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Lampedusa, 5 anni fa il naufragio che costò la vita a 368 migranti

Cronaca

Domenico Motisi

I corpi di alcuni migranti recuperati in seguito al naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (Ansa)

Il 3 ottobre 2013 centinaia di persone, quasi tutte eritree, morirono annegate a meno di un chilometro dall’Isola dei Conigli dopo il rovesciamento del barcone su cui viaggiavano. È ancora una delle stragi con il maggior numero di vittime nel Mediterraneo

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Era la notte tra il 2 e il 3 ottobre 2013 quando un barcone, partito dalla Libia nelle ore precedenti, si rovesciò e affondò a meno di un chilometro dall’Isola dei Conigli (parte della Riserva naturale orientata Isola di Lampedusa). A bordo della nave c’erano oltre 500 persone: 368 di queste persero la vita, 155 vennero recuperate (tra cui una quarantina di minori), ma alcuni testimoni parlarono di almeno 20 dispersi. Si tratta ancora oggi di una delle stragi con il maggior numero di vittime avvenute nel mar Mediterraneo. A cinque anni dal naufragio, sono diverse le iniziative organizzate per ricordare quei migranti e le altre migliaia che dal 2013 sono annegate tentando di raggiungere l’Europa. Dal 2015, dopo il via libera della Camera, il 3 ottobre è la "Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione", con l'obiettivo di ricordare chi "ha perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria". Una decisione ratificata il 16 marzo del 2016 dal Senato (GLI OBBLIGHI SUI SALVATAGGI).

Un incendio la causa del naufragio

Fin dalle prime ricostruzioni, la causa del naufragio del 3 ottobre 2013 fu individuata nell’incendio scoppiato all’interno del peschereccio. "Non riuscivano a chiamare col telefono i soccorsi, hanno pensato di accendere i fuochi per farsi vedere. Anche perché raccontano di aver visto dei motopesca vicini. C'era una perdita di carburante e quindi la barca è andata a fuoco", disse l’allora sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini. Tuttavia, in seguito a una più attenta analisi dell’episodio, il fuoco risultò il principio ma non il motivo diretto di così tanti decessi: l’imbarcazione, infatti, si rovesciò nel momento in cui tutti i migranti si spostarono su un lato per scappare dalle fiamme. A rendere ancora più atroce la fine di queste 368 persone, anche il carburante - centinaia di litri - riversato in mare che intossicò i naufraghi complicando i tentativi di salvataggio. Quella di Lampedusa fu una strage quasi del tutto eritrea: 360 corpi appartenevano, infatti, a cittadini del Paese africano in cui ancora oggi vige il governo di Isaias Afewerki, una dittatura dalla quale quelle persone stavano scappando.

Le polemiche, il lutto nazionale e i processi

Nelle ore e nei giorni successivi alla strage, furono tantissime le polemiche che riguardarono le operazioni di salvataggio e il recupero dei cadaveri. Secondo la testimonianza di alcuni superstiti, infatti, tre pescherecci avrebbero visto la barca in difficoltà prima del naufragio ma non si sarebbero fermati per prestare soccorso. Fu l’allora ministro Angelino Alfano a smentire queste parole affermando che le imbarcazioni accusate non avevano visto quella con a bordo gli oltre 500 migranti. Intanto, mentre Papa Francesco manifestava la sua vergogna per l’ennesima strage, e mentre veniva proclamato il lutto nazionale in Italia, ci volle più di una settimana prima della conclusione delle ricerche e il recupero dei cadaveri. Il 12 ottobre vennero infatti riportate a riva le ultime vittime ma fu impossibile escludere la possibilità che almeno altri 20 corpi fossero rimasti sott’acqua. L’8 ottobre, inoltre, il tunisino Khaled Ben Salem, detto "il Capitano", indicato dai superstiti come l'uomo che era al comando del peschereccio, venne fermato e accusato formalmente di omicidio plurimo, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e naufragio, mentre altri cinque fermi e cinque avvisi di garanzia scattarono tra Agrigento, Catania, Milano, Roma e Torino nel 2014. L'anno successivo, invece, arrivò la condanna a 18 anni per Khaled Ben Salem.

Parte "Mare Nostrum"

Pochi giorni dopo il naufragio, esattamente il 18 ottobre 2013, il presidente del consiglio Enrico Letta decise di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento del Canale di Sicilia lanciando l'Operazione "Mare Nostrum". Due gli obiettivi: garantire la salvaguardia della vita in mare e arrestare gli scafisti. Per questa ragione vennero impegnati mezzi di Marina militare, Guardia costiera, Aeronautica e Guardia di finanza. In particolare, la Marina partecipava con una nave anfibia (dotata di capacità ospedaliere e grandi spazi per accogliere i naufraghi), due corvette, due pattugliatori, due elicotteri e tre aerei. Le navi d'altura si spingevano fino a ridosso delle coste libiche perle operazioni di soccorso. Il costo dell'operazione era di circa 9,5 milioni di euro al mese. "Mare Nostrum" si concluse il 31 ottobre 2014 e il primo novembre dello stesso anno partì una nuova operazione, non più italiana, ma europea: "Triton", dispiegata da Frontex, l'Agenzia europea delle frontiere.

Le iniziative in ricordo delle vittime

Per ricordare le 368 vittime del naufragio sono diverse le iniziative organizzate sia sull’isola siciliana sia in altre città italiane. In particolare, il Comitato tre ottobre ha organizzato a Lampedusa la "Marcia verso la Porta d’Europa", il monumento progettato da Mimmo Paladino che "simboleggia la vocazione all’accoglienza che il continente ha dimostrato negli anni nei confronti di chi scappa da guerre e povertà". Con la marcia sono previsti anche un momento di raccoglimento, una cerimonia di commemorazione in mare e una tavola rotonda con il sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello. A Roma, invece, il presidente della Camera, Roberto Fico, conclude il convegno "L'immigrazione come risorsa per le comunità: pratiche di buona accoglienza", organizzato nella Sala della Regina di Palazzo Montecitorio dalla Cooperativa sociale Dedalus, l'Associazione Laici Terzo Mondo e il Forum Disuguaglianze Diversità. 

I morti nel Mediterraneo dal 2014

Quella dell’ottobre 2013 è stata una delle stragi nel Mediterraneo più eclatanti, ma anche negli anni successivi si sono verificati naufragi con numerose vittime. Secondo i dati riportati dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’area mediterranea è quella dove muoiono più migranti nel mondo. In particolare, nel 2014 sono state 3.283 le morti accertate, 3.782 nel 2015, 5.143 nel 2016, 3.139 nel 2017 e oltre 1.700 dall'inizio del 2018. Si tratta tuttavia di numeri al ribasso, visto che non vengono considerati i dispersi ma soltanto i migranti di cui è stato ritrovato il corpo.