americani di portare con sé delle credenziali. Non ci sarà un database federale delle vaccinazioni e nessun mandato federale che richieda a tutti di ottenere un certificato vaccinale. Il nostro interesse sta nel fatto che la privacy e i diritti dei cittadini debbano essere protetti”. La Casa Bianca però non ha mai pubblicamente scoraggiato le aziende private a implementare un sistema di certificati vaccinali.