A Londra fissato un limite generalizzato dal 2020. In Italia esistono pochi esempi simili. "Siamo ancora indietro", spiega l’architetto Matteo Dondè. "Le nostre città sono una giungla", commenta Manuela Barbarossa, presidente dell’Aivis
Per ridurre il rischio di incidenti mortali in città, a Londra è stato fissato a partire dal 2020 un limite di velocità generalizzato in tutta l'area centrale non oltre le 20 miglia: circa 32 chilometri all'ora. Una scelta che trova il plauso dell’Associazione Italiana Vittime e Infortuni della Strada (Aivis): "Salutiamo la decisione della capitale inglese con gioia e interesse", sottolinea a Sky TG24 Manuela Barbarossa, presidente dell’associazione. "La limitazione di velocità nelle città è fondamentale: è il primo passo, non certo risolutivo, ma è il primo da compiere". Secondo l’architetto Matteo Dondè, esperto in pianificazione della mobilità ciclistica, moderazione del traffico e riqualificazione degli spazi pubblici: "Ovunque sta cambiando il livello della mobilità in Europa. Ma in Italia siamo ancora indietro".
L’architetto Dondè: "Abbiamo il doppio delle auto in città"
Secondo Dondè, il cuore del problema della sicurezza stradale urbana è la mancanza di zone con il limite di velocità fissato a 30 chilometri all’ora. Anche il numero di automobili risulta eccessivo: "In Italia abbiamo 65 auto ogni 100 abitanti – spiega a Sky TG24 – mentre Parigi e Berlino ne hanno entrambe 30 e Amsterdam 25: abbiamo il doppio delle auto in circolazione". Negli ultimi anni sono stati creati nelle città italiane ben 1500 km di piste ciclabili ma, secondo Dondè, non è stata migliorata la sicurezza nelle strade, con la conseguenza che i ciclisti non sono aumentati. A chi lamenta che l’adozione di misure di mobilità sostenibile funzioni solo nel Nord Europa, l'architetto porta l’esempio della Spagna: "Da 10 anni a questa parte ha adottato un modello di mobilità attiva serio ed efficace: Bilbao dal 30 maggio ha stabilito in tutta la città il limite dei 30 km/h".
"Siamo uno dei pochi Paesi in cui cresce l’incidentalità urbana"
Manuela Barbarossa si augura che il limite venga introdotto anche nei grandi centri italiani: "Avevamo già proposto come associazione di limitare la velocità in modo intelligente, in quartieri dove non produrrebbe altri tipi di problemi". "Siamo uno dei pochi Paesi in cui cresce l’incidentalità urbana", le fa eco Dondè. E aumentano anche le spese: "Spendiamo 20 miliardi di euro per costi relativi agli incidenti urbani – stima l’architetto – a cui vanno aggiunti 15 miliardi di euro di spesa per i costi relativi all’inquinamento".
Gli esempi pilota in Italia
Qualche progetto pilota è nato anche nel nostro Paese. Da nove anni il quartiere di Torino Mirafiori è interamente zona 30. Nel 2010 l’implementazione di una zona 30 in un quartiere di Reggio Emilia ha permesso di eliminare una fetta importante di traffico di attraversamento. Nel quartiere Corvetto di Milano, dal 10 al 13 maggio 2018, FIAB Ciclobby, Genitori antismog e Comune di Milano hanno organizzato TrentaMi, una sperimentazione della zona 30, con cambiamenti della strada e dei marciapiedi per moderare la velocità e rendere più sicuri gli attraversamenti pedonali. "Bisogna spiegare a cosa servono queste misure – commenta Dondè – sennò vengono rifiutate. Un buon punto di partenza sarebbe raccontare che le proprietà immobiliari acquistano un maggior valore se sono in una zona dove la velocità è ridotta". Per Manuela Barbarossa, "è solo una questione di buonsenso. Siamo tutti pedoni, le città sono affollatissime e in questo momento sono diventate delle giungle".