L’imprenditore è in carcere, mentre altre quattro persone, ritenute suoi prestanome, sono finite ai domiciliari. Le accuse includono anche riciclaggio, peculato e abuso d’ufficio. Diversi gli indagati a piede libero, anche alcuni pubblici ufficiali
Cosmo Damiano Giancaspro, ex patron del Bari Calcio, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Bari perché accusato, tra l’altro, di bancarotta. Insieme all’imprenditore sono finite in manette altre quattro persone, ritenute suoi prestanome. I reati contestati vanno dalla bancarotta al riciclaggio, auto-riciclaggio, peculato e abuso d'ufficio in concorso con pubblici ufficiali. L'indagine, coordinata dalla Procura di Trani, costituisce uno stralcio dell'inchiesta sul crac dell'azienda Ciccolella di Molfetta. Giancaspro è in carcere, gli altri sono stati posti agli arresti domiciliari.
Indagate altre persone, anche pubblici ufficiali
Giancaspro risulta indagato nella sua qualità di amministratore di alcune società attraverso le quali avrebbe cercato di entrare in affari con la pubblica amministrazione. Il Bari Calcio non sarebbe coinvolto in questa vicenda. Oltre ai cinque destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare, ci sono numerosi soggetti indagati in stato di libertà, tra i quali pubblici ufficiali che, in concorso con Giancaspro, avrebbero compiuto abusi d'ufficio e altri reati contro la pubblica amministrazione. Gli inquirenti parlano dei cinque arrestati come di "aderenti ad un sodalizio finalizzato alla commissione di vari e gravi reati contro il patrimonio e la pubblica amministrazione". Contestualmente agli arresti, i finanzieri stanno eseguendo anche diverse perquisizioni.
Il precedente arresto
Nel settembre 2018 Giancaspro era già finito ai domiciliari perché accusato di bancarotta fraudolenta. L’imprenditore infatti era stato ritenuto responsabile del crac della Finpower srl, società attiva nel settore delle rinnovabili della quale, secondo l'accusa, Giancaspro era amministratore di fatto. Nell’operazione, l’imprenditore avrebbe distratto somme fino a 10 milioni di euro, svendendo le quote della società ad un’altra di cui era lui stesso proprietario.